Ci si innamora dell’anima di una persona, non del sesso: sono sempre stata profondamente convinta di questa affermazione, eppure l’ho messa in pratica solo da un po’, condannando per molto tempo la mia esistenza a una recita penosa. La verità è che a volte le cose non sono così chiare e bisogna sbagliare più volte per comprendere quale sia quella giusta per se stessi. Cresciuta in un paesino dell’entroterra toscano, dove nasci e la tua strada sembra quasi già tracciata, ho faticato a capire questa semplice ma universale legge della natura, fino a quando la realtà non è venuta a sbattermi sul naso, letteralmente. Sono Elena, ho 44 anni, un matrimonio finito alle spalle, due splendidi figli e una compagna da 10. Sì, una compagna, la mia metà della mela, il tassello che mancava nel puzzle della mia vita. L’ho vista e ho capito. Ho incrociato il suo sguardo nella sala professori della scuola dove entrambe siamo docenti e ne sono rimasta folgorata. No, io non avevo mai neppure pensato alle donne, non in quel senso. Davvero! A 14 anni avevo il mio migliore amico, diventato poi il primo fidanzatino. Una storia come tante: eravamo compagni di scuola e stavamo sempre insieme, il sabato sera la pizza con i miei genitori, la domenica pomeriggio la merenda da lui. Ero felice o così credevo. Del resto, sono sempre stata una bimba molto accondiscendente, non riuscivo mai a spuntarla e percorrere la strada già segnata all’interno della piccola comunità dove abitavo mi sembrava la normalità. Ma la vera natura di una persona può essere celata solo per un po’, prima o poi salterà fuori. Così, dopo sette anni l’ho lasciato: lui era geloso, io avevo voglia di fare le esperienze delle ragazze della mia età ed è finita. Quando ci dicemmo addio, mi implorò: «Tu per me sei sempre stata come l’ultimo cassetto, che c’è ma non si vede. Ora so che sei il primo». Ho riflettuto solo negli anni successivi su quella frase, che ben dipingeva il mio carattere per come appariva agli occhi di tutti: pacato, arrendevole e a tratti insignificante. Nei tre anni da sola ho frequentato amici e amiche per serate in discoteca, gite fuori porta ed è capitata qualche storiella di poco conto. Poi ho conosciuto Nicola, che sarebbe divenuto mio marito. A ripensarci adesso, so che si trattava di una amicizia profonda piuttosto che di una storia d’amore, ma all’epoca non lo sapevo. Avevo 24 anni ed ero dedita anima e corpo al pianoforte, che mi impegnava tutti i pomeriggi. Frequentavo il conservatorio ed ero la classica brava ragazza. Nicola me lo presentò un’amica e mi piacque subito. Non fisicamente, anzi. Ma ci andavo d’accordo. Soprattutto era una storia a distanza: non ci vedevamo tutti i giorni e non avevamo quella vicinanza che oggi possono offrire social e messaggi istantanei. Insieme abbiamo fatto tante cose, viaggi, weekend al mare, serate con gli amici. Sembravamo affiatati. Io però sentivo dentro di me come un tarlo che si insinuava e mi faceva nascere dei dubbi. Ma non ne parlavo con nessuno. Siamo stati insieme tre anni prima di fare il grande passo. Io volevo un figlio e forse questo ha accelerato il tutto, contribuendo a convincermi che lui fosse quello giusto. Lo amavo? Bella domanda! Ho avuto dubbi anche la settimana prima di sposarmi, ma li mettevo a tacere pensando che l’amore fosse così. Tra noi non c’era trasporto fisico, zero passione, almeno da parte mia, ma mi dicevo che, se anche non lo amavo alla follia, gli volevo bene e quindi potevo sposarlo. Mi rendo conto che queste affermazioni fanno accapponare la pelle, ma io non sapevo cosa fossero l’amore e il desiderio fisico e poiché non avevo mai provato quelle brucianti sensazioni, mi ero convinta che le relazioni andassero così, per tutti. O peggio, che forse ero io sbagliata, che c’era in me qualcosa che non andava. Nel 2006 è nata Sara, fortemente voluta da entrambi, ma sicuramente non frutto dell’amore come lo conosco oggi. Infatti, già dal 2007 le cose sono andate a rotoli e tra noi si è definitivamente alzato un muro: eravamo di fatto separati in casa. Nel 2009 abbiamo avviato le pratiche di separazione. Ero stanca, sfiduciata, triste e allo stesso tempo inquieta: la mia vita aveva preso una piega che mai mi sarei immaginata. A settembre, dunque, quando presi servizio in quella che sarebbe diventata la mia scuola, arrivai con un carico di pensieri che è facile immaginare. Carla era in sala docenti e subito venni a sapere che avremmo lavorato nelle stesse classi. Era alta, mascolina e volitiva: la guardavo rapita, senza neppure capire cosa fosse quel trasporto che mi agitava. Me la sognavo tutte le notti, sognavo il suo sorriso e non capivo più nulla. Non vedevo l’ora di andare a lavorare per starle accanto e parlarle. Lei invece a me non ci pensava proprio: anche perché era accompagnata a un’altra donna da sette anni. A novembre mi invitò a fare una passeggiata nel bosco. Andai di corsa, emozionata come un’adolescente e il fatto che tra gli altri invitati ci fosse anche la sua compagna non ci impedì di stare tutto il giorno insieme. In seguito, Carla mi ha poi confessato che quel giorno tutti si accorsero di come la guardavo, con gli occhi a cuore. Iniziavo a capire, ma ero rosa dai dubbi. Possibile succedesse a me? La risposta non tardò ad arrivare: a fine novembre mi invitò a pranzo per il mio compleanno e mi dichiarai. Mi baciò, non prima di chiedermi se fossi davvero sicura e, per la prima volta in vita mia, risposi convinta, tutto d’un fiato. Sentii come se dentro di me fosse andato a posto qualcosa. Finalmente leggevo la realtà correttamente: non ero io sbagliata, avevo solo scelto obiettivi inadatti. Da quel giorno non ci siamo più lasciate, anche perché svolgendo lo stesso lavoro, nello stesso istituto, i ritmi sono i medesimi per entrambe, come le pause. Carla dopo quel bacio ha lasciato la sua compagna, non senza difficoltà: si trattava di una storia seria. Io nel frattempo avevo parlato al mio ex marito che si disse contento per me, se davvero avevo trovato la mia strada. Trasferirmi a casa di Carla è stato il passo successivo. Come l’ha presa mia figlia? È bastato dirle: «Mamma e Carla si vogliono bene e per questo stanno insieme». La nostra famiglia allargata si è poi ingrandita, quando è arrivato Francesco, desiderato soprattutto da mia figlia, che voleva un fratellino. All’inizio Carla non era d’accordo, temeva che il bimbo potesse soffrire di non sapere chi fosse il padre. Ma, quando ha visto che Sara accettava senza traumi la novità, ha ceduto. Ci siamo iscritte all’associazione “Famiglie Arcobaleno” e siamo andate a Barcellona, per la fecondazione. Ho fatto tre tentativi ed è arrivato Checco. Ovviamente, l’anonimato circa il donatore è rigidamente mantenuto, a meno che, in futuro, il bimbo non debba avere necessità di saperlo, per esempio per cure vitali. Francesco oggi ha tre anni, so che mi chiederà presto del papà, forse anche perché i suoi amichetti sanno che lui è un bimbo con due mamme. Io gli risponderò con la saggezza che mi deriva dai tanti errori commessi: perché ci sia una famiglia, non conta che ci siano una mamma e un papà. Conta che ci sia amore. E anch’io oggi posso dire di averlo trovato. ● © RIPRODUZIONE RISERVATA
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