Ho sempre avuto cani, ma mai un cane di strada, un randagio o trovatello, se preferite. Alcuni ne ho salvati, sì, perché malati per esempio, ma non ne ho mai presi in canile.
La spiegazione che vi do non piace a me per prima: non sono mai riuscita a entrare in un canile. Anzi, no. Una volta ci sono stata, ma sono dovuta scappare subito. Mi faceva troppo male il cuore. E, da quella volta, non ci ho più riprovato.
Il desiderio di ridare speranza a un randagio sfortunato, invece, l’ho sempre avuto e, negli anni si è sempre più radicato dentro di me. Finché, qualche anno fa, per l’interesse e l’impegno che riesco a dedicare al recupero dei cani abbandonati, ho scoperto l’orrore dei canili spagnoli. Le ormai famose perreras, dove i randagi vengono rinchiusi per pochi giorni senza cibo né acqua e infine soppressi se non hanno richieste di adozione.
Era la mia occasione, e così è arrivata Kuki. Un cane di soli due anni e 4 kg di peso con un passato terribile di percosse (ha una frattura scomposta “da calci” a un femore posteriore) salvata da un’associazione italiana di volontari che operano in Spagna.
Non è stato facile inserirla fra i miei due cani e, sinceramente, non lo è tuttora. La verità è che un cane di strada, un cane che ha visto davvero l’altra faccia dell’uomo – il suo dio – resta per sempre segnato.
Kuki, di fondo, è sempre in ansia, ha sempre paura. È tranquilla solo con me e da sola con me. Con me viene dovunque e a qualunque condizione. Da me si fa curare e accudire quando spesso anche il veterinario ha problemi a visitarla. La missione quotidiana di Kuki, il suo “lavoro”, è non perdermi di vista e difendermi dai nemici, veri o presunti da lei che siano. È gelosa e possessiva e spesso addirittura morde Joy, la mia bulldog inglese, che per fortuna non si ribella, altrimenti sarebbe una vera tragedia. Joy le prende, passivamente, e io credo perché sente forte e chiaro il “danno” pregresso di Kuki.
A questo punto penserete che non è certo una vita tranquilla, la mia. Ve lo confermo, ma rifarei tutto, anche se capisco che per Kuki ideale sarebbe stato essere l’unico cane di casa.
Diciamo che io faccio del mio meglio per aiutarla a vincere i suoi fantasmi e lei fa molto di più: mi ama come solo un cane sa fare, con un valore aggiunto rispetto ai miei altri due.
Io sono la persona che le ha ridato speranza negli esseri umani, quella che l’ha raccolta e salvata. La responsabilità che sento verso di lei è totale, perché non credo di esagerare quando penso che Kuki per me darebbe la vita. Glielo leggo ogni minuto negli occhi.
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