“La sensibilità ti deruba da tutte le logiche di sopravvivenza. Confonde elemosina e diritti. Ubriaca l’autostima, deprime ogni tua potenzialità fino a convincerti di non essere mai abbastanza. Anteponevo il meno dinanzi a qualsiasi aggettivo mi riguardasse. Io ero sempre il meno. Meno bella. Meno giovane. Meno e basta. E per azzerare quel meno, per scalare posizioni, per conquistare un posto, anche minuscolo, nella vita delle persone, dovevo semplicemente esserci. Esserci sempre. Per un consiglio. Per un caffè. Per un passaggio. Per una sostituzione sul lavoro. Per una cortesia. Vendermi e svendermi, mi illudeva di poter acquistare un più nel cuore della gente. E quell’affanno, quel dar prova del mio valore a ogni costo, stavano disidratando la mia dignità. Detestavo il mio spendermi senza pretendere, ma chinavo il capo, nella speranza di usucapire il privilegio di ricevere un paio di premure, e un ti voglio bene pronunciato un po’ per caso. Avrei dovuto capire prima che avrei dovuto amarmi, prima di amare gli altri. È che le cose, crescendo, non sono mai come le immagini da bambino. Si lasciano pezzi di cuore negli occhi di chi abbiamo amato. Si lasciano incanti nelle favole che ci hanno raccontato. Si lasciano mani nelle tasche di un cappotto di stelle mai indossato. Si lasciano errori su un pentagramma cucito su note stonate. Lasciamo resti ovunque. In qualsiasi posto abbiamo adagiato l’anima, anche solo per un istante, per rubare una carezza o supplicare il perdono”.
Recensire e/o consigliare cose scritte da persone che conosco non mi piace, e chi mi conosce davvero questo lo sa. Subentrano variabili dipendenti pericolose che per il mio modo di essere, non offendo un nemico o uno sconosciuto figuriamoci un amico o qualcosa di simile, sono poco sopportabili. Ho la fortuna, da anni, di poter consigliare solo quello che leggo e che amo: mai potrei falsare un giudizio – perché un consiglio lo è – solo per non ferire o per fare una cortesia.
Selene l’ho conosciuta insieme al suo libro. Lei è un avvocato. È una poetessa, scrive canzoni. È una donna che non alza mai la voce. Eppure riesce a farsi sentire come se gridasse. Selene adesso la conosco e posso consigliarla. C’è un motivo.
Nel suo romanzo Selene racconta la storia di Giulia Ansaldi, avvocato. Giulia si batte per difendere i diritti violati di donne e minori. Giulia ha un dolore dentro, una lesione, due violenze di carne e una d’anima. Selene le regala più voci, le regala un registro narrativo in equilibrio tra prosa e narrativa, e le regala un coraggio forte.
Giulia quando era giovane è stata violentata. Nel corpo. Giulia, nei suoi anni maturi, è stata violentata nell’anima. Si è crocifissa di lacrime e silenzio, ha ceduto alla forma più subdola di stupro, quella che confonde carezze e manipolazione per attenzione, amore.
Subire una violenza non è una colpa nostra. Fossimo anche vestite di nulla nessuno può toccarci, non ci sono scuse. Subire attenzioni emotive fallate, credere alle parole reiterate ma non suffragate da fatti, farsi squilibrare da ti amo inconsistenti invece lo è. È colpa nostra. Nessuna donna ha il diritto di aiutare il vampiro emotivo che la azzanna, chi offre il collo è consapevole. Ci sono forme di stupro che non vogliamo decodificare, forse per paura di affrontare la verità. Selene, forte della sua formazione professionale, ha costruito una fabula che è un vero manuale che può aiutare tutte le donne vittime di violenze (fisiche e/o emotive) a dire no, non ci sto, giù le mani dal mio corpo, dalla mia mente, dal mio cuore, dalla mia anima.
Consiglio la lettura di questo libro non tanto come intrattenimento letterario, ma come occasione e spunto di riflessione e crescita autocritica. Dobbiamo imparare a riconoscere il gesto violento. La parola violenta. L’intenzione violenta. Il nostro io che traduce in amore quello che amore non è.
Selene Pascasi, Dimmi che esisto, Edizioni La Gru
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