Ho l’occasione di riscattarmi: Giacomo mi ha offerto un posto da chef sul suo yacht da crociera, ma io in passato ho commesso uno sbaglio sul lavoro e non vorrei che si ripetesse. La sua presenza però è rassicurante. E tra noi accade un piccolo miracolo
STORIA VERA DI CLELIA D. RACCOLTA DA SIMONA MARIA CORVESE
Guido, in piedi dietro il ricevitore di cassa, mi guarda e scuote la testa. «Non so cosa ci fai in questo ristorantino a fare la cameriera, con il talento che hai in cucina».
Ridacchio, ma non rispondo. Mi allontano e vado al bancone vicino all’entrata. Lì manovro la macchina per il caffè e ne preparo uno anche per me. Tra il mormorio e le esclamazioni di apprezzamento dei clienti, risuona alle mie spalle il campanello della porta d’ingresso, che si apre. Mi volto con la tazzina di caffè in mano e dall’altra parte del bancone mi si avvicina un uomo in jeans e polo azzurra chiara.
Si ferma accanto all’acquario con le aragoste e si guarda intorno. Si sfila lo zaino che ha su una spalla, estrae un paio di occhiali dalla sottile montatura di corno, li inforca e incrocia il mio sguardo.
Bevo un sorso di caffè e punto il dito verso un tavolo libe- ro in mezzo alla sala. «Si accomodi pure lì».
Lui mi rivolge un sorriso affabile. «No, mi scusi, vorrei parlare con Guido, il proprietario. Dove posso trovarlo?». «È in cucina, glielo chiamo. Lei è un critico gastronomico?». Il suo sorriso si allarga, fino ad arrivargli agli occhi. «Sono il capitano del grande yacht a vela giù al porto. Il nostro cuoco si è infortunato e devo sostituirlo con un bravo chef che ci segua per tutta la crociera tra le isole dell’arcipelago toscano».
Mi s’illumina lo sguardo. «Allora Guido è la persona giusta. È stato il mio insegnante alla scuola alberghiera molti anni fa e ancora oggi un mentore».
Gli porgo la mano. «Molto lieta, sono Clelia. Benvenuto».
Lui me la stringe con una presa sicura, lancia un’occhiata fulminea al muro dietro il bancone e torna a studiarmi. «Molto lieto, Giacomo. Sei stata chef su quello yacht fantastico nella foto? Lo conosco».
Guardo la foto dove sono ritratta con la di- visa di brigata e mi stringo nelle spalle, evasiva. «È stato tempo fa. Vado a chiamarti Guido».
Mi volto e, con i battiti del cuore accelerati, mi affretto ad andarmene per evitare altre domande.
«Come sarebbe a dire che dovrei andarci io a lavorare sullo yacht?» dico alzando il sopracciglio.
Guido, con una mano appoggiata al bancone, abbassa fulmineo lo sguardo. Sospira e tor-na a guardarmi. «La nostra cucina familiare piace e quest’estate avremo tanti turisti. Questa è la tua occasione per riscattarti, Clelia».
Raggelo e arretro di un passo. «Lui sa del mio passato?».
Guido si sporge verso di me con un luccichio negli occhi. «Se vorrai glielo dirai tu. Io gli ho lasciato la mia referenza perché ti conosco bene».
Incrocio le braccia. «Così inizio con il piede sbagliato: nascondo un segreto».
Guido si stacca dal bancone e punta i pugni sui fianchi. «Devi reagire, Clelia».
Scuoto la testa. «È proprio questo il punto: è stata colpa mia. Quando glielo dirò, perderò la sua stima».
Guido sbuffa. «Prima però avrà avuto modo di vedere quanto vali ai fornelli e come persona. Ha bisogno di una brava chef, Clelia».
Alzo un sopracciglio e non ho altre parole per ribattere. Ho l’occasione di riscattarmi e affrontare le mie paure. Cosa faccio? Se non accetto non mi riguadagnerò il rispetto come professionista e neppure la fiducia in me stessa e nelle mie capacità.
Annuisco. «Hai ragione: non posso continuare a nascondermi qui. Accetto».
Poco dopo, mi ritrovo sullo yacht, come chef. Apro la porta del forno e con il guantone sulla mano estraggo una teglia.
Alzo lo sguardo verso Giacomo e il sorriso
che mi rivolge mi scalda il cuore. «Tu ci vizi. Anche il pane fresco sfornato sul posto! Se hai finito, vorrei presentarti il mio equipaggio sul ponte».
Lo seguo su per le scale e ci andiamo a sedere insieme ai marinai in polo bianca e bermuda beige sul lucido teak del ponte. Lui osserva in silenzio e parla poco. La sua voce calda e il tono pacato trasmettono autorevolezza. Loro gli fanno rapporto con rispetto spontaneo e non lo interrompono mai.
Giacomo, seduto su una sedia pieghevole, con un braccio agganciato allo schienale, fa un respiro profondo e soddisfatto. «Adesso i vostri punti di forza e le debolezze della giornata».
La brezza mi sferza i capelli e la schiuma delle dolci onde che s’infrangono contro lo scafo sprigiona un odore di salsedine. Lo ascoltiamo tutti con grande interesse, ma il marinaio alla mia destra mi da una leggera gomitata e mi mormora qualcosa.
«Prego?» chiedo.
«Ho detto che è il miglior capitano con cui ho lavorato finora».
Ogni tanto si sofferma a studiarmi per qualche secondo: non sfugge nulla ai suoi occhi.
Io sono l’ultima arrivata, comprendo che voglia farsi un’idea di me, ma alla responsabilità che mi sono presa si aggiunge la pressione dell’essere sotto la lente d’ingrandimento.
Le prime, buone impressioni che si danno sono importanti ma non servono a nulla se si nascondono segreti. Mi rigiro l’orologio che ho al polso ed emetto una serie di brevi respiri per mantenere il controllo.
Le case di Portoferraio e le imbarcazioni attraccate alla Darsena Medicea si riflettono sullo specchio d’acqua. Non c’è vento e ondate di calore si sollevano dal cemento del molo, dove gli ultimi diportisti in costume da bagno riportano le barche. Una grossa gomena lega il nostro yacht a una bitta.
Le rifiniture cromate di bordo scintillano all’ultimo sole e io, dalla mia sedia sdraio sul ponte, socchiudo gli occhi e lascio filtrare i raggi tra le mie ciglia. Gli alberi nudi si protendono verso il cielo e le corde sono ben legate alle pulegge. Mi lascio cullare dallo scafo che urta piano contro i piloni.
«Complimenti per il pranzo di stasera». Giacomo aggira la mia sdraio e si siede su quella ac- canto. «Dopo quattro giorni a circumnavigare l’Elba e la tua impeccabile cucina toscana, non potrei essere più soddisfatto. Ti confesso però che non avevo mai gustato prima i pici al sugo bianco di pesce».
Volto la testa verso di lui e gli sorrido. «La ricetta proviene da un vecchio libro di bordo del senese: per questo non è molto conosciuta».
Mi piace lo stile di leadership di Giacomo: vuole la partecipazione attiva di tutto l’equipaggio e ottiene il meglio che ognuno riesce a dare.
Lui guarda la rada, silenzioso ma torna subito a lanciarmi una rapida occhiata. «Ti voglio su questo yacht come personale fisso. D’estate è noleggiato per crociere in tutto il Mediterraneo ma per il resto dell’anno abbiamo altre destinazioni».
Rido. «Non lavoro più sugli yacht di lusso. Questa è un’eccezione per fare un favore a Guido».
«Non capisco. Sei un’ottima chef: puoi cucinare quello che vuoi, ovunque. Perché hai smesso di lavorare sugli yacht a vela?».
Stringo il bracciolo della sdraio. Sono pronta ad ammettere il mio errore, ma temo che sia troppo tardi per farlo. «C’è qualcosa che non sai. So che dopo non mi stimerai più ma ti devo la mia sincerità, Giacomo».
Lui sgrana gli occhi, meravigliato e si stacca dallo schienale per sporgersi verso di me.
Deglutisco a fatica. «Ho sovrastimato le mie capacità e mi sono impegnata in un lavoro che non sono stata capace di portare a termine». Ho un nodo in gola. «Ho commesso l’errore di non verificare a sufficienza la reputazione di un fornitore per una crociera, prima d’ingaggiarlo per conto dei proprietari dello yacht».
Lui alza un sopracciglio e l’espressione del suo viso si fa tesa. «Cosa è accaduto?».
«La fornitura non è mai arrivata. Ho perso il lavoro e la mia reputazione è rimasta distrutta».
Abbassa lo sguardo ed emette un profondo respiro. «Mi dispiace, davvero».
Rimango a bocca aperta e lo guardo, incredula. «Non mi aspettavo la tua comprensione».
La sua voce si fa più calda. «Non devi permettere che un errore governi il resto della tua esistenza. E quello che fai ora, qui su questo yacht, è un ottimo lavoro».
Allento la presa sul bracciolo e, travolta dal sollievo, una sensazione di calore si diffonde nel mio petto. Lo guardo ngli occhi, con sincerità: «Grazie. Credevo che avrei perso anche questo lavoro, dopo averti confessato il mio errore». Mi sorride e il suo tono diventa premuroso. «Senti, ho notato che in cucina ascolti spesso musica classica. Do- mani sera c’è un concerto per archi e pianoforte, nel giardino della Villa dei Mulini. Ci andiamo?».
Le ultime note del “Trio per violino, violoncello e pianoforte n. 1 op. 63” di Schumann risuonano nell’aria umida della notte. Qualche istante di silenzio attonito e poi l’applauso fragoroso del pubblico.
Giacomo e io ci alziamo dalle nostre sedie nelle prime file e ci facciamo largo tra la folla vociante che commenta il concerto. Lui cammina accanto a me. «Bel concerto. Vai spesso anche tu ad ascoltarli?». Al primo piano della villa un’imposta verde mal chiusa cigola al soffio della brezza e lascia intravedere la luce di un lampadario.
Alzo lo sguardo al cielo, incrostato da miriadi di stelle scintillanti e pondero la risposta. La luna fa capolino attraverso i rami dell’antico leccio. «Ci andavo con il mio ragazzo. Abbiamo avuto una relazione a distanza ma lui si è innamorato di una ragazza della sua città e abbiamo rotto. Non è stato un periodo facile quello che ne è seguito». La brezza marina smuove le foglie della palma in un dolce fruscio che accarezza anche le mie braccia nude e porta fino a noi il delicato profumo dei fiori della carissa, candidi e stellati. Tra i suoi cespugli si intravedono alcuni frutti fucsia, grandi come prugne.
Giacomo ridacchia. «Ti capisco. La mia ragazza invece aveva un amico d’infanzia. Mi assicurava che erano solo amici ma lungo la strada sono diventati qualcosa di più e ora sono sposati».
Gli poso una mano sul braccio. «Grazie, mi sento meglio a sapere che qualcuno mi comprende. E com’ è nata la tua passione per il mare?».
Un guizzo impertinente si accende nei suoi occhi. «Per opposizione. Mio padre e mio fratello sono piloti dell’Aereonautica militare. Io sono la pecora nera della famiglia: li ho delusi ma il mio elemento è l’acqua».
Si ferma accanto alla statua di Minerva e mi guarda dritto negli occhi.
«Ho dimostrato loro di riuscire a realizzarmi nel lavoro che amo e, a distanza di anni, le voci concitate dell’equipaggio che mette in moto lo yacht, il rumore dell’ancora che leviamo e quello delle vele issate che sventolano, mi fanno venire ancora un brivido lungo la schiena».
«Ammiro la tua determinazione a realizzarti, contro il volere della tua famiglia». Continuiamo a camminare fino al parapetto del bastione che si affaccia sullo stra- piombo e ci fermiamo di fronte al grande stemma con l’aquila imperiale. Piccole onde increspano la superficie del mare, illuminata dalla luce della luna, digradata dall’oro al bianco. Lui mi sorprende con una carezza sulla guancia, che mi fa arrossire. Provo qualcosa per Giacomo ma non voglio ferirlo, perché alla fine di questa breve crociera so che tornerò a lavorare al risto- rante di Guido. Anche nei suoi occhi leggo coinvolgimento, ma non voglio impegnarmi in una nuova relazione.
Qualche giorno dopo, Giacomo si affaccia alla porta del- la cucina. «Clelia, mi daresti un bicchiere d’acqua?».
Io siedo nella zona pranzo, con i gomiti appoggiati al piano del tavolo e la testa tra le mani. Avverto la sua voce a scoppio ritardato e alzo lo sguardo verso di lui. Giacomo perde il sorriso. «Cos’è successo?»
Mi alzo e incrocio le braccia. «Il fornitore di pesce si è tirato indietro. Ne devo trovare un altro per la cena di domani. Mi sembra di essere ripiombata nell’incubo di qualche anno fa».
Giacomo mi si avvicina e mi mette una mano sulla spalla. «No, è un’altra situazione, Clelia: ti ha avvertito per tempo, non è sparito senza dire nulla. Stai tranquilla: sono certo che ce la farai a trovarne un altro». Si china verso di me e si avvicina alle mie labbra ma io gli poso lieve la mano sul petto e scuoto la testa.
«Non posso entrare in una relazione romantica di lungo termine, Giacomo. Siamo onesti: quanto ci metteresti a stancarti di me?».
Lui si stacca, lento, da me e fa un passo indietro. «Questo contrattempo ti ha innervosita: ora non sei nel- lo stato d’animo per parlare di queste cose. Mi dispiace però che pensi questo di me».
Si volta e se ne va, incapace guardarmi. Mi accascio con la schiena alla panca, le spalle curve e la testa bassa. Non sono riuscita a essere all’altezza del- la situazione. Ho accettato questo lavoro per risolvere un problema a Giacomo ma mi sono fatta prendere dall’an- sia di fronte a un imprevisto. Sono una chef professioni- sta e sono capace di fronteggiare questo intoppo.
Non mi capacito però di aver respinto Giacomo. Lui mi piace e ho avuto un assaggio di quello che è l’amore giusto per me: anche se ora so quanto sia dolce, lo devo sfuggire se voglio risparmiarmi un’altra delusione. Prima di tutto la cena. Afferro il cellulare e compongo il numero. «Dario, un fornitore mi ha piantata in asso e devo cucinare una cena per domani sera. Riesci a pro- curarmi il pesce che mi serve per domani mattina?».
La sera del giorno dopo, Giacomo mi si avvicina al buffet sul ponte. «Complimenti per la cena, Clelia. Ero certo che saresti riuscita a cucinare un altro menù dello stesso livello».
Lo guardo dritto negli occhi e i battiti del cuore mi accelerano.
«Scusami per quello che ti ho detto, ma ho cominciato a provare qualcosa per te e avevo paura che tu ti saresti stancato di me».
Lui mi sfiora il braccio e scuote la testa. «Anch’io, ma non devi scusarti. Ho capito subito che eri la donna che ho atteso per tutta la vita».
Si china verso di me, ma sono io a colmare la distanza che ci separa per baciarci.
La tensione che ho alle spalle si scioglie e gli occhi mi si inumidiscono. «Tu sei riuscito a far breccia nella fortezza di solitudi- ne in cui mi ero chiusa e ora guardo al mio futuro con ottimismo e fiducia».
Ho messo da parte le aspettative non realisti- he che avevo su me stessa e le ho sostituite con obiettivi raggiungibili: così ho riguadagna- to la fiducia in me stessa. Ho accettato anche i miei sentimenti e desideri repressi e grazie a lui ho imparato a esprimerli. Ora sono in pace con il mondo e posso essere davvero felice con Giacomo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ultimi commenti