La storia di un matrimonio di Andrew Sean Greer

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Crediamo di riempire tutti gli spazi nella vita di chi amiamo, invece questi sono abitati da altri amori. Un memoir struggente sulla vita di ciascuno di noi

Crediamo tutti di conoscere la persona che amiamo. 

Nostro marito, nostra moglie. E li conosciamo davvero, anzi a volte siamo loro: a una festa, divisi in mezzo alla gente, ci troviamo a esprimere le loro opinioni, i loro gusti in fatto di libri e di cucina, a raccontare episodi che non sono nostri, ma loro. Li osserviamo quando parlano e quando guidano, notiamo come si vestono e come intingono una zolletta nel caffè e la guardano mentre da bianca diventa marrone, per poi, soddisfatti, lasciarla cadere nella tazza. Io osservavo la zolletta di mio marito tutte le mattine: ero una moglie attenta.

Crediamo di conoscerli, di amarli. Ma ciò che amiamo si rivela una traduzione scadente da una lingua che conosciamo appena. Risalire all’originale è impossibile. E pur avendo visto tutto quello che c’era da vedere, che cosa abbiamo capito?”

Amo questo scrittore follemente, imparerei a memoria ogni riga e i suoi sono tra i rari libri che leggo e rileggo in continuazione, anche solo riaprendo a caso e soffermandomi su poche pagine, monumenti di uno stile letterario unico e di una capacità di introspezione sfacciata, dura, carezzevole.

Stati Uniti. Costa occidentale. San Francisco, 1953. Pearlie Cook parla, sussurra, si confida con noi. Ci racconta la sua storia, le guerre (la Seconda Mondiale, la Fredda, il maccartismo e la Corea), ci descrive la sua casa, ci ‘presenta’ suo marito, Holland, il loro bimbo affetto da poliomelite, Sonny, le zie del marito e poi…poi lui, Buzz Drummer. Buzz. E mi fermo. Non posso svelarvi altro.

La storia di un matrimonio è un memoir. È un giallo epistemologico. È un manuale fortemente freudiano. È un romanzo amaro, dolcissimo, sfiancante. Parla di noi. Dei nostri legami, di tutti gli spazi che noi crediamo di riempire nella vita di chi amiamo e che invece sono abitati da altri amori, da tentativi di fuga e vita, da anni pavidi, da rimpianti. Disincanto, disperazione, lacrime, c’è tutto: quando scopri puoi far finta di non vedere, all’inizio. All’inizio puoi. Poi devi decidere. Non se perdonare l’altro, no; quella è cosa facile, se ami. Devi decidere quale valore vuoi dare alla tua vita. Devi guardarti e farti questa domanda: “La mia vita ha valore? E questo valore qual è? Il mio o è il riflesso, l’ombra, l’opacità di una menzogna che ci vive accanto?”

Sprecherai lunghe notti a chiederti come mai non lo senta anche lui – l’impulso ad abbracciarti, il cuore che si scioglie quando gli sei accanto -, come faccia a stare seduto su quella sedia, a parlare con quelle labbra, a farti una telefonata che non vuol dire niente di speciale. A non nascondere niente nel cuore. O forse nasconde quello che non vuoi vedere. Perché di certo ama qualcuno: solo che non sei tu”.

Non sei tu. È la storia di ogni matrimonio. Resterà, lui/lei, se l’altra/o non è forte abbastanza o scaltro abbastanza o economicamente/professionalmente sistemato abbastanza. Ma non sei tu. Almeno non soltanto, mettiamola così.

 

Andrea Sean Greer, La storia di un matrimonio, Adelphi

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