Ho fatto di nuovo il presepe

Cuore
Ascolta la storia

«Dài, alzati. Devi preparare il presepe. Lei lo sta aspettando!». Di colpo fui totalmente sveglia. Era stato solo un sogno?

Storia di Elena G. raccolta da Antonella Tomaselli

Sto vestendo la casa per il Natale. Per un attimo sposto lo sguardo e sbircio dalla finestra: quel cielo grigio, uniforme e immobile, non ce la può fare a intristirmi. Non voglio proprio lasciarmi prendere dalla malinconia. In compagnia di musiche natalizie tolgo dalle scatole gli addobbi per l’albero. Metto prima le luci. Poi le palline e i fiocchi. È tutto dorato il mio alberello. Mi piace. Adesso tocca al presepe. Comincio rimuovendo la carta velina in cui, l’anno scorso, ho accuratamente avvolto ogni statuetta. Poi prendo la capanna. Il pozzo. Il laghetto. Le casette. Il cielo di cartone con le stelle. Il muschio finto l’ho ricomprato l’altro giorno, quello vecchio era ormai troppo sfatto. Ho preso anche un sacchetto di neve artificiale. Per il resto, tutto è rimasto uguale. Sistemo ogni cosa. Un rito che si compie, di volta in volta, con gli stessi gesti. Questo presepe lo comprò la mia mamma, quando nacqui io. Mi ricordo che quando ero bambina, mentre lo allestiva, lei mi diceva: «Vedi questi pastorelli con le loro pecore? Ecco, ogni giorno li dovrai spostare un poco. Li avvicinerai lentamente alla capanna dove nascerà Gesù Bambino, perché è lì che loro stanno andando». Mi piacerebbe che fosse ancora qui, a guidare le mie mani con le sue carezze. Ricordo ancora che la statuina del Bambin Gesù la teneva nascosta per giorni e l’appoggiava al centro della capanna solo allo scoccare della mezzanotte di Natale, o meglio, poco dopo, quando rientravamo dalla messa. La metteva a posto e diceva: «Adesso è nato». E io la vivevo tutta quella magia. Grazie a lei. E quella festa mi riempiva il cuore di tanta dolcezza. Ma mia mamma non era buona solo a Natale, lei era generosa, onesta e bella tutti i giorni dell’anno. Era un mito. Oddio, il suo caratterino ce l’aveva, ma lo sfoderava solo quando era necessario. Mio padre era morto in giovane età. Eravamo rimaste io e lei. E forse fu anche per questo che avevamo un attaccamento smisurato l’una all’altra.
Gli anni erano passati, io ero cresciuta e mi ero sposata. Naturalmente l’avevo portata con me, nella casa di mio marito. E poi, piano piano, anche se non volevo ammetterlo, lei era invecchiata, ed erano cambiati i ruoli in tante situazioni. Anche nei preparativi per il Natale: ormai ero io ad allestire il presepe ed era lei che, giorno dopo giorno, con cura, spostava un poco pastorelli e pecorelle. Mi viene in mente un episodio che ancora mi commuove. Successe durante l’ultimo Natale insieme. Era l’imbrunire e c’erano accese solo le lucine degli addobbi. Mia mamma era seduta sulla sua poltrona, accanto al presepe. Immerse nel silenzio e in quella tenera atmosfera mi venne voglia di cantare. Cominciai flebilmente: «Col bianco tuo candor neve/ sai dar la gioia ad ogni cuor/ È Natale ancora/ la grande festa…». Lei mi seguì. Le due voci unite, in un dolcissimo momento tutto nostro. Alla fine dell’esibizione ci eravamo guardate sorridendo, con gli occhi un po’ umidi. E ci eravamo abbracciate.
Quello fu il suo ultimo Natale con me, perché poi la mia mamma volò in cielo. Lasciandomi un vuoto incolmabile.

Arrivò il mese di dicembre senza di lei e io ero ancora talmente addolorata che non volli nessun addobbo. Nessun segno di festa. Un poco mi dispiaceva per mio marito, ma non ce la facevo proprio. Del resto, avessimo magari avuto figli o nipotini, allora sarebbe stato diverso. Ma eravamo, e siamo, soli. Alla messa di mezzanotte non avevo rinunciato, ma quella è un’altra cosa. Passarono così tre Natali. E arrivò, per la quarta volta, il mese di dicembre senza di lei. Ma sapevo che non sarebbe cambiato niente.
Una mattina, era il sette, suonò la sveglia, alle sette, come sempre. Sì, ricordo perfettamente: il sette, alle sette. Allungai una mano per spegnerla e, mezza addormentata, pensai di restare a crogiolarmi al calduccio ancora per qualche minuto. Fu in quel momento preciso che sentii una voce. Era la voce di una donna anziana, ma non la riconobbi.
Udii distintamente: «Dài, alzati. Devi preparare il presepe. Lei lo sta aspettando!». Di colpo spalancai gli occhi e fui totalmente sveglia. Mi misi seduta e, accesa la luce, mi guardai intorno, mentre pensavo: “È stato un sogno? Oppure c’è qualcuno?”. Non c’era nessuno, ma quella voce non riuscivo a togliermela dalla testa. Però il presepe non l’avrei allestito ugualmente. Non aveva più senso, per me.
Più tardi io e mio marito uscimmo per fare spese. Al rientro notai la spia rossa della segreteria telefonica che lampeggiava. C’era un messaggio di Marina, la mia amica del cuore: «Chiamami appena puoi». Aveva un tono talmente strano che le telefonai subito, senza nemmeno togliermi il cappotto. Mi rispose piangendo: «Elena, La mia mamma è morta… ti ho chiesto di richiamarmi perché non volevo che tu lo apprendessi da un messaggio in segreteria». La sua mamma era malata da tempo, eppure la notizia mi colse di sorpresa. Riuscii solo a mormorare che mi dispiaceva, mentre lei mi raccontava i dettagli fra i singhiozzi. A me sembrava di rivivere gli ultimi istanti della mia, di mamma. E scoppiai a piangere anch’io. Mentre con il cordless appiccicato all’orecchio, frugavo nella borsa alla ricerca di un pacchetto di fazzoletti, mi fulminò un pensiero: capii di chi era la voce che mi aveva sorpreso quella mattina, era la voce della mamma di Marina! Smisi di piangere all’istante.
«A che ora è morta la tua mamma?» le chiesi a bruciapelo.
«Alle sette di stamattina» mormorò lei.
«Marina, stamattina alle sette io ho sentito la voce di tua mamma, mi diceva di preparare il presepe» le dissi in un sussurro. E le raccontai tutto. Eravamo entrambe impietrite. Lei sapeva che non le avrei mai mentito o riferito una cosa per un’altra. Eppure sembrava tutto così irreale, assurdo, o comunque incomprensibile. Marina riprese: «Lo devi preparare il presepe. La mia mamma ti ha portato un messaggio della tua…».
Aveva ragione Marina? Oppure il mio era stato solo uno strano sogno? Non lo so, ma una cosa è certa: di corsa cominciai a togliere gli addobbi di Natale dalle loro scatole e allestii il presepe. E da allora ogni dicembre è così. Anche quest’anno, che ormai ho compiuto 80 anni, come il mio presepe.
Giorno dopo giorno, io e mio marito sposteremo qualche pastore e qualche pecorella. Tutte le statuine di gesso cammineranno verso la capanna con la stella. Il Bambin Gesù lo conservo nell’armadio. Lo metterò al suo posto a Natale. A mezzanotte. Il dolore per la perdita della mia mamma c’è ancora, ma, anche se forse è solo un’illusione, davanti al presepe, io e mio marito ci sentiamo meno soli. Di nuovo circondati dalla magia. Mi piace pensare che lei sia qui. Immagino che stia cantando “Bianco Natal”.

Testo pubblicato su Confidenze 52/2016

Foto: 123RF

Confidenze