L’immobile in vendita lo conosco bene, è la villa dove abitava il mio ex fidanzato con la sua famiglia. Quando entro, in un attimo affiorano i ricordi delle umiliazioni subite. Decido allora di prendermi una piccola rivincita
storia vera di Giulia raccolta da Giovanna Brunitto
Il nostro corpo sa. Potrebbe sembrare una banalità, una di quelle frasi che si leggono sui social, ma io questa consapevolezza l’ho provata sulla mia pelle sin dall’infanzia. Il mio corpo ha sempre saputo quali fossero le persone che andavano bene e quelle che invece non facevano per me. I messaggi che mi arrivavano erano chiari, netti e da bambina li ascoltavo senza problemi. Quando andavamo a far visita zia Nuccia, piangevo appena arrivavamo in casa e smettevo quando uscivamo, non c’era verso di farmi calmare fintanto che non andavamo via. Zia Nuccia era la sorella di mia nonna e adorava mia madre, ma non so per quale motivo io gli stavo antipatica. Appena superavo la soglia della sua casa, sentivo il malanimo che mi penetrava nelle braccia facendole diventare pesantissime. Per liberarmi da quel peso non potevo far altro che piangere, costringendo mia madre a fuggir via appena possibile. Poi crescendo avevo dovuto domare questa parte istintiva e imparare a mediare le sensazioni del mio corpo, relegando la parte istintiva in un angolo dei pensieri. Oggi ho riscoperto quella parte e ho imparato ad ascoltare, oltre che la logica, anche le sensazioni che il mio corpo mi invia. Ieri, per esempio, mi doleva il mignolo e tutta la mano destra e sapevo esattamente cosa significasse, ma in quella casa ci sono dovuta entrare e quel dolore, così acuto, l’ho subito in silenzio.
Io sono titolare di un’agenza immobiliare che si occupa di acquisti e vendite di case d’epoca. La città dove abito ha una storia millenaria e tutto il circondario è puntellato di vecchie dimore signorili, castelli arroccati su colline che i proprietari talvolta vendono per l’impossibilità di sostenere gli ingenti costi di manutenzione. Ecco che allora si rivolgono alla mia agenzia che ha una vocazione nel saper trovare l’acquirente giusto. Il mese scorso sono stata contattata da un avvocato residente nel paese della mia infanzia e mentre raccoglievo le notizie utili, il mio corpo si inarcava e mi inviava degli stimoli elettrici ad ogni parola. A fine chiamata sapevo già la risposta, l’immobile che avrei dovuto visitare di lì a poco per una vendita era la casa della famiglia di Luca. La vita sa sorprendere non c’è che dire!
Non vedevo Luca da quando mi ero trasferita in città e ne era passata di acqua sotto ai ponti. Ho chiamato mio marito e gli ho raccontato della chiamata e lui si è messo a ridere, ricordandomi che, come sosteneva ad ogni piè sospinto, è sempre solo una questione di tempo e dopo trent’anni era arrivato il mio momento per avere l’ultima parola su Luca e sulla sua famiglia. La sua positività mi ha fatto dimenticare per un po’ i messaggi elettrici che arrivavano dal mio corpo. Il mese è passato veloce e ieri mattina sono arrivata in piazza del paese dove ho incontrato l’avvocato. La strada la conoscevo, ma sono salita in macchina con lui e mi sono fatta spiegare tutti i pregi del luogo. Poi siamo arrivati davanti alla villa e la luce tenue dell’autunno che si rifletteva sulla facciata non faceva che aumentare la bellezza retrò del luogo che ben ricordavo. All’ingresso l’avvocato spalancando un braccio mi ha indicato l’ampio giardino dicendomi che lì i proprietari erano soliti dare feste all’aperto rinomate in tutto il circondario. Confermo, erano feste bellissime. Ho fatto alcuni passi verso il giardino e ho chiuso gli occhi. Luca era lì, bello e dannato, appoggiato all’albero in fondo al viale con lo sguardo torvo. Era appena arrivato nella nostra classe, eravamo all’ultimo anno di ragioneria, e lui era ripetente da non so quale scuola privata dalla quale era stato espulso per comportamenti non consoni all’educazione. Dopo qualche giorno dall’inizio delle lezioni, aveva invitato tutta la classe ad una festa a casa sua e noi ci eravamo presentati tutti. Io ero abbagliata da tanto lusso e sfarzosità, era tutto lucente, elegante, sontuoso. Così tanto che ad un certo punto mi ero allontanata verso un angolo meno frequentato per riprendere fiato. Luca mi aveva raggiunto e mi aveva chiesto se nel corso dell’anno avessi potuto dargli una mano con i compiti. Avevo risposto con un po’ troppo entusiasmo che poteva contare su di me e, mentre si allontanava senza neanche azzardare un grazie qualsiasi, avevo sentito una stretta tra le scapole, come un pugno, qualcosa che avrebbe dovuto fermarmi all’istante dal fare altri passi avanti, ma avevo ignorato quel segnale. Luca mi era piaciuto subito, quel suo modo sfrontato mi lasciava senza fiato, finalmente qualcuno si era accorto di me e che fosse proprio lui, il ragazzo più bello e ricco del paese, era ancora più stupefacente. Lo avevo seguito per tutta la festa, camminando nella sua scia. L’aiuto al quale si riferiva Luca comprendeva prendere appunti, fare i compiti e studiare al posto suo, poi presentargli un resoconto breve che lui portava ai professori. Tutto questo per arrivare alla maturità e scoprire che lui aveva preso un voto molto più alto del mio perché suo padre era amico di un amico del presidente della commissione. Davanti alla mia delusione, Luca mi disse che così andava la vita e mi baciò. Quando mi baciava, i miei pensieri si annullavano e i difetti, le presunzioni che aveva diventavano invisibili. Anche l’università seguì lo stesso corso. Io ero quella che studiava e faceva per due, lui viveva di rendita. Penso che fu per questo che i suoi mi accolsero come sua fidanzata senza batter ciglio, io ero capace di far sì che fosse in regola con gli esami e loro passavano sopra la mia estrazione popolare. Talvolta in certi sguardi vedevo riflesso dello sprezzo nei miei confronti, ma fino alla fine dell’università non si concretizzarono mai in null’altro e io ero troppo innamorata per dare peso a quello che quegli sguardi celavano.
L’avvocato mi ha riscosso da questi pensieri e mi ha accompagnato a vedere gli interni. Anche l’ampia sala al pian terreno è rimasta come la ricordavo, forse solo più polverosa e spoglia, sulla parete di destra sono apparse delle ombre chiare lasciate dai quadri che sono stati eliminati. Il papà di Luca era molto orgoglioso dei dipinti di metà Ottocento che collezionava e che donavano al salone un’aurea di vecchia nobiltà. Sempre l’avvocato mi ha detto che le pareti sarebbero state tinteggiate prima della vendita e che i vecchi quadri non erano più nella disponibilità del proprietario. Un modo elegante per farmi capire che chi vendeva aveva un disperato bisogno di soldi. Saliti poi al piano superiore abbiamo visitato le camere da letto e in fondo al corridoio c’era quella di Luca. Quasi tutto uguale. Il letto grande al centro e intorno tanto spazio, nell’angolo un vogatore ormai desueto dove lui si allenava tutti i giorni. Posso sentire ancora il rumore dei remi che si intervallava alle mie spiegazioni di economia comparata e poi i nostri respiri che si fondevano sul letto e che mi facevano dimenticare qualsiasi cosa. Il collo, nel frattempo, mi duole e mi sovviene che era proprio lo stesso punto dove Luca mi baciava dopo aver fatto l’amore. Con la mano sul collo seguo l’avvocato nel resto della casa e non c’è un angolo dove non lo riveda. Lì sulla poltrona che si vanta di meriti che non ha, oppure in piedi nel tinello mentre con tono sprezzante chiede alla signora che aiutava in casa dove fosse qualche suo abito sicuramente lasciato in giro. E poi arriviamo in cucina. Grande e spaziosa con l’angolo pranzo ancora uguale e la porta spalancata che si affaccia in sala. Proprio dietro quella porta, trent’anni prima, ho aperto gli occhi.
Nel frattempo, l’avvocato leggendo da una cartella elenca gli spazi, le metrature e i punti forti della casa. Io mi siedo e dirigo lo sguardo alla porta con la quale si accede alla sala.
Era settembre e in casa fervevano i preparativi per la cena serale che si sarebbe tenuta all’esterno. Una delle tante feste che sancivano la potenza della famiglia di Luca, alla quale venivano invitate tutte le persone che contavano in paese. Io ero agitata perché il martedì successivo dovevamo dare insieme l’ultimo esame prima della tesi e non riuscivo a concentrarmi con tutto quel caos e neppure a tenere Luca fermo per fargli ripetere gli argomenti. I miei genitori tante volte mi avevano messa in guardia di non legarmi così tanto e, se Luca non riusciva a starmi dietro, di andare avanti per conto mio ma avevo preso un impegno con lui e volevo rispettarlo a tutti i costi. Poi, l’idea di perderlo mi era insopportabile. Ero innamorata e provavo per lui una tenerezza che superava tutte le obiezioni possibili. Non sentivo le ragioni dei miei, né quelle delle amiche. Nella mia testa erano tutte superabili col tempo, dopo la laurea Luca avrebbe preso il posto di suo padre nell’azienda di famiglia e io avrei trovato lavoro, ci saremmo sposati e avremmo viaggiato in lungo e largo nel mondo. Ero una ragazzina! E proprio sulla soglia di quella porta si sono infranti i miei sogni. Ero uscita dalla camera per cercare Luca, dovevamo ripetere qualcosa insieme, e ad un certo punto l’avevo sentito battibeccare a mezza voce con sua madre. Capitava che litigassero e cercavo di non intromettermi tra di loro. Mi ero fermata dietro la porta in attesa che smettessero e trovare il momento buono per riportare Luca sopra a studiare. Mi ero ritrovata così ad ascoltare quello che stavano dicendo. Parlavano del futuro di Luca, sua madre sosteneva che dopo la laurea doveva andare a Londra per un master e lui invece voleva iniziare subito a fare il capo nell’azienda di famiglia. Aveva proprio usato queste parole. Erano andati avanti un po’ ciascuno portando avanti la propria tesi e, ad ogni parola pronunciata da uno dei due, io sentivo sempre più freddo. Né Luca, né sua mamma avevano accennato a me, non ero compresa nel loro disegno di futuro. Poi avevo sentito distintamente il mio nome: Giulia! Avevo teso di più l’orecchio e sua madre stava dicendo che, appena laureato, si sarebbe dovuto liberare una volta per sempre di me e per trovare una compagna adeguata al suo livello. Una fitta al petto mi prese così forte che dovetti appoggiarmi allo stipite per non cadere. Sapevo di non riuscire particolarmente gradita alla famiglia di Luca ma non pensavo di essere considerata proprio una nullità, le parole di sua madre mi avevano fatto molto male. Ma quello che letteralmente mi lasciò senza fiato fu la risposta di Luca: “Non me ne frega niente di Giulia, mi serve per lo studio e basta!” Un pezzo del mio cuore cedette. Uscii allo scoperto e tirai un forte scossone alla porta non ricordando che avevo la mano nello stipite. Non feci in tempo a tirar via la mano che la porta mi stritolò il mignolo che iniziò a sanguinare. Un dolore terribile, fisico questa volta, mi invase. Luca e sua madre si accorsero di me dall’urlo che tirai. Si guardarono entrambi consci del fatto che li avessi ascoltati, ma se si vergognassero non saprei dirlo perché scelsero di fare finta di niente. Nel frattempo, in sala erano arrivate altre persone richiamate dalle mie urla di dolore. Fu la signora Mila che aiutava in casa a capire che avevo bisogno di qualche punto di sutura al mignolo e disse che dovevo andare al pronto soccorso. Guardai Luca, convinta che si sarebbe fatto avanti, ma lui disse che non poteva accompagnarmi perché gli ospedali gli facevano impressione, sua madre si scusò ma non poteva lasciare la casa perché gli ospiti sarebbero arrivati di lì a poco. Si decise di farmi accompagnare dalla signora Mila e dal giardiniere. Ero impalata con la mano sanguinante in mezzo a quella stanza, con il cuore a pezzi, intontita dal dolore e dalle parole che avevo sentito che mi riecheggiavano in testa e Luca con calma se ne uscì per andare nella sua stanza. In quel momento non realizzai subito, ma quella era la mia uscita definitiva da quella casa e dalla vita di Luca. Dopo quattro punti di sutura al mignolo, me ne tornai a casa a ricomporre i cocci di quella giornata e della mia storia finita. I giorni e i mesi che seguirono furono tristissimi. Mi laureai in solitudine e vidi dalla strada la festa galattica che Luca invece aveva organizzato per la sua di laurea. Tutti coloro che incontravo, la mia famiglia in primis, mi dicevano che avevo fatto bene ad andarmene e a lasciare quel superbo di Luca. Io annuivo e non avevo il coraggio di confessare a nessuno che non avevo lasciato nessuno, era Luca che mi aveva rifiutato. Non che facesse grande differenza nel risultato, ma nascondere quella verità mi bloccava. Mi pareva di non riuscire a trovare una nuova strada per me e il mio corpo questo lo sapeva. Se guardo qualche foto di quel periodo, vedo una Giulia curva e a capo chino come una persona che trasporta un grosso peso sulle spalle, invisibile eppure reale allo stesso tempo. Trascorsi un anno in quello stato, poi quando vidi che Luca andava in giro in macchina con la sua nuova fiamma, capii che era arrivato il momento di andarmene. È iniziata in città così la mia risalita, lenta all’inizio e poi man mano più veloce. Quando ho incontrato Milo e ho capito che la storia con lui diventava seria, ho deciso di raccontargli tutto. È stata la prima persona alla quale l’ho detto. Ho pianto tanto con lui, ho intervallato lacrime e parole ma poi è accaduto qualcosa di strano, il dito della mano che non muovevo più da quando era stato stritolato nella porta ha ripresa la mobilità. Il mio corpo mi stava dicendo che Milo era quello giusto ed io stavolta l’avrei ascoltato.
L’avvocato, vedendomi assorta, mi ha chiamato un paio di volte chiedendomi se avessi compreso la richiesta dei proprietari e tutto il resto. Allora sono scattata in piedi, anche le mie gambe hanno la loro parte nella mia storia, e ho deciso all’istante. Ho salutato con garbo l’avvocato e senza dare spiegazioni sono uscita, stavolta a testa alta, da quella casa. Ho guardato indietro ancora una volta e, con una piccolissima punta di soddisfazione, ho salutato per l’ultima volta il mio passato lasciando Luca e i suoi guai finanziari a sprofondare. Come dice Milo, mio marito, è sempre e solo una questione di tempo!
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