Sul blog, la storia più apprezzata del n. 11
Con Carmine mi ero accontentata di essere l’altra perché un sentimento tanto profondo non l’avevo mai provato e speravo nel lieto fine. Ma lui spariva per lunghi periodi per poi tornare, tenendomi così legata. Mi serviva uno shock per capire la verità
STORIA VERA DI ADRIANA F. RACCOLTA DA ANNA BALTIA DELFINI
Ho letto il messaggio e il cuore mi è saltato in gola: “Ciao, Adriana, come stai? Avrei bisogno di vederti, so che non me lo merito, ma pensaci per favore”. Non sentivo più Carmine ormai da un anno, avevo dato per finita la nostra storia da diverso tempo. Eravamo stati amanti, anche se questo termine era decisamente riduttivo. Ci eravamo innamorati. Certo nessuno ci credeva, eppure i nostri baci, i nostri abbracci, le nostre lacrime, le nostre confessioni erano vere, lo erano sempre state. Ma Carmine era un uomo complicato, con un passato difficile e la semplice idea di lasciare la donna che gli era stata accanto negli anni più duri della sua esistenza lo aveva tormentato sin dal principio della nostra relazione.
Continuava a domandarsi e a domandarmi perché mai l’avesse tradita, lui che una cosa del genere non l’aveva mai neppure pensata. Non l’amava più, ma non aveva il coraggio di ammetterlo neppure con se stesso. Quella donna gli aveva garantito uno stile di vita in una grande città che lui, cresciuto in un piccolo paese contadino del sud, non aveva mai neppure sognato. Era un lavoratore precario, lo sarebbe sempre stato e lei era il suo punto di riferimento, soprattutto economico. Me lo aveva confessato fra le righe, vergognandosene moltissimo. Che razza di uomo era? Mi ripetevano le amiche, ma la verità è sempre stata molto più complessa.
Eravamo stati travolti per caso da quel sentimento inaspettato per due adulti abituati ad altro, io a storie passeggere e lui alla routine di coppia. Ci aveva presi subito la passione, ma erano arrivati presto anche le carezze e l’intimità. Non avevo mai chiesto niente a Carmine, mi ero “accontentata” di essere l’altra, perché un sentimento così profondo io non lo avevo mai provato e nonostante avessimo tentato fra pianti e dolore di lasciarci, alla fine ritornavamo l’una nelle braccia dell’altro.
Una parte di me sperava che la lasciasse, volevo illudermi di essere proprio io quel caso raro di lieto fine fra due persone che non si erano cercate, ma non si sarebbero più potute perdere. Poi una sera dopo essere stati insieme come tante altre volte, Carmine mi aveva guardata negli occhi, occhi pieni di tristezza e rammarico e mi aveva sussurrato «ti amo» in un orecchio. Lo avevo stretto e baciato forte senza sapere che di lì a poco sarebbe completamente sparito dalla mia vita. Era accaduto questo, se ne era andato, così all’improvviso, senza dirmi niente, non aveva più risposto ai miei messaggi né alle mie chiamate e a un certo punto piena di rabbia e colpita nell’amor proprio avevo cancellato il suo numero.
Perché aveva voluto punirmi in quel modo? Sarebbero seguite notti insonni e cuscini bagnati di pianto per un tempo che mi era sembrato infinito, come un’adolescente, perché forse perdere quell’amore che non aspettavo, adesso che ero una donna fatta, mi faceva più male. Le amiche mi dicevano che era meglio così. Eppure io mi sentivo ancora “appesa” come se quel suo sparire all’improvviso avesse avuto qualcosa di più macchinoso dietro. Ma alla fine mi ero convinta che fossero solo le inutili speranze femminili di un cuore spezzato.
Era passato un anno, un lunghissimo anno in cui a fatica avevo lasciato andare il pensiero di poter stare con lui, avevo ripreso a uscire con gli amici, a fare ginnastica, a dipingere, mi ero in qualche modo “ricominciata”. Non che non pensassi ancora a lui, ma il suo era come una sorta di pensiero di compagnia, con cui talvolta mi intrattenevo al ricordo dei nostri giorni felici, come il fantasma di un vecchio amico lontano. Non lo avrei mai più cercato. Credevo che non ci saremmo più rivisti, poi quel messaggio. Avevo atteso a lungo prima di rispondere, indecisa sul da farsi. Perché quello strano ricomparire dopo un anno? Proprio adesso che in un certo senso mi ero abituata alla sua assenza. Ne avevo parlato con le mie amiche ed erano tutte concordi sul fatto che non dovessi affatto rispondere, che anzi dovessi bloccare il suo contatto.
Non risposi per giorni, settimane, ma poi mi decisi. Era febbraio e volevo sfidarlo, forse solo per orgoglio o senso di rivincita, ma gli scrissi che potevo solo il 14, proprio il giorno di San Valentino, sicura che avrebbe rifiutato per passarlo con “lei”. Sì perché proprio durante quel lungo anno di assenza, in un momento di fragilità, mentre ero sul punto di chiamarlo, la mia amica Veronica mi aveva inviato una foto. L’aveva presa da uno dei suoi social e lo ritraeva con lei davanti a una torta di compleanno. Ecco spiegata quella crudele e ingiustificata sparizione. Aveva deciso di rimanere con lei, una volta per tutte aveva scelto la compagna, nonostante quei cinque anni di tradimento. E allora perché quel messaggio? Cosa voleva ancora da me? Cercai di non arrovellarmi troppo il cervello, avrebbe certamente rifiutato. Carmine invece aveva accettato, insistendo perché ci vedessimo “al solito posto”, proprio quello dove spesso ci appartavamo. Non sapevo cosa fare adesso. Rifiutare o andare? E poi perché quella scelta? Ero tormentata, ma non potevo negare che una scintilla di speranza di fosse riaccesa dentro di me.
Accettai. Dopo un’iniziale freddezza, presto i nostri sguardi si erano infine sciolti in un abbraccio che era culminato con un bacio. Sapevo che non mi aveva dimenticata, non poteva finire così. Mi ero per un attimo illusa che fosse il preludio di un nuovo inizio, ma Carmine era già pronto a smontare tutto.
«Sono tornato per dirti addio».
Io non capivo.
«Mi sono comportato male con te mi dispiace».
Aveva aggiunto di essere single, solo più tardi avrei scoperto che si trattava piuttosto di un momento di crisi con la compagna, uno dei tanti in cui io avevo fatto da cuscinetto. Adesso però non mi cercava per quello.
Aveva scelto di dare un’altra chance al suo rapporto, confessandomi che era stata una decisione molto sofferta, perché in fondo a se stesso sapeva di amarmi, ma di non essere in grado di ricominciare con me. Era troppo vecchio per fare il ragazzino e presto o tardi, se ci fossimo messi insieme sul serio, io l’avrei lasciato, perché non avevo idea di cosa significasse davvero vivere con lui e quei fugaci momenti da amanti erano solo la parte bella. Lui non voleva che avessi anche il lato meschino e traditore dell’amore, del suo amore, perché sì, con gli occhi lucidi ammetteva che avrebbe potuto tradire anche me un giorno.
«Un giorno Adriana, sarai felice con un altro e ti dimenticherai di me».
«Come puoi dirmi una cosa del genere? Come? Perché sei tornato?».
«Perché ti conosco, conosco le donne, voi avete bisogno di sentirvelo dire che è finita. Non volevo che pensassi che un giorno sarei tornato per ricominciare».
«E perché sei tornato adesso allora?».
«Te l’ho detto. Per dirti addio. Ho commesso molti errori, ma non li devi pagare tu». «E chi allora? La tua compagna?».
«Lei non c’entra nulla».
«No, certo. Però l’hai tradita… Con me!».
«Sono un uomo debole Adriana e tu sei bella, interessante, vivace».
«E cosa mi manca allora?».
«Ma niente. È solo che sono un egoista e penso che alla fine saremmo più felici così».
«Tu e lei? Di sicuro…».
«Tutti Adriana, anche tu sarai più felice senza di me. Ora devo andare».
Sentivo come se un enorme masso fosse arrivato a schiacciarmi. Mi sembrava incredibile che quell’uomo che avevo inseguito per cinque anni fosse riapparso solo per dirmi che non mi voleva più. Non ci capivo niente, alla fine ero scappata via in lacrime, accusandolo di un ritorno inutile, solo per farmi ancora del male. In quel momento provavo solo rabbia verso me stessa per aver accettato quello stupido invito.
L’indomani avevo raccontato tutto a Veronica, la mia amica fidata e lei con la morte nel cuore mi aveva confessato di aver visto sui social una foto di soli pochi giorni prima dove c’era Carmine chiaramente insieme alla sua compagna, mentre brindavano in un ristorante. Il post sotto la foto diceva: “Ritrovarsi a piccoli passi”.
Mi chiedevo se lei avesse anche una lontana idea di chi fosse davvero l’uomo con cui stava brindando. Piano piano avevo ricomposto il puzzle dei silenzi e delle assenze di Carmine. Adesso era tutto chiaro. Dovevano aver avuto un litigio, una discussione più forte delle altre e lei doveva averlo messo alle corde. Era a quel punto che aveva deciso di allontanarsi, temendo di perdere quell’unico porto sicuro, anche economico che quella donna poteva offrirgli, a differenza di me che abitavo in un monolocale. A stento riuscivo a mantenere me, figurarsi lui. Una rabbia incontrollabile mi aveva preso a pugni l’anima, quel farabutto mi aveva mentito! Forse lo aveva sempre fatto, per cinque anni! Sapevo tutto di lei, dove abitava, dove lavorava, dove andavano in vacanza e lo sapevo perché lui mi raccontava tutto, nel tentativo di incastrare i nostri incontri nella sua vita ordinata. Non ci avevo pensato su un attimo di più, avevo afferrato la borsa ed ero corsa in macchina. Sarei andata da lei. Lavorava in una tabaccheria a Campo de’Fiori, ero entrata come una furia e l’avevo vista immediatamente. Avevo indugiato un po’ verso la zona barrette e lei mi aveva chiesto gentilmente cosa desiderassi. Era una donna sui 50 anni, più grande di me, non particolarmente bella, ma con un sorriso accogliente. Avevo cercato di dire qualcosa, ma alla fine lei mi aveva anticipata.
«Il mio compagno va matto per quella barretta» aveva detto mentre lasciavo scorrere distrattamente le dita su una merendina a caso. Mi si era raggelato il sangue. Lei aveva continuato a sorridere, raccontandomi un aneddoto divertente legato a quella barretta. Io la fissavo impietrita. Era felice, pur non sapendo di essere stata così a lungo tradita. Avevo pagato in fretta la barretta che avrei gettato nel primo secchio della spazzatura ed ero scappata via senza dire niente. Forse per solidarietà femminile avrei dovuto davvero dirle tutto, ma quel sorriso e quella sua serenità nel parlarmi di una semplice barretta mi avevano fatto capire che una sola mia parola avrebbe distrutto il suo mondo.
Nei giorni successivi e per molto tempo avrei continuato a pensarci. A domandarmi se avevo fatto bene oppure no. Una sera a cena con amici, ne avevo parlato con Camilla, un’amica di vecchia data tornata dalla Spagna dove ormai esercitava da tempo come psicoterapeuta.
«Sei stata la donna stampella» aveva detto convinta, alla fine del mio racconto.
«Che significa?».
«Significa che sei stata letteralmente il suo appoggio. Una specie di donna di passaggio, fra la sua vecchia compagna e la nuova relazione».
«Ma lui non ha una nuova relazione».
«Sì che ce l’ha. Ha una nuova relazione con la sua vecchia compagna».
«Non capisco…».
«Vedi cara, semplicemente hai incontrato quest’uomo in un momento di crisi della sua esistenza, un momento in cui aveva messo in discussione la sua relazione, anche se non apertamente, perché spesso questo tipo di persone non lo fa in modo manifesto. Ma il fatto di aver tradito, ecco la rappresentazione esteriore della sua crisi interiore! Era banalmente la crisi dell’uomo di mezza età che si vede invecchiato e cerca in una donna più giovane l’ebbrezza che ha perso».
«Vuoi dire che sono stata solo questo?». «Voglio dire che sei stata principalmente questo. So che è dura accettarlo, ma da quello che mi racconti questo tipo non ha mai veramente messo sul tavolo la possibilità di lasciare la compagna, non era fra le opzioni». «Quindi mi ha usata».
«In un certo senso, sì».
La risposta di Camilla mi aveva fulminata, letteralmente, ci avevo messo cinque minuti buoni a riprendermi. Eppure quello strano shock aveva prodotto in me qualcosa di molto più complesso e avrebbe portato a conseguenze che quella sera a cena non avrei potuto immaginare. Mi ero presa giorni per pensare a quelle parole, la “donna stampella”, questa mi mancava. Ero davvero stata solo questo? Avevo cercato di ripercorrere col pensiero tutti i momenti salienti della mia storia con Carmine. Dei nostri famosi mercoledì di uscita libera, il giorno in cui “lei” lavorava fuori città e noi avevamo tutto il tempo per noi. In quelle occasioni passavamo splendidi momenti insieme, anche a livello fisico, ma poi lui si incupiva, abbassava lo sguardo e si irrigidiva. Era il senso di colpa mi diceva, ma poi nei giorni a seguire lo vedevo sui social fotografarsi con lei in qualche momento casalingo felice.
«La vita vera non è quella dei social» mi diceva, «la vita vera è quella con te». Ma allora perché non l’aveva lasciata? E perché era tornato dopo un anno per dirmi addio, per lasciarmi ancora, come se quell’anno di totale sparizione, o ghosting come lo aveva chiamato Camilla non fosse bastato. Non ci capivo nulla. Stavolta non mi ero ripresa così bene come credevo di aver fatto la volta precedente. Di quando in quando passeggiavo come una pazza davanti alla tabaccheria dove lavorava quella donna, cercando dentro me stessa magari la forza di parlarle, di dirle la verità. Poi però non ci riuscivo. La risposta sarebbe arrivata molti mesi più tardi e in modo del tutto inaspettato. Avevo incontrato per caso Roberto, un vecchio amico napoletano di Carmine che non di rado era stato presente anche alle nostre serate di fuggiaschi, quando ci concedevamo perfino il vizio di una cena, seppur rigorosamente fuori città. Dapprincipio ci eravamo salutati con un po’ d’imbarazzo, poi lui aveva proposto un caffè.Avevo accettato con un po’ di pesantezza, non era colpa sua, ma mi ricordava Carmine e sapevo che gli avrei fatto quella domanda. Roberto non sembrava sorpreso, se lo aspettava. Ma fu la risposta a scioccarmi. Carmine stava bene,
benissimo, era ancora fidanzato con la tabaccaia, adesso però aveva anche una nuova fiamma segreta, una ragazzina niente di meno, di poco più di 20 anni. La notizia mi aveva sconvolta. Ma Roberto mi aveva messo una mano sulla spalla.
«Dalle nostre parti in Campania si dice “T’sì scansat nu foss”. Vuol dire che ti è andata bene. Che è molto meglio che tu l’abbia perso un uomo così e lo dico da amico, non ho mai approvato questa condotta».
Ci eravamo salutati con affetto e ciascuno aveva ripreso la sua strada. Adesso capivo tutto, capivo le parole di Camilla. La donna stampella che ero stata e il cui ruolo adesso toccava alla bella ventenne, era semplicemente quello di un appoggio, di sfogo dalle frustrazioni di una vita di coppia non necessariamente insoddisfacente, ma semplicemente vissuta con immaturità e superficialità. A Carmine serviva solo una persona per “aggiustare” quello che non gli andava bene con l’altra e per assurdo per stare meglio proprio con lei. Aveva ragione Roberto, desiderare un uomo come Carmine nella vita reale e non in quella impalpabile di amante, sarebbe solo stato come correre felice dentro un buco nero. ●
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