“Quando essere innamorate significa soffrire, stiamo amando troppo. Quando nella maggior parte delle nostre conversazioni con le amiche intime parliamo di lui, dei suoi problemi, di quello che pensa, dei suoi sentimenti, stiamo amando troppo.
Quando giustifichiamo i suoi malumori, il suo carattere, la sua indifferenza, o li consideriamo conseguenze di un’infanzia infelice e cerchiamo di diventare la sua terapista, stiamo amando troppo. (…) Quando non ci piacciono il suo carattere, il suo modo di pensare e il suo comportamento, ma ci adattiamo pensando che se noi saremo abbastanza attraenti e affettuose lui vorrà cambiare per amor nostro, stiamo amando troppo.
Quando la relazione con lui mette a repentaglio il nostro benessere emotivo, e forse anche la nostra salute e la nostra sicurezza, stiamo decisamente amando troppo.
A dispetto di tutta la sofferenza e l’insoddisfazione che comporta, amare troppo è un’esperienza tanto comune per molte donne che quasi siamo convinte che una relazione intima debba essere fatta così. (…) Alcune si sono lasciate ossessionare tanto dal pensiero del loro partner e della loro relazione, da riuscire appena a sopravvivere”.
È dal 1985, anno della sua pubblicazione, che il saggio della psicoterapista statunitense non accenna ad abbandonare la pole position delle classifiche di vendita dei testi dedicati all’argomento.
Le donne (il tema riguarda anche gli uomini, ma con modalità di risposta diverse) e l’amore. Le donne e un certo tipo di amore, forse sarebbe meglio dire. L’amore che fa stare male, che trafigge e crocifigge, che non risponde e non corrisponde. Perché amiamo disperatamente uomini che ci sfuggono, che non sembrano vivere il nostro stesso grado di struggimento e coinvolgimento?
La risposta non è nel sentimento di condivisione con un’altra persona ma in una ricerca continua e poco fruttuosa: nelle relazioni cerchiamo di far incastrare nuovamente tutto quello che abbiamo imparato a forzare durante la nostra infanzia. Il nostro rapporto con i nostri genitori, il rapporto che questi avevano l’uno con l’altra, la comunicazione interna – quasi sempre distorta e disfunzionale – al gruppo primario: le nostre incapacità emotive di oggi sono il frutto di quella storia, la risultante di quei mandati.
Non è semplice distogliere l’attenzione dall’unica via di fuga che ci sembra possibile, ovvero quella dell’annullamento di noi stesse. Prodigarci per le necessità e i bisogni di chi si serve di noi ci fa sentire forti, all’inizio. Indispensabili. Non lo siamo. Chi sfrutta, chi mette sempre il proprio Io davanti a tutto, non ci ama. Si tratta di vampiri emotivi che noi scegliamo di nutrire fino a diventare completamente anemiche. Diamo tutto. Non lasciamo nulla per noi.
Empatiche con l’uomo di turno e con il mondo intero, non abbiamo nessuna cura e nessuna tenerezza verso di noi. Soffrire. Contempliamo e cerchiamo solo questo: il dolore d’amore, il dolore dell’abbandono sentimentale.
Ad aprire l’edizione italiana, la presentazione di Dacia Maraini: “Con tono pratico e dimesso la Norwood riesce a dirci alcune cose profonde e acute. Per esempio che, quando amiamo troppo, in realtà non amiamo affatto; perché siamo dominate dalla paura: paura di restare sole, paura di non essere degne d’amore, paura di essere ignorate e abbandonate. E amare con paura significa soprattutto attaccarsi morbosamente a qualcuno che riteniamo indispensabile per la nostra esistenza”.
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