Vi riproponiamo sul blog la storia più apprezzata del n. 18 di Confidenze
In paese mi chiamano così perché tolgo i randagi dalle strade. Ospito animali affamati e spaventati e mi prodigo per la loro adozione. Maltrattamenti e avvelenamenti mi fanno soffrire, ma non potrei mai rinunciare a quello che faccio, sarebbe come smettere di respirare
STORIA VERA DI MIMMA PARIGI RACCOLTA DA ROBERTA GIUDETTI
Nel quartiere mi chiamano “la signora cu i cani”. Lo sussurrano alle mie spalle, spesso con tono derisorio, a volte con ammirazione. In entrambi i casi io, con i miei pelosi al guinzaglio, sorrido e procedo, orgogliosa di quello che faccio ormai da molti anni. Abito ad Aragona, in Sicilia, un centro di circa 9.000 abitanti. In una parte della città vicina alla campagna, in una casa in cui, insieme a mio marito Enzo e a mio figlio Alessio, diamo ospitalità a cani in difficoltà: affamati, spaventati, feriti. Sono una volontaria cinofila e collaboro con diverse associazioni tra cui il Rifugio di Penelope. Spesso si arriva a fare volontariato, in questo campo come in altri, quasi senza accorgersene, per istinto, spinti da una sempre più urgente necessità di aiutare e salvare delle creature innocenti che stanno soffrendo. Bisogna avere un cuore grande ma anche una corazza spessa per essere una volontaria cinofila perché occorre essere pronte al peggio. Non conto più infatti le volte in cui ho trovato cuccioli in fin di vita che hanno esalato l’ultimo respiro fra le mie braccia. Li ricordo tutti e ho tatuato nel mio cuore i loro nomi e i loro sguardi carichi d’amore tradito. Greta, Luke, Bianca, Jack, Kora e troppi altri ancora. La Sicilia, come l’intero sud, è patria di un ingente randagismo e purtroppo nella mentalità di molte persone l’unica soluzione a questo problema è distribuire bocconi avvelenati in mezzo alla campagna e nelle case disabitate dove spesso vanno a rifugiarsi i cani abbandonati o scappati da padroni violenti. E pensare che quando ero bambina quasi non riuscivo a mangiare se nella stessa stanza c’era un animale: come si cambia! Tutto è iniziato con Paco, il primo cucciolo che abbiamo preso per nostro figlio. Era un vivacissimo e meraviglioso Pinscher. Lo avevamo acquistato, allora non avevamo pensato di rivolgerci a un canile. Paco era molto indipendente, ogni giorno usciva da solo, si assentava per circa un quarto d’ora e poi tornava. E io mi chiedevo: ma dove andrà mai Paco quando non è qui a casa?
Un pomeriggio mi sono decisa a seguirlo. Ho scoperto così che andava a giocare con alcuni cani randagi che vivevano in campagna, non molto lontano dalla nostra abitazione. «Tesoro, perché vieni qui da questi cani così sporchi? Andiamo via» gli avevo ordinato. Paco mi aveva seguita ma a un tratto si era fermato e aveva lanciato un ultimo sguardo triste verso i suoi amici meno fortunati di lui. All’istante avevo provato un buco nello stomaco e una specie di palpitazione. Ho iniziato così a portare del cibo a quei randagi amici del nostro Paco. Disgraziatamente, a un anno e mezzo, Paco è stato investito da un’auto in corsa, appena fuori da casa nostra. Ero tornata con la spesa e la porta era rimasta aperta. Avevo sentito un botto e un guaito dalla strada, ma sembrava che non fosse nulla di grave. Invece Paco improvvisamente aveva iniziato a sanguinare dalla bocca. L’impatto con l’auto gli aveva procurato delle lesioni ai polmoni. Dopo 48 ore di agonia, è morto nella clinica veterinaria dove non sono riusciti a salvarlo. Fino all’ultimo, guardandoci, ci ha scodinzolato per farci capire che era contento di vederci. Quella perdita mi ha segnata. Ero depressa, piangevo di continuo e non volevo più tornare al lavoro. Nello stesso periodo mia sorella aveva adottato un cucciolo dal canile di Castelvetrano e mi sollecitava a prendere la sorellina. Enzo e Alessio, convinti che questa sarebbe stata l’unica cura per me, sono andati al canile e mi hanno portato a casa la mia Emy. Con la mia principessa uscivo sempre con il guinzaglio, perché dalla morte di Paco non mi ero mai ripresa del tutto, e durante la passeggiata incontravamo spesso Giuly, una barboncina nera che veniva a giocare con lei. Apparteneva a degli anziani vicini di casa. Un giorno mi sono accorta che questa cagnolina, sempre libera, si stava accoppiando con una cane di una taglia troppo grande per lei. Tempo dopo, passando, ho visto che nel magazzino dove questi vicini tenevano gli attrezzi di campagna, c’era la barboncina legata alla catena, con una pancia davvero enorme. Era evidente che aspettava dei cuccioli fuori misura per lei, bisognava intervenire, ma i suoi padroni non intendevano farlo. Mi sono presa la responsabilità di portarla io a fare una visita. Il veterinario ha confermato tutto quello che paventavo. Bisognava far abortire la cagnolina immediatamente altrimenti quei cuccioli troppo grandi per lei l’avrebbero uccisa. Siccome i suoi padroni avevano dichiarato di non avere soldi da buttare per un cane, ho deciso di portarla via e pagare di tasca mia l’intervento. Un’amica che conosceva una volontaria mi aveva promesso di trovarle adozione, visto che io già avevo Emy.
Ma dopo poche settimane, Giuly si era affezionata a noi e a Emy per cui, tutti d’accordo, abbiamo deciso di tenere anche lei. Dopo è arrivata Sally. Una cucciola abbandonata che un’amica mi aveva segnalato e che con fatica ero riuscita a prendere. Malata, piena di zecche e cieca da un occhio a causa di una spina. Dopo averla fatta curare e averla amata da subito, persino mio marito, quando a malincuore ho chiesto di pubblicare un avviso per trovarle adozione, mi ha detto che il posto di Sally era qui con noi. Il vero volontariato in un certo senso è cominciato con lei, con il primo salvataggio dalla strada. Ormai in città si era sparsa la voce e se avvistavano qualche cane in pericolo mi chiamavano o me li facevano trovare appena fuori dalla porta di casa. Il giorno che ha cambiato definitivamente la mia vita però è stato il 28 dicembre 2014, quando ho trovato Greta agonizzante. Era una cagnolona buonissima che avevo sfamato per tanto tempo e che veniva a dormire nel nostro garage insieme a Luke e a Pidy, altri due randagi dolcissimi. Greta è morta fra le mie braccia, in preda a dolori indescrivibili. In campagna, in mezzo all’erba alta, avevo ritrovato anche il corpo di Luke e di un’altra cagnolina: erano stati tutti avvelenati. Per me è stato l’inizio di una battaglia che man mano è diventata sempre più organizzata con l’aiuto, oltre che di mio marito, di volontari in tutta Italia, studenti e altre anime buone pronte a dare una mano anche solo con una semplice segnalazione, perché per occuparsi seriamente di questi animali bisogna avere contatti ovunque in modo da pianificare cure, visite di preaffido, viaggi, staffette, stalli e adozioni. Giorno dopo giorno, da istinto, la mia è diventata una missione. Nel 2017 al branco si è unito anche Rocco, un cucciolo di Pitbull denutrito che ho trovato a mangiare fuori da casa mia e che siamo riusciti a salvare, a differenza della sorellina. Prima però di unirsi al nostro branco, Rocco era stato adottato, al centro Italia, da una ragazza i cui genitori non erano d’accordo perché temevano che non sarebbero riusciti a gestire un molosso. Il distacco da Rocco per me era stato doloroso, non ero convinta di quell’adozione. Inoltre l’educatrice che seguiva la ragazza che lo aveva preso, mi aveva contattato per dirmi che il cane era sempre più depresso.
Era l’ottobre del 2017, io e Enzo avevamo deciso di organizzare una grande festa per le nozze d’argento, un vero e proprio secondo matrimonio, anche perché anni prima lui, che è un vigile del fuoco, era sopravvissuto al crollo di un palazzo a Palermo, dove era stato recuperato in fin di vita.Avevamo molto da festeggiare. Quando Enzo mi ha chiesto cosa desideravo come regalo, l’ho pregato di andare a riprendere Rocco. E così siamo partiti in macchina verso Spoleto. Il nostro ricongiungimento è stato commovente. Non mi sono più fermata. Oggi il branco che vive in casa con noi è composto da Emy, Giuly, Sally, Lilli, Potty e Rocco ma appena fuori dalla porta, dove metto a disposizione cibo, acqua e coperte, ce ne sono altrettanti e tutti restituiscono amore infinito. In questi anni sono moltissimi i randagi che ho salvato dalla strada, o che ho aiutato a partorire, come Olivia, che ha fatto nascere qui, in un rifugio di fortuna costruito sul nostro terreno, sei splendidi cuccioli che poi sono stati tutti adottati. Molti sono anche quelli che, con il cuore a pezzi, ho visto morire.
Nel 2017 è anche iniziata la collaborazione con Elena e Adriana, due generose volontarie che aiutavano Angela, una donna di Favara che aveva costruito un rifugio per una quarantina di cani.Angela però si è ammalata di leucemia e la malattia se l’è portata via in pochi mesi. La situazione della casa e dei cani era disastrosa. Elena è arrivata da Trento per portarsi via un bel numero di pelosi da adottare, altri sono partiti con la staffetta. Bisognava trovare rapidamente una nuova sistemazione perché i parenti di Angela, che avevano ereditato la sua abitazione, non li volevano. È stato faticoso, ma insieme ce l’abbiamo fatta. È così che è nato il Rifugio di Penelope, che prende il nome da una randagina che purtroppo non ce l’ha fatta. Un Rifugio che conta sulle nostre forze e sulle donazioni di chi ama gli animali. A nostre spese e grazie al contributo volontario di chi ci sostiene, ci occupiamo di togliere dalla strada, vaccinare, microchippare, sterilizzare, curare e trovare una famiglia a tutti i pelosi che recuperiamo, da sud a nord. Chiunque desideri unirsi al nostro Rifugio è ben accetto. Non conto più i viaggi che ho fatto, accompagnata da Enzo, per portare cani ovunque, e le adozioni effettuate grazie ai fantastici ragazzi della staffetta “Destinazione 4Zampe”. Mio marito, quando mi vede distrutta, in lacrime perché magari ho assistito all’ennesimo avvelenamento, con amore mi consiglia di prendermi una pausa. Ma non potrei mai smettere. È come respirare. E si può smettere di respirare? ●
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Ultimi commenti