È di ieri la notizia che la Corte di Appello di Milano ha riconosciuto due gemellini come figli di una coppia gay stabilendo che il Comune dovrà trascrivere i certificati di nascita dei due bambini, nati in California attraverso la maternità surrogata.
I due bambini per la legge italiana risultano figli di due padri diversi ma possono comunque conservare il doppio cognome. La sentenza ha avuto una certa eco mediatica perché il Tribunale di Milano in precedenza si era espresso diversamente negando la trascrizione all’anagrafe dei due gemellini. Mentre ascoltavo la notizia al telegiornale delle 20.00 mi è tornata in mente la storia che pubblichiamo questa settimana su Confidenze: “Il segreto”, raccolta da Laura Gaggianesi.
Nella vicenda di Lea, la protagonista, c’è l’evoluzione di quasi un secolo di società e di come sono cambiati costumi e relazioni sociali, tanto da far apparire quasi anacronistico oggi il sacrificio di questa donna. Eppure fino a pochi anni fa storie come quelle di Lea erano all’ordine del giorno, e chissà quanti matrimoni “bianchi” sono stati celebrati, per salvare una certa facciata di perbenismo o un desiderio di stabilità familiare.
Non voglio anticiparvi la trama della storia (che non a caso s’intitola il Segreto…) ma voglio solo citarvi un passaggio che è anche lo snodo e il punto di svolta nella vita di Lea.
“Mi torna alla mente un pensiero che fino a un decennio prima mi avrebbe inorridita: l’altro giorno ho visto due ragazzi che attraversavano la strada in senso opposto al mio e si davano la mano tenendosi stretti. Li ho osservati e mi ha colpito la loro assoluta mancanza di vergogna per quel gesto affettuoso… Erano convinti di essere com’erano, omosessuali, né avrebbero voluto essere diversi da com’erano. Stavano attraversando la strada ed erano due persone che provavano affetto l’uno per l’altra… Non avevano nulla contro di me ma io invece sì, che avrei dovuto avercela con loro per quello che mi era successo”.
“Se solo fossi nata quarant’anni dopo tutto sarebbe andato diversamente” è la conclusione della protagonista. Forse sì, sarebbe andata diversamente, anche se credo che il senso di colpa e la mortificazione della propria femminilità restino comunque una cicatrice indelebile in ogni donna che ha vissuto un’esperienza simile.
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