Estate egoista di Stefania Capelli, pubblicata sul n. 18 di Confidenze, è una delle storie vere più apprezzate della settimana. Ve la riproponiamo sul blog
Presto ricomincerà il caldo bruciante e afoso. Come quella notte interminabile di luglio quando tu, figlio mio, lottasti contro il pericolo di uscire dal nido prima del tempo. Ti sei battuto come un gigante
Storia vera di Stefania Capelli
L’estate mi ha colta all’improvviso. Anche quest’anno è arrivata nella pianura padana, spalancando le porte del cielo e soffiando imperterrita il suo miasma caldo umido. Adoro l’estate. Ci regala ore di luce per riempire i pomeriggi di chiacchiere e passeggiate dopo il lavoro. Ma quando s’intestardisce con il suo caldo soffocante, togliendoti il respiro e trasformandoti in carta moschicida per i tuoi vestiti, è troppo.
Quest’estate comunque è diversa dalle altre. Ho un progetto che sta prendendo forma dentro di me: ci sei tu nella mia pancia, se sei un bimbo o una bimba, ancora non lo so. Sono quasi convinta che sarai un maschio. Potrei saperlo dall’ecografia, ma non voglio rovinarmi la sorpresa. In fondo, ottobre non è lontano.
Siamo a luglio, le giornate sono lunghe e calde, ma la sera, dopo l’ufficio, spesso mi concedo una nuotata rigenerante in piscina. Nuotare nell’acqua fresca non mi pesa; anche il mio medico non ha nulla in contrario. Faccio le mie bracciate con energia, ma senza strafare, anzi, il contatto con l’acqua e il suo massaggio mi dà sollievo rinfrescando il corpo e la mente, permettendomi di dormire beatamente durante la notte. Sicuramente anche tu apprezzi a farti cullare dall’acqua e il suo tocco sulla mia pancia ti fa stare bene. Chissà se amerai imitare i pesci e farti abbracciare e sostenere da questo elemento naturale quanto me? Mentre nuoto e libero la mente dai pensieri della giornata mi ritrovo a pensare a come sarai, non tanto fisicamente, ma come carattere: sarai timido o estroverso? Quali sport ti piaceranno (forse il calcio come a tuo padre)? Quali gusti avrai? Questo lo so, sicuramente il gelato al pistacchio e le tagliatelle al ragù, viste le quantità che mi fai mangiare in questi mesi.
Oggi però è diverso. Il caldo afoso è più insopportabile e il lavoro in ufficio è più pesante del solito. I miei livelli di energia sono al minimo e sento uno strano torpore ai muscoli dell’addome. Vabbè, penso, sarà il caldo. Chissà se lo stai sentendo anche tu e già non lo sopporti più come me. Stasera, dopo cena, ci riposeremo godendoci il fresco sulla sedia sdraio in balcone.
Sono le 18.30. Esco dall’ufficio come al solito e mi dirigo verso casa. Tuo padre mi aspetta e ha già preparato la cena. Lavora su turni e oggi pomeriggio era libero. Ceniamo in terrazza come al solito, ma la strana sensazione al ventre non passa: va e viene a ritmo irregolare ma in maniera crescente. Non siamo tranquilli, non me la sento di passare la notte aspettando che tutto passi. Chiamo il medico che mi consiglia di andare in ospedale per un controllo. Seguiamo il consiglio e ci dirigiamo al vicino Pronto soccorso. I medici sapranno sicuramente tranquillizzarci dicendoci che non è niente, che tu stai bene e che è soltanto questa pazza estate che mette alla prova il mio livello di sopportazione. Invece, dopo la visita decidono di ricoverarmi per precauzione. L’ostetrica, un po’ stupita della mia ignoranza, mi informa che la mia sensazione è frutto di una serie di contrazioni e che tu rischi di nascere prima del termine. Sono sgomenta. Com’è possibile? Non puoi nascere adesso, è troppo presto! Mi ricoverano e mi sottopongono a flebo per bloccare le contrazioni. Inoltre, per scongiurare ogni evenienza mi fanno un’iniezione per accelerare lo sviluppo dei tuoi polmoni. Se dovessi nascere ora. sarebbe davvero troppo presto, mancano ancora tre mesi, avresti poche probabilità di sopravvivere. Sono sconvolta, come un automa seguo le infermiere e mi stendo sul letto di questa stanza d’ospedale.
Mi dicono di non preoccuparmi, pensano a tutto loro. È una stanza a tre letti ma ci sono solo io. La temperatura è gradevole ma è pur sempre una stanza d’ospedale. Un luogo non luogo, senza tempo, dove la vita è in pausa, come una videocassetta nel videoregistratore in attesa di un play per ripartire o di uno stop per fermarsi. Qui, anche se accudita, mi sento impotente. Non posso controllare il mio corpo, non posso decidere del tuo destino. Mi rendo conto per la prima volta che non posso proteggerti completamente.
Non puoi nascere adesso, non è il momento. Devi resistere. È troppo presto, non è questa la tua prima estate. Non sei pronto per la brezza salina del mare o l’aria pungente e balsamica dei monti. Il tuo momento sarà ottobre quando l’aria sarà più fresca e il sole ti accarezzerà dolce il viso.
Cosa posso fare? Niente. Aspettare e resistere. Aspettare che Qualcuno decida per noi. Le contrazioni vanno e vengono, ma non sono regolari. Intanto calano le ombre della sera e il sole sparisce all’orizzonte. Il caldo non è più soffocante e lascia spazio a una notte senza vento, ma piena di stelle. Aspetto e prego chiedendo tempo. Tempo per me e tempo per te. Chiedo che tu rimanga ancora al sicuro per i giorni necessari ad acquisire le forze e le capacità indispensabili per affrontare questo mondo, stupendo quanto vuoi ma ancora insidioso per te. Non avere fretta, non sei ancora pronto. Sei troppo piccolo e indifeso per potercela fare da solo. Mi scopro a parlarti durante questa lunga notte in un letto di ospedale. Mi accorgo che non ho ancora pensato al tuo nome. Mille paure e timori affollano la mia mente e agitano la mia anima. E se gli eventi dovessero precipitare e tu venissi al mondo ugualmente? Quanti rischi e prove dovrai affrontare? Anche solo respirare sarà difficile per i tuoi piccoli polmoni. Dovrai essere molto forte e determinato per sopravvivere. Non sarei più il tuo rifugio, il tuo nutrimento, il tuo mondo. Dovrai farcela da solo, respirare da solo, mangiare da solo. Io sarò con te, però tu dovrai avere la forza di un gigante. Anzi, devi averla già adesso la determinazione di resistere e rimanere aggrappato al tuo porto sicuro. Di prenderti il tempo per crescere. Non avere fretta, rimani lì, dentro di me, e aspetta che la tempesta passi portata via dal fresco umido della notte.
Dicono che il nome può influenzare il carattere di chi lo porta, quindi mentre aspetto e spero che i farmaci anti-contrazioni facciano effetto, l’unica cosa che posso fare è pensare a un nome che ti dia tutta la forza e la determinazione di cui potresti aver bisogno. Ecco, ci sono: ti chiamerai Davide perché, sebbene fosse il più piccolo tra i suoi fratelli è stato l’unico in grado di battere il gigante Golia. E se tu dovessi nascere stanotte ti servirà tutta la sua energia per aggrapparti alla vita. Ascoltami Davide, resisti, non nascere adesso. Ci sarà tempo e ci sarà un’altra estate per noi.
Le ore passano e arriva l’alba. Il momento critico sembra passato secondo il parere dei medici. Vengo dimessa e posso ritornare a casa. Le contrazioni sono saltuarie ma tu mi hai ascoltato, hai resistito. Trascorro le mie giornate tranquillamente e in un bel giorno di ottobre vieni al mondo, bello e forte. Orgoglioso della tua prima battaglia vinta.
Sono passati degli anni ed è di nuovo estate, bruciante e soffocante.
Ogni tanto ripenso a quella notte in cui Davide hai lottato e vinto contro quell’estate egoista e impaziente che voleva strapparti dal tuo nido prima del tempo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ultimi commenti