Doppio segreto

Cuore
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Vi riproponiamo sul blog una delle storie più apprezzate del n. 49 di Confidenze

 

Pensavamo di aver nascosto a mio padre la diagnosi, in realtà lui sapeva di essere alla fine e non voleva far soffrire noi. Solo adesso capisco che, ancora una volta, ha messo la sua famiglia per prima

Storia vera di Stefania Zunino


S
e devo fare un bilancio della mia vita, posso dire che è sempre stata costellata da segreti. Alcuni facili da gestire, altri meno. Però, prima o poi, per tutti arriva il momento in cui ci si rende conto che i segreti non sono tutti belli e speciali. Nell’agosto del 2018, la mia vita scorre serena e tutto sembra perfetto. Ma ecco arrivare un colpo talmente forte che mi spinge a chiedermi, per la prima volta, quanto sia giusto o meno mantenere caparbiamente un segreto. In questa torrida estate, mio padre decide di imbiancare le pareti di casa. Mia madre e io insistiamo perché lui non lo faccia, il caldo è opprimente e lui ha 77 anni.

Alla fine però vince lui e per alcuni giorni casa nostra sembra un campo di battaglia tra teli, pitture e pennelli. Un pomeriggio però, si sente poco bene, gli manca il respiro, ha un senso di malessere generale. Non so cosa pensare. “Sicuramente tutto questo è causato dalla stanchezza e dal caldo” mi dico da sola per rassicurarmi. Per precauzione decidiamo di chiamare un’ambulanza e, purtroppo, la verità arriva pochi giorni dopo. Metastasi profonde ed estese in tutto il fegato. Nessuna terapia possibile. Diagnosi: pochi mesi di vita. Seguono giorni di esami, di approfondimenti. Nessuno gli dice nulla e lui non fa domande. Dopo la gastroscopia, viene rintracciata la sede del tumore primario. Si è sviluppato nello stomaco, proprio dove parecchi anni prima è stato operato di ulcera.

Mio padre è convinto di non avere nulla di grave ed effettivamente i sintomi che ha non sono preoccupanti. I medici continuano a non dirgli nulla, soltanto noi parenti veniamo informati in ogni dettaglio. Ed è questo il momento in cui inizia la fase più complicata. Ci chiediamo se sia giusto o meno mantenere il segreto sulla sua malattia.

Non ha forse il diritto di conoscere le sue condizioni? Mia sorella propone di continuare a tacere e di lasciarlo vivere serenamente i mesi che gli restano. Io, invece, sono piuttosto combattuta, ma decido di custodire il segreto per il bene di mio padre. Mia madre è d’accordo con me. Viene dimesso dall’ospedale, ma ci impongono una visita di controllo in oncologia.

Cosa possiamo dirgli? Mia sorella decide di parlare prima con l’oncologo per risolvere il problema. Qui però incontra un altro ostacolo. Il medico non vuole mentire al paziente sul suo stato di salute. Dopo una lite furibonda, mia sorella riesce a ottenere un parziale assenso da parte del dottore. Gli dirà una mezza verità. Gli dirà che ha un tumore in corso di formazione e che con una terapia appropriata riuscirà a tenerlo sotto controllo. Il rapporto con l’oncologo non si rivela dei più semplici. Capisco il suo punto di vista, ma non del tutto. Improvvisamente ci propone una terapia chemioterapica al solo scopo di rallentare la malattia. A 77 anni una terapia del genere è molto rischiosa, ed è giusto che sia mio padre a decidere del suo imminente e doloroso futuro. Lui rifiuta l’opzione di trattamento. Io sono d’accordo con lui e ne parlo anche con la dottoressa di famiglia. Lei condivide i miei dubbi e le mie perplessità relativamente all’accanimento terapeutico. Ha senso farlo vivere qualche mese in più con tutti gli effetti collaterali che la chemioterapia comporta? Io credo di no.

A questo punto si opta per un trattamento puramente palliativo. Mio padre resta però all’oscuro della gravità della sua situazione e, per fortuna, non ha sintomi e dolori importanti. Passano quattro mesi e lui sta davvero bene. Può condurre una vita normale. Fa la spesa, guida, fa passeggiate con il nostro cane Rex e si occupa della sua grande passione per le navi in legno. Io mi illudo che stiamo vivendo solo un brutto sogno e che lui possa ancora farcela. Non è facile pensare che un uomo come lui, forte come una roccia, se ne stia andando per sempre. Per me, mio padre è tutto. È la mia guida e la mia forza nei momenti difficili e ho paura dei giorni che mi aspettano senza di lui. Preferisco fare finta di nulla, crogiolandomi nell’assurda illusione che quel brutto male possa sparire da solo o che ci sia un errore medico.

Purtroppo, una sera inizia ad avere forti dolori e siamo costretti a chiamare un’ambulanza per portarlo al pronto soccorso. La situazione è notevolmente peggiorata, il fegato è invaso dalle metastasi. Gli restano meno di due mesi di vita. Anche questa volta i medici non gli dicono nulla e lui non chiede nulla.

Dopo qualche giorno viene dimesso. Deve mettere un cerotto a base di oppioidi che va cambiato ogni tre giorni. È entrato nella fase terminale e le cure hanno il solo scopo di controllare il dolore, di contenere la sua sofferenza. Mio padre è un uomo molto forte, riesce a vivere ancora per tre mesi con un fegato non più funzionante. In quel poco tempo lo vedo diventare sempre più debole, triste e scoraggiato. In questa difficile fase è seguito dal reparto delle cure palliative presso l’ospedale della nostra città. Anche qui incontriamo la resistenza da parte di una dottoressa che non vuole rivelargli la verità. Per fortuna, a lui questo medico non piace.

Allora decidiamo di farlo seguire da un’associazione che si occupa dell’assistenza ai malati terminali. Da questo momento, ogni settimana riceviamo la visita di un oncologo e di un infermiere che si occupano di verificare il suo stato di salute. Apparentemente lui sembra ignorare la gravità della situazione, anche se ogni tanto fa qualche domanda sui farmaci. I parametri vitali sono buoni nonostante il progredire della malattia. Riesce ancora a occuparsi della sua nave e a fare qualche lavoretto. La terapia del dolore dà i suoi frutti e per un periodo mio padre sta bene. Purtroppo di colpo gli compare un edema su entrambe le gambe. Perde grandi quantità di liquidi ed è costretto a tenere delle fasciature che servono a ben poco. Nel giro di breve tempo le gambe sono sempre bagnate e, nonostante i farmaci, la situazione non migliora. Ha difficoltà a stare in piedi, ha dolore ai piedi e ai polpacci. Il medico decide di aumentare il dosaggio del cerotto, ma mio padre è sempre più debole e ha episodi di forte sonnolenza. La situazione precipita in breve tempo. Smette di mangiare e dice di voler morire perché non può più avere una vita normale. Nel giro di due giorni muore nel sonno, poco prima di Pasqua. Subito dopo la sua morte, in me si fa strada un dubbio che mi tormenta: è stata la scelta più giusta quella di non dirgli tutta la verità?

Ora però, a distanza di tempo, mi rendo conto di quanto la mia preoccupazione fosse inutile. Mio padre sapeva perfettamente che stava morendo. Un suo amico ci ha confidato che, pochi giorni prima, gli aveva detto che probabilmente sarebbe morto prima della Santa Pasqua. Si era reso conto di essere sempre più debole, che era ormai alla fine. Sono convinta che abbia sempre saputo la verità e che quel segreto messo in piedi dalla nostra famiglia non aveva motivo di esistere. Un uomo come lui, che aveva accompagnato suo suocero e sua madre per anni nei reparti oncologici, non poteva non rendersi conto di quello che gli stava succedendo, conosceva alla perfezione come progrediscono certi mali.

Ora so che il segreto più difficile l’ha dovuto nascondere proprio lui. Sapeva che stava morendo eppure non ha mai detto nulla a nessuno di noi. Non voleva farci preoccupare, così ha continuato a vivere la sua vita come se niente fosse, giorno dopo giorno. Ripenso ancora a lui che si preoccupava per me perché non avevo un lavoro e si chiedeva come sarebbe stato il mio futuro. Ha sempre messo la famiglia al primo posto. Per lui, la mia felicità era più importante dell’angoscia per la sua malattia.

Il dolore che ha provato è stato molto più forte del mio, ne sono consapevole soltanto adesso. Non deve essere facile tenersi dentro un segreto così grande, così straziante. Io non avrei mai avuto la sua stessa forza. Solo negli ultimi giorni la paura ha cominciato a prendere il sopravvento provocandogli senso di soffocamento e crisi di pianto. Solo negli ultimi due giorni mio padre si è lasciato andare. Lo ha fatto perché soffriva e non poteva più sopportare la sua vita così com’era diventata.

A tre mesi dalla sua morte capisco che io avevo una scelta: potevo semplicemente fare finta che tutto andasse bene e illudermi che tutto, presto, sarebbe passato. Lui, invece, non aveva più speranze ed era anche preoccupato per il nostro futuro. La mia sofferenza, per quanto atroce, non si poteva nemmeno paragonare alla sua.

Possibile che in tutto questo tempo non mi sia accorta che mio padre sapeva tutto? Come ho potuto pensare che un segreto così labile si potesse tenere e trattenere per sempre? Se solo avessi immaginato che dentro di sé custodiva un peso così insopportabile, gli sarei stata ancora più vicina e avrei preferito che si confidasse con me. Certo, non avrei potuto aiutarlo, ma magari sarei riuscita a lenire in parte quel grandissimo dolore emotivo. Non provo nessuna rabbia per la sua scelta, in fondo anche io ho taciuto, ho mentito, ho mantenuto il segreto. Però sarebbe stato bello condividere insieme quei momenti, rincuorarlo con qualche parola. Ora provo tanta tristezza per non aver condiviso davvero con lui quegli istanti e per le parole non dette. Probabilmente senza questa rete di segreti, quel periodo avrebbe avuto un altro sapore e altre sfumature, di sicuro migliori. Ma questo, purtroppo, non potrò mai saperlo.

 

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