Storia di Giorgia T. raccolta da Guglielmo Pizzinelli
Sì, ecco, potevi anche non esserlo sincera, penso tra me. Non lo sei stata mentre ti facevi lui e a me raccontavate l’uno di essere in ufficio e l’altra di avere ripetizioni sino a tardi.
«Dài, Giorgia. Lo dico per te: devi pur ricominciare a uscire con qualcuno, no? Ricominciare a vivere a 35 anni, a divertirti un po’ ti pare?» dice mia madre al telefono.
Sì, sì. Riattacco, tanto sono sempre le solite frasi fatte, seppur sincere. Me le ripetono mia madre, mia sorella Giulia, la mia amica Jacqueline, la mia collega Sabrina. Un po’ di tempo per il dolore, un po’ di spazio per la solitudine, per riprenderti, per un riassestamento emotivo, dicono tutte. Certo lui è stato davvero uno str…o, certo lei davvero una sgualdrina. Un po’ di tempo va bene, non troppo però. Le persone intorno a te si preoccupano, ma anche la preoccupazione ha un limite, una scadenza. È come se si sentissero disturbate dal fatto che la tua vita è rotta, inaggiustabile almeno per il momento. Così ho staccato: sono andata ad abitare nella vecchia casa di mio padre, in zona Brera. Non aveva più senso rimanere a Trivolzio, nell’allegro paesello di campagna, alberelli, pratini, il Ticino vicino.
Ho chiesto il trasferimento in una filiale della banca in città. Lavoro di più, ma pendolo meno. La collega che divide l’ufficio con me almeno è simpatica: d’estate, poi, arriva con certi vestitoni larghi e scollati, profumata e sensuale, i lunghi capelli neri e mossi. È lesbica e ogni tanto ci prova con me, chissà mai che io dica di sì per una sera. Ma lo fa con molta grazia, non è invadente, quindi è ok.
E ogni tanto, la sera quando rincaso, incrocio il mio dirimpettaio, Mauro. Lavora per un grande consorzio di aziende vinicole, e anche oggi mi porge una bottiglia di vino rosso. Mauro è alto, attraente, spalle ampie e sorriso incantatore. Ha cinque anni meno di me.
«È molto gentile da parte tua essere sempre carino con questi omaggi» ringrazio offrendogli una birra in cucina. «Però ora ho vino da parte per un anno».
Mauro allunga una mano verso una foto di Nicola, fatta in Sardegna. L’unica che ho conservato e portato con me, manco so perché. «Un bel posto, questo», ma capisco che è curioso di chi sia il tizio nella foto.
«È solo un vecchio ex» mi avvicino e gliela tolgo di mano, posandola sulla mensola.
Lui cambia discorso, chiacchieriamo. Poi dice che di là ha delle cose buonissime comprate quel pomeriggio in una rosticceria pazzesca a Verona e mi offre di dividercele. Ci rifletto un po’, poi accetto. Con lui ci siamo fermati già qualche volta a chiacchierare, davanti al portone o sul ballatoio. Un po’ di tempo fa l’avevo incontrato seduto al tavolino di un locale qui vicino per l’aperitivo e Mauro mi aveva invitata a unirmi a lui e ai suoi tre amici: c’era una bionda avvenente con cui lui sembrava avere un ottimo feeling e mi ero chiesta se i due avessero qualche relazione. Adesso riscaldiamo le leccornie, ceniamo, chiacchieriamo amabilmente.
A un certo punto, ovviamente, mi chiede quale sia la ragione per cui ho lasciato la provincia e mi sono trasferita di nuovo a Milano. Con mia stessa sorpresa, decido di confidarmi e glielo racconto. Lui ascolta in silenzio, fa un paio di smorfie tipo “accidenti, che storiaccia” e un paio di domande per capire meglio. «E la cosa bella» aggiungo, «è che io e Cinzia avevamo un’altra amica in comune, una che credevo a posto. Sapeva di Cinzia e Nicola, lei si era confessata con quest’amica. Ma a me non ha mai rivelato nulla. Una complice, insomma».
«Però Cinzia ha messo quest’altra tizia in una posizione molto difficile, in fondo, no? Se avesse parlato, avrebbe tradito lei. Tacendo, ha tradit” te».
Annuisco, lo so. Poi cambio discorso e parliamo di lui, del suo passato, del fatto che è single. Nessuna così interessante nelle recenti frequentazioni, dice. E poi confessa di avere un debole per le donne più grandi di lui.
Mi alzo per prendere le coppette per il gelato e mentre sono ancora voltata verso il mobile, Mauro si alto e mi abbraccia da dietro, appoggiando il petto solido e muscoloso contro la mia schiena. Il mio corpo reagisce velocissimo, una scarica di brividi, prima che possa fermarlo. Ma lui resta lì con le mani sulle mie, appoggiate sul mio ventre. Solo, posa le labbra sul mio collo e mi dà un bacio, dolce, lieve.
Esito un secondo poi mi scosto, gli tolgo le mani.
«Era così una pessima idea?» chiede.
«Sì, Cioè no, è che… Per me non è facile. Non sono ancora pronta» ammetto.
Mi guarda fisso negli occhi: da una parte non riesco e dall’altra non voglio distogliere i miei dai suoi. Non voglio che veda la mia paura anche se so che vede il mio desiderio, almeno credo.
Infatti si sporge e mi bacia, un tocco rapido sensuale. Poi un altro. Le mie labbra non si schiudono la prima, né la seconda volta, però la terza sì, timidamente. Mi prende, mi stringe piano il torso con le manone grandi che ha. Inizia una sorta di danza dei sensi, dell’attrazione. Mauro mi bacia le guance, il collo, scopre la spalla e bacia anche quella. Sfiora il mio seno, carezza le mie braccia, torna a più riprese sulle mie labbra. Si sbottona la camicia per permettere alla mia mano di accarezzargli i pettorali. La mia eccitazione monta piano, sento che lui adesso mi desidera. Non sono mai più stata con nessuno, dopo Nicola. Improvvisamente, mi prende un desiderio, vorrei vederlo nudo. Ma lascio fare a lui, che prendendosi tutto il tempo risveglia dolcemente il mio corpo, con pazienza, senza pressare. È più giovane, ma si muove come un seduttore che sa bene cosa fare. Un paio di volte sussurro ”no, non stasera, magari un’altra volta”, ma intanto lo bacio, lo sfioro, lo sento. Lui attende, continua a baciarmi, come se avessimo tutta la notte per noi e non volessimo metterci fretta. Finalmente sento che posso lasciarmi andare, lo voglio. In un attimo lui è sopra di me, gli graffio la schiena con le unghie, affondandole nella carne. Lui geme di dolore e questo mi carica ancora di più. Una parte di me dimentica chi sono, dove sono, lascia andare tutte le riserve. Mi godo questo momento, finalmente senza pensare.
Più tardi, lui torna a casa e io mi addormento rilassata. Due sere più tardi, il copione si ripete, con lui che sembra più appassionato che mai. E poi ancora il lunedì e il sabato dopo. Poi, mentre rincasiamo da un cinema lui dichiara: «Giorgia, io credo che mi sto innamorando di te».
Mi fermo in mezzo al marciapiede e lo guardo: «Sei serio?». Annuisce. Rispondo che è una cosa assurda da dire, dopo solo pochi incontri, ancora non ci conosciamo bene. Mauro accusa il colpo, ci rimane male, poi si avvicina e cerca di baciarmi. Mi ritraggo. «Sì, lo so: non hai ancora lasciato andare Nicola» dice. «Ma è passato moltissimo tempo e, insomma, dovresti vederti quando facciamo l’amore».
«Mauro, l’amore è un’altra cosa» replico gelida. «Con te mi sono lasciata andare perché il mio corpo ha reclamato il bisogno di un contatto umano. Di un appagamento sensuale e fisico, che mancava da tempo. Tu hai le tue doti di… fascino e sensualità, ma io ho bisogno di elaborare e poi ci sono ben cinque anni tra noi»,
Lui appoggia una mano sul mio avambraccio, la fa scorrere su verso l’incavo del gomito, poi replica: «Quindi, era solo per toglierti una voglia? Posso fartela ritornare se vuoi, lo sai? Se voglio, anzi» sorride ancora, ma amaro.
«Così fai sembrare tutto squallido. Ci siamo incontrati, ci siamo piaciuti, ma io non….».
«Tu cosa? Mi hai usato e basta o ti piaccio anche, come uomo, come persona?».
La sua accusa mi irrita. «Anche tu mi hai usato, se è per questo. Sei stato tu a cominciare. Dopotutto ti piacciono le donne più grandi, no?».
Le sue mani corrono sul mio corpo, mi accarezza una guancia e sento i brividi, come il primo giorno. Le sue labbra cercano le mie, ma sguscio fuori dal suo abbraccio e gli prendo i polsi: «Mauro, no. Ti prego, non insistere. Non voglio coinvolgere nessuno nella mia vita e soprattutto nel mio processo di…».
Mauro alza una mano a interrompermi: «Di cosa? Di continuare a tenere il sentimento fuori dalla tua vita? Prima o poi dovrai uscire dal tuo bozzolo. Dovrai ricominciare a vivere. Se non con me, con qualcun altro».
«Nicola era il mio amore, non puoi capire» mi sento dire, e mi faccio un po’ pena.
Ed è lì che io capisco tutto quanto; che l’errore è il mio, non il suo. Che sono io che inseguo i ricordi e che così sono patetica. Sospiro, gli dico di darmi tempo. Se ci tiene a vedere cosa può esserci tra noi, deve lasciarmi i miei tempi. Magari tra qualche settimana, tra qualche mese.
Mauro si riavvicina, mi bacia dolcemente sulle labbra. E rincasiamo. Sul ballatoio gli dico: «Non so quanto ci vorrà. Capirò se ti stuferai e…»
«Sono uno che sa aspettare» risponde. «Vediamo cosa ci riserverà il futuro». Chiude la porta. Sorrido, malinconica. Sono una che non sa affrettarsi. Ma in qualche modo una curiosità per il futuro, ce l’ho anche io.●
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