“Cos’è la Sindrome Rancorosa del Beneficato? Una forma di ingratitudine? Ben di più. L’eccellenza dell’ingratitudine. Comune, per altro, ai più. Senza che i molti ingrati beneficati abbiano la capacità, la forza, la decisionalità interiore, il coraggio e, perfino, l’onestà intellettuale ed etica di prenderne atto. La Sindrome Rancorosa del Beneficato è, allora, quel sordo, ingiustificato rancore (il più delle volte covato inconsapevolmente; altre volte, invece, cosciente) che coglie come un’autentica malattia, come una febbre delirante, chi ha ricevuto un beneficio, poiché tale condizione lo pone in evidente debito di riconoscenza nei confronti del suo Benefattore. Un beneficio che egli dovrebbe spontaneamente riconoscere ma che non riesce, fino in fondo, ad accettare di aver ricevuto. Al punto di arrivare, perfino, a dimenticarlo o a negarlo o a sminuirlo o, addirittura, a trasformarlo in un peso dal quale liberarsi e a trasformare il Benefattore stesso in una persona da allontanare, da dimenticare se non, addirittura da penalizzare e calunniare”.
A chi non è accaduto, almeno una volta nella vita, di assistere con gli occhi sgranati al comportamento indecifrabile e inspiegabile di qualcuno verso il quale si è agito in modo propositivo e fattuale?
Persone in generale, certo, ma che nel particolare rispondono a nomi non comuni ma propri, femminili o maschili, dal ruolo più o meno ben definito: un marito, una moglie, un amico, un amante; un genitore e un figlio, anche. Impossibile trovare una risposta, impossibile lenire il dolore che la delusione, forte, scatena in noi. Ci sentiamo traditi, rifiutati, rinnegati. Perché? Non abbiamo agito sentendoci superiori, non lo abbiamo fatto pensando a qualcosa che potesse tornare indietro, lo abbiamo fatto per amore nel senso più ampio che l’etimologia del termine consenta.
Basta concentrarsi appena. Quella volta che abbiamo rischiato la pelle passando il compito di latino all’amica due file più in là. Quella volta che di fronte alle lacrime di un uomo che singhiozzava sulla propria vita grama abbiamo messo da parte il nostro tempo, il nostro lavoro, la nostra famiglia per aiutare lui a sbloccare una situazione esistenziale inceppata. Quella volta che…sì, proprio quella volta alla quale stai pensando tu. E poi, poi il nulla. Il cambiamento. Una luce diversa negli occhi. Un colore meno caldo nella voce. Un più o meno lento, progressivo, allontanarsi. E nessuna risposta alla domanda: “Perché? Cosa è successo? Che ti ho fatto?”.
Forse che, disconoscendo chi ci ha aiutato, sia possibile cancellare dalla scatola nera delle nostre esistenze la falla che ci pesa, la non capacità di saper risolvere da soli un blocco? Non saper ricevere significa sentirsi inferiori e questo rappresenta un complesso, un mandato familiare che pesa prepotentemente sulle nostre vite e su quelle di chi con noi si relaziona donando. Cose, tempo, soldi, riflessioni, non importa. Chi dona lo fa perché ama e non per prevaricare o dimostrare superiorità.
La riconoscenza è il primo passo verso il raggiungimento di una maturità emotiva che non giunge mai a uno stato di perfezione ma a esso tende sempre, forte di sentimenti e attitudini sane: rispetto, amicizia, amore. In una parola, Bellezza.
Per capire meglio vi, e mi, affido a Maria Rita Parsi.
Maria Rita Parsi, Ingrati (La sindrome rancorosa del beneficato), Mondadori
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