Di padre in figlio

Cuore
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La storia più votata per il n. 12 parla di un padre e un figlio, uniti da un progetto artistico

 
In famiglia si è sempre respirata arte. Papà era pittore e intagliatore, io ho seguito le sue orme. Anche mio figlio la creatività ce l’ha nel sangue, gli mancava però un modo per esprimerla. Ora l’ha trovato con me e io, lavorando con lui, sono rinato

storia vera di Giovanni Sottile raccolta da Francesca Stucchi

Sono solo nel mio laboratorio, una pioggerellina fitta batte di traverso sulla portafinestra a vetri. Un’ultima pennellata e ho terminato il dipinto. Non mi ritengo un artista, mio padre lo era, Giuseppe Sottile, un pittore e un intagliatore rinomato qui in Brianza, ma anche nel resto d’Italia e negli Stati Uniti, dove abbiamo vissuto per un periodo. Io sono piuttosto un artigiano, un corniciaio precisamente, che dipinge per passione e desiderio di libertà.

Quando ho terminato la scuola d’arte avrei voluto fare l’insegnante, ma la normativa era cambiata e per diventare professore avrei dovuto frequentare l’università. Allora rinunciai, avevo voglia di entrare nel mondo del lavoro. Così iniziai a lavorare con mio padre nel suo negozio d’arte. È stata una grande esperienza per me, essere al suo fianco, osservarlo mentre realizzava opere maestose e vitali, mi ha insegnato tutto quello che non avrei mai imparato all’università.Non c’è miglior maestro dell’esperienza che si fa accanto a un grande artista. Cominciai a dipingere anch’io, insicuro, a tratti goffo, ma motivato. Avevo già le basi, le mie idee e un’innata capacità di creare dipinti originali, che mio padre mi faceva notare ogni volta che scorgeva sulla tela uno sprazzo di bellezza.

Quando avevo terminato un quadro, spesso non ero completamente soddisfatto, mi rendevo conto che mancava qualcosa: aveva carattere, ma non spessore, colore, ma non sfumatura; aveva equilibrio, ma vi si scorgeva ancora una certa immaturità. Mio padre si avvicinava, lo guardava da ogni lato, chinava il capo, si allontanava, poi si avvicinava di nuovo e m’indicava i punti da sistemare. Il più delle volte con due o tre pennellate era capace di trasformare il dipinto in un’opera d’arte.

All’età di 70 anni decise di ritirarsi dall’attività, io continuai a lavorare al negozio, ma preferii dedicarmi ad attività più pratiche, in particolare alla realizzazione di cornici, lasciando alla pittura uno spazio di espressione e di sfogo. Poi ho conosciuto Monica, una donna dolcissima, ci siamo innamorati e sposati. Dopo qualche anno è arrivato Giorgio, il nostro unico figlio.Da piccolo veniva in negozio, osservava i grandi quadri appesi alle pareti, mi guardava tagliare il legno, rifinire le cornici e parlare con i clienti. Ogni tanto si sedeva al tavolo da lavoro e disegnava. Il primo disegno che abbiamo fatto insieme è stato un pagliaccio per un concorso della scuola, con cui abbiamo vinto un premio.Giorgio è sempre stato un bambino timido, introverso, ma dentro di sé viveva in un mondo magico animato da un’energia scoppiettante. La creatività ce l’aveva nel sangue, doveva solo trovare il modo di esprimerla. Ci ha provato con la musica, ha studiato chitarra e canto e ha coltivato il sogno di diventare un cantautore.

Lo sentivo comporre al piano di sopra, provare e riprovare, per anni la colonna sonora mentre lavoravo era la sua musica.

Quando però un medico gli disse che aveva un problema alla laringe e non avrebbe più potuto cantare i pezzi che componeva, il suo sogno andò in fumo e si chiuse in se stesso. Io non riuscivo a consolarlo, speravo solo che trovasse la sua strada. Intanto si era laureato in Beni culturali e poi aveva frequentato un master in Organizzazione di eventi, ma non poter portare avanti la sua passione per la musica lo rendeva triste.

Anch’io ero arrivato a un punto fermo della mia vita, senza slanci, ero invecchiato. Il ruolo di padre sembrava essere giunto al termine, Giorgio era diventato grande, aveva la sua vita. Al negozio veniva meno gente e pochi si fermavano a chiacchierare come un tempo. La pandemia aveva spazzato via i rapporti umani e la fiducia nelle persone, avevamo preso l’abitudine di restare in casa, di comprare online e di evitare il contatto con gli altri. Una precauzione che sapeva tanto di solitudine.

Facevo cerchi col fiato sulla porta del negozio, quando dietro il vetro appannato intravidi il sorriso di mio figlio. Erano gli ultimi giorni d’inverno del 2021, Giorgio entrò in negozio fischiettando e portò dentro una folata d’aria fresca. Guardandomi negli occhi mi disse: «Papà, perché non realizziamo un progetto artistico insieme?».

«Certo» esclamai, senza immaginare cos’avesse in testa.

Mi spiegò: «Lavoriamo con l’arte digitale. Facciamo qualcosa di unico e bello, anzi bellissimo! Mettiamo insieme le idee, diamo sfogo alla creatività e facciamo un’arte tutta nostra da portare in giro per il mondo». Disse più o meno così, il mio bambino, che in realtà era già diventato un uomo. Quello che più mi ricordo di quel momento è che non l’avevo mai visto così raggiante, nel suo sguardo desideri come stelle, sulle sue labbra un sorriso di speranza.

Colsi al volo quell’entusiasmo e quel pomeriggio diventò sera, poi notte e poi mattina. Non abbiamo più smesso di parlare e di confrontarci su quello che avremmo potuto fare. Siamo diventati JGio, la J presa da John, come mi chiamavano negli Usa, per non dimenticare mio padre e quello che abbiamo vissuto insieme, e Gio con cui cominciano i nostri nomi, di buon auspicio per un nuovo inizio.

«Opere digitali personalizzate e ritoccate a mano, retouché con forme e colori in una caotica armonia, materia sulla tela e cornici che le mettano in risalto» mi spiegò Giorgio con una luce brillante negli occhi.

Ebbe inizio così la nostra nuova attività: creiamo e modelliamo disegni al computer, utilizzando una penna digitale al posto del pennello e dei colori fisici. Li modifichiamo con appositi programmi, poi li stampiamo e li ritocchiamo a mano, aggiungendo o togliendo elementi e particolari, per far emergere le emozioni che vogliamo comunicare. In questo modo ogni disegno prende vita e diventa una creazione digitale e materica allo stesso tempo.

Amiamo i contrasti, i colori vivaci sul bianco e nero, i personaggi dei fumetti in ambientazioni realistiche, il mondo che cambia completamente con la fantasia.

Il nostro progetto artistico si chiama “Allweallwe”, “Tuttinoituttinoi” in un inglese a modo nostro, a significare che l’opera è il prodotto finale, ciò che veramente conta sono le persone, gli artisti, ciascuno con la propria unicità.

Il fatto che sia stato mio figlio a propormelo non mi ha permesso titubanze. Siamo partiti alla grande, sperimentando, sbagliando, cercando soluzioni efficaci anche nell’ambito della comunicazione e della vendita. Non è stato semplice proporre i nostri lavori, Giorgio a volte si scoraggiava, ma io non volevo mollare. Bisognava solo trovare nuove strade per farci conoscere.

 

A mio figlio venne l’idea di raccontare sui social quello che stava accadendo tra noi. Cominciammo a realizzare delle riprese con video divertenti dei nostri momenti insieme, mostrando la quotidianità del lavoro, il modo con cui ogni giorno uniamo le idee, sommando i nostri punti di forza nelle varie fasi di lavorazione delle opere a quattro mani. Molte persone si sono incuriosite e hanno iniziato a seguirci e ad affezionarsi a noi. Finalmente sono arrivati i primi ordini e le prime soddisfazioni.

Presto però le cose cambiarono di nuovo, Giorgio si trasferì a Torino per uno stage, Monica si ammalò. Era come se la vita ci volesse mettere alla prova. Nonostante le difficoltà, non abbiamo mai smesso di crederci. Lavoravamo a distanza, ognuno sulla propria parte, e ci vedevamo solo un paio di volte al mese per mettere insieme il tutto. Sabati e domeniche intensissimi, in cui abbiamo mescolato difetti e allegria, impazienza, concentrazione e anche un pizzico di follia, per creare la nostra coloratissima arte.

Terminato lo stage a Torino, Giorgio ha deciso di tornare a casa. Finalmente abbiamo tanto tempo da condividere e un progetto solido e importante, che sta diventando un vero e proprio lavoro.

Più che un lavoro, mi piace pensare che sia una rinascita. Mio figlio ha trovato il modo di esprimere la sua vena artistica e in me ha un supporto concreto e sicuro, io mi sento ringiovanito e ogni mattina mi sveglio con la voglia di fare. I momenti che passiamo insieme nel laboratorio sono così speciali! Si respira energia creativa e buon umore.

Il dialogo è la vernice e l’amore il cemento del nostro rapporto.

Anche Monica sta meglio e ride con noi ogni volta che ci scontriamo sulle decisioni da prendere, mettiamo il muso per due minuti e poi scoppiamo in una risata. La forza della nostra famiglia, sono convinto, è la passione che mettiamo in ogni cosa che facciamo, incoraggiandoci a vicenda. Questo arriva alle persone che scelgono le nostre opere, trovandoci rappresentati i propri sogni o i propri sentimenti.

 

Ricordo una frase che ho letto in un libro: “Quando incontri qualcuno a cui importa di te, la vita può all’improvviso cambiare rotta e veleggiare sicura tra le onde nel blu”. È quello che in fondo è successo a noi, quando abbiamo riconosciuto il bisogno che avevamo l’uno dell’altro e abbiamo stretto un legame maturo e indissolubile che ci ha permesso di salpare per un nuovo, entusiasmante viaggio.

Sono passati quasi quattro anni da allora e ora abbiamo tra le mani una grande occasione: far conoscere a tutti la nostra arte, vivendo l’esperienza padre-figlio più bella del mondo!

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