“I figli so piezz e core” si sa e chi è genitore prima o poi si trova davanti un dilemma difficile da risolvere. Fino a che punto è lecito spingersi per difendere i figli? Alla domanda sembra facile rispondere, specie quando la cosa non ci tocca da vicino, perché tutti sono capaci di predicare rigore e fermezza, ma quando succede qualcosa ai nostri ragazzi ci sentiamo come se stessero staccandoci un braccio.
Giorni fa un’amica mi raccontava del figlio ventenne multato per eccesso di velocità in macchina. In base alle regole del Codice della strada, avrebbero dovuto togliergli sei punti dalla patente, ma la macchina è intestata alla mamma e se risultasse che guidava lei i punti tolti sarebbero stati solo tre.
Non vi dico com’è finita perché forse potete immaginarvelo, e questo è solo un piccolo e innocuo episodio, ma fa capire come tante volte sia difficile applicare quella severità di giudizio che si predica a parole. Soprattutto quando ci si confronta con ragazzini che hanno voglia di sentirsi grandi, di infrangere le regole per il gusto di farlo e che non valutano le conseguenze dei loro gesti.
La storia raccolta da Roberta Giudetti “Non posso difenderti” pubblicata su Confidenze solleva proprio questo ordine di problemi e sentimenti contrastanti. Da un lato c’è la razionalità e fermezza di un genitore che sa di dover dare il buon esempio, e quando è il momento opportuno, anche di dover punire per far capire che esiste un confine che non va superato, quello della legalità.
Dall’altro c’è lo spaesamento e l’umana preoccupazione di vedere un adolescente, per giunta minorenne, alle prese con situazioni più grandi di lui, che è impreparato a gestire.
Ma fino a che punto è utile coprire le manchevolezze o fare la super mamma che risolve ogni inghippo? Non fa crescere di più cozzare la testa contro il muro delle responsabilità personali e toccare con mano che il diavolo fa la pentole, ma mai i coperchi?
Da mamma di un figlio dodicenne alle prese con libri da ricoprire, zaini da preparare la sera e quaderni dimenticati a casa, dovrei solo tacere perché per ora so di essere più vicina al ritratto della supermamma che non a quello del genitore che lascia che “se la cavi da solo”, ma spero di aver tempo per imparare.
Di certo in una situazione come quella raccontata da Roberta Giudetti non avrei lasciato impunito mio figlio. E voi? Aspetto i vostri commenti.
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