Confesso, ho sempre avuto un debole per lo shopping. L’abbigliamento è una delle mie principali voci di spesa:, sono capace di restare con la stessa auto per quindici anni ma non rinuncio a un paio di sandali nuovi o alla borsa di ultimo grido.
Da quando è nato mio figlio ho riversato in parte su di lui le mie smanie di acquisto: e allora eccomi tornare a casa trionfante con una felpa nuova e chiedergli speranzosa: «Ti piace?» per sentirmi rispondere il più classico dei commenti maschili: « ancora vestiti? Uffa, mamma ne ho già …».
Naturalmente adeguo le mie capacità di spesa alle entrate, ma ripeto, se devo scegliere tra una cena fuori e un golfino nuovo non ho dubbi, opto per quest’ultimo.
Così mi sono sentita personalmente chiamata in causa leggendo la storia vera “Appuntamento alla stazione” raccolta da Laura Minetto e pubblicata su Confidenze. Mentre seguivo tra le righe le vicende di Milena, cercavo di capire quanto i suoi comportamenti fossero simili ai miei. E un po’ mi sono ritrovata: mi è venuto in mente, per esempio, di quel tailleur di Giorgio Armani, acquisto inconsulto di tanti anni fa, dopo un amore finito male, compensato da quel capo un po’ fuori le righe (avevo speso una fortuna per ripicca, proprio perché lui derideva in continuazione la mia vena di shopping).
Mi sono ritrovata poi con Milena nella stessa deludente sensazione di quando l’abito dei desideri, tanto inseguito e anelato, rimane inutilizzato appeso nell’armadio, come se improvvisamente avesse perso tutto il suo fascino. Insomma, sono consapevole che dietro la mia smania di acquisto c’è un vuoto da colmare, un’insicurezza di fondo da risolvere, ma non so dire quale.
O forse, più semplicemente, sono anch’io vittima dell’idolatrato dio del consumismo, come spiega tra l’altro lo psicologo Paolo Legrenzi, a lato del racconto.
Oggi però non ho più fidanzati da inseguire, ma un marito che amo profondamente e che quanto a consumismo è l’opposto di me, (dire che è francescano è poco) però non mi denigra, e sorride con dolcezza davanti ai miei “acquistini” come li chiama lui; credo che sia anche per questo che l’ho sposato.
Insomma, propendo per una frivolezza che negli anni mi ha fatto riempire il guardaroba, ma mai perdere di vista quali sono i valori veri nella vita. E voi che rapporto avete con lo shopping? Dipendente o indifferente?
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