La ribelle

Cuore
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Per secoli le donne affette da dolori e sanguinamenti hanno taciuto. Viste come impure, emarginate, sono sorelle di chi, oggi, soffre di endometriosi. Nel mese dedicato alla patologia, un racconto di Tea Ranno, dal messaggio importante

DI TEA RANNO

Penso spesso a lei, l’emorroissa che ho incontrato tante volte nei vangeli, sulla cui storia, quand’ero ragazzina, sorvolavo perché niente aveva da dirmi quella donna che sanguinava, che aveva così tanta fede da pensare che, se solo avesse toccato il mantello di Gesù, sarebbe guarita.

Che ne sapevo, allora, delle donne che sanguinano sempre?

In maniera irregolare, certo, uno stillicidio talvolta, talaltra un flusso abbondante, ma sempre, senza tregua, anche solo poche gocce che macchiano e non le fanno sentire mai asciutte? Che ne sapevo delle donne che sono considerate impure finché hanno il sangue e dunque, se hanno sempre il sangue, sono sempre impure? Delle donne che, pur non essendo considerate impure, vivono comunque il disagio del sangue, la cui irruzione crea imbarazzo, anzi, vergogna? Che ne sapevo del sangue che macchia le sedie e i sedili degli autobus, che si fa strada tra le pieghe dei vestiti, che sporca i jeans e le gonne e ti costringe a saltare quell’appuntamento a cui tenevi tanto, quell’incontro di lavoro, quella festa tra amici, quella cena coi colleghi. Che ne sapevo allora?

L’emorroissa era figura secondaria, una comparsa nel cammino stellato di prodigi di Gesù, al quale andava tutto il mio ardore di ragazzina perché era buono, giusto, capace di risolvere i litigi con la forza dell’amore. È stato dopo, quando ho cominciato a sanguinare irregolarmente e a soffrire di dolori molto forti al ventre, che lei mi è tornata in mente, prima in maniera vaga, “L’emorroissa, quella che sanguinava…” mi dicevo, poi con l’evidenza di una sorellanza che mi si rivelò una mattina di luglio. Era lunedì, giorno di mercato, il sole come chiodo sulla testa, intorno a me mille colori, mille odori, mille parole dette e gridate. All’improvviso, avvertii una fitta fortissima al basso ventre, un fiotto caldo tra le gambe e il sangue prese a colare giù per la coscia. Cercai con gli occhi un riparo, un buco in cui nascondermi. Mi soccorse un’amica avvolgendomi intorno ai fianchi un telo scuro appena preso. «Vieni a casa mia» disse.

Andammo e, andando, mi sovvenne di lei, l’emorroissa. Una donna dolente, disperata.

Mi sembrò di averla accanto: il caldo, la folla, l’attesa dell’uomo che, si dice, resusciti i morti, e lei ci crede, è convinta che le basterà soltanto toccare il lembo del suo mantello per esserne guarita. Una fede che sposta le montagne, la sua. Nei vangeli non se ne riporta il nome, l’età, la condizione, figlia di…, moglie di… – elementi di identificazione in un tempo e in una società in cui la donna, di per sé, valeva quasi nulla –, viene riferita soltanto la sua grande fede, in forza della quale è stata salvata. La immagino giovane, senza un uomo, senza una famiglia capace di accoglierla nella sua sventura, perché è una sventura la malattia di cui immagino soffra, la stessa che mi tormenta, non tanto per i dolori che si accompagnano alle perdite, quanto per il sanguinare, perché, secondo la religione ebraica, la donna che sanguina è impura, e se quelle in buona salute sono impure solo in certi giorni del mese, lei no, perché la presenza costante di perdite le preclude la purificazione. Le disposizioni di legge al riguardo, contenute nel Levitico, sono tassative: è impura lei ed è impuro tutto ciò che tocca, persino il mobile su cui siede, persino il suo giaciglio.

Nessun uomo le si potrà avvicinare perché l’immondezza di lei renderà immondo lui.

La immagino desiderosa di una vita normale: marito, figli, una famiglia grande, una mensa numerosa, un trafficare continuo che strema ma che dà senso alle giornate. Una donna che sanguina sempre è una donna che non potrà avere figli, sterile. A che vale una donna sterile? Cosa conta? Per chi conta, in un tempo in cui alle donne si chiede di mettere al mondo figli e prendersene cura? Si affida al medico che dicono più bravo, dissipa in tentativi di cura tutto ciò che possiede. Inutilmente. È l’esclusa, la scartata, la senza nome. Il nome gliel’attribuisco io, Miriam, che vuol dire la ribelle, perché ha violato la legge avvicinando un uomo mentre era immonda. Mi avvicino a lei che non può sapere da quale malattia sia affetta, sa solo che ogni malattia è la punizione per una colpa commessa da se stessi o da uno dei propri avi, che alla base del suo patire c’è quindi una colpa, un peccato. Potrebbe mai immaginare che anni prima alcune parti del suo endometrio, sfaldandosi, sono andate a colonizzare luoghi delle sue viscere non deputati ad accoglierle? Che quelle cellule, stimolate dagli ormoni, possono aver creato focolai che sanguinano a ogni ciclo, che ingrassano cisti che stillano lungo il mese sangue scuro, producono infiammazioni, aderenze, lesioni e molto altro che rende la vita difficile, dolorosa e complicata anche ai nostri giorni, quando tante di noi (sono stata un’emorroissa per più di 30 anni) soffrono anche per opera di medici che sbagliano la diagnosi? L’endometriosi, la malattia di cui la immagino affetta, viene diagnosticata spesso troppo tardi, spesso curata in maniera sbagliata.

Un giorno, però, le giunge la notizia di un uomo che ridà la vista ai ciechi.

Un uomo che fa camminare i paralitici, che addirittura riporta in vita i morti. Se davvero risuscita i morti, sarà pur capace di… La speranza erompe, invade i sogni a occhi chiusi e anche quelli a occhi aperti: si vede al forno insieme alle altre, si vede a tavola insieme agli altri, si vede fuori dalle stanze che l’hanno carcerata, e la gioia che prova è immensa. È proprio la speranza che fa sorgere dentro di lei la consapevolezza granitica, estranea a ogni logica, che le basterà toccare il mantello di Gesù, anzi, solo un lembo del suo mantello, per esserne guarita. E così, infatti, accade.

E se, invece, la storia fosse andata diversamente?

Se a Miriam fosse venuto meno il coraggio? Se la paura avesse sopravanzato la speranza? Se si fosse arresa? Se, più prosaicamente, le fosse stato impedito di avvicinarsi? Se, cioè, non fosse stata lei a fare il primo passo? Esclusa per tutta la vita. Dolente per tutta la vita. Una vita insopportabile.

Per secoli le donne affette da sanguinamenti e dolori cronici, sono rimaste ai margini della società. Ad alcune, accusate di possessioni demoniache, è toccato persino il rogo, altre sono state sottoposte a mutilazioni, operazioni chirurgiche di incerta riuscita, terapie strane, per riportare l’utero errabondo nella sua sede naturale, la gran parte di esse ha taciuto, è andata avanti fino a quando ne ha avuto le forze. Perché il sangue è male di donna, i dolori sono male di donna: Devi tacere e sopportare. È così per tutte.

E invece no, non è vero, non bisogna sopportare, bisogna intervenire presto per impedire alla malattia di diffondersi, di intaccare gli organi deputati alla riproduzione, di rendere la vita impossibile. Marzo è il mese della consapevolezza sull’endometriosi. Che se ne parli, che si informi, perché solo a una donna è toccato un santo Cristo capace di guarirla, per le altre adesso c’è la medicina che molto spesso, soprattutto se si interviene in tempo, fa miracoli.

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Racconto pubblicato su Confidenze n. 13/2025

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