Sono tornato da poco nella casa di famiglia delle Langhe quando ritrovo Laura. Lei sta sulle sue, credo non mi abbia mai perdonato di aver sposato un’altra. Oggi però sono solo, malato e vorrei offrirle la mia amicizia. L’accetterà?
Storia vera di Max G., raccolta da Simona Maria Corvese
La donna allo stand della fiera mi dà di spalle e versa del vino nei bicchieri delle signore che sono lì per la degustazione.
Rimette il tappo alla bottiglia e spiega. «Questo vino è prodotto proprio qui nelle Langhe, nella mia proprietà».
Porge i bicchieri alle ospiti. «Presenta belle note di gusto di nocciola con cannella e ciliegia. È l’abbinamento perfetto con questa torta al cioccolato».
Riconosco la mia torta sul bancone.
Le signore sorseggiano il vino e la donna assaggia una fetta di torta. «Mhm… è deliziosa! Chi di noi volontari la ha preparata?».
Mi avvicino a lei con un sorriso soddisfatto sulle labbra. «Io!».
Lei si gira e rimane a bocca aperta. «Max…» sbatte le palpebre, incredula, con lo sguardo fisso su di me «Cosa ci fai qui?».
Si è irrigidita e incrocia le braccia.
Dei volontari intorno a noi rastrellano e raccolgono le foglie sul prato.
Io sgrano gli occhi, con un filo di voce. «Mi sono unito al comitato dei volontari della fiera autunnale».
Non so se mi ha sentito: gli altoparlanti diffondono musica folk in tutta la fiera e le persone che girano per le bancarelle parlano ad alta voce, ridono, si chiamano l’un l’altra.
Lei scuote la testa «No, intendevo cosa fai qui in paese».
Deglutisco a fatica. Ho un groppo in gola e cerco le parole per spiegarglielo. «Non avevo pianificato di lasciare Genova ma dopo un imprevisto mi sono trasferito qui, nella casa di famiglia e continuo a lavorare come programmatore da remoto».
Lei mi osserva, mantiene le distanze dietro il bancone e non replica.
Mi schiarisco la voce. «Laura, se non gradisci la mia presenza, posso andarmene».
Lei mi sfiora il braccio con la mano. «No, rimani. È trascorso molto tempo… siamo tutti e due adulti ormai».
Annuisco e abbozzo un sorriso con un filo di voce. «… decenni».
Eppure la sua fronte corrucciata e i suoi occhi incupiti mi dicono che non mi ha mai perdonato.
Alcune foglie volteggiano nel vento. Lei ha un brivido e si stringe il golfino al petto. «Scusami ma ora devo andare. Stammi bene». Si volta e se ne va.
«Stammi bene.» Il suo augurio mi risuona in mente beffardo ma lei non ne ha colpa: non sa nulla della mia situazione.
Una mano mi tocca la spalla e mi giro di scatto. «Laura è ancora una bella donna, vero?».
Sorrido all’uomo che mi guarda. «È vero, Giorgio. Per lei gli anni non passano».
Mi da una pacca. «Perché non cerchi di riallacciare con lei adesso che sei libero?».
Emetto un profondo sospiro e mi passo una mano tra i capelli «Potrei rinunciare a farlo: l’ultima volta che la ho vista le ho spezzato il cuore. Ho creato una frattura irreparabile nella nostra amicizia».
Lui scuote la testa. «Ho visto come ti ha guardato poco fa e se prova quello che provi tu, avete ancora qualche possibilità».
Alzo un sopracciglio, scettico.
Giorgio sbuffa e si punta le mani ai fianchi. «Max, vedi tutto nero. Convivere con una malattia cronica non è semplice ma non ossessionarti».
Non ero pronto a sentirmi sbattere in faccia queste cose ma Giorgio ha detto la verità.
Il sole tramonta e io m’incammino tra le stradine del villaggio medievale. Anche per questo luogo il tempo non è trascorso. Tutto è uguale agli anni della mia gioventù.
È nella mia vita che sono mutate troppe cose ma ora tutto quello che voglio è farmi perdonare da Laura. Non potrò mai avere il suo amore, per come stanno le cose. Vorrei però che lei riuscisse ad accettare la mia amicizia.
Fermo in piedi sotto il patio del ristorante di Laura, guardo i campi di viti dalle foglie verdi legate a fili e pali. La terra marrone è compattata in una traccia tra i filari.
Tamburello con il piede sul pavimento e guardo il cielo che vira verso il rosa e il viola più profondo. Le nuvole illuminate dal basso riprendono i suoi colori.
Mi perdonerà Laura? Accetterà la mia amicizia?
Una mano mi tocca il braccio e sussulto. «Eccomi qui! Scusa per l’attesa».
Sorrido. «Complimenti per l’azienda vinicola: hai fatto un bel lavoro».
Lei ridacchia. «Non è merito mio: sono il capo enologo, non la proprietaria».
Sgrano gli occhi. «… ma è un ruolo chiave per il successo di un’azienda vinicola!».
Lei abbassa lo sguardo e ride, compiaciuta. «Vieni, scendiamo in cantina per la degustazione».
Credevo che non ne volesse più sapere di me dopo quello che c’è stato tra noi e invece, eccomi qui.
«Grazie per aver accettato di collaborare con me al ritrovo degli amici di un tempo».
Lei si stringe nelle spalle e sospira. «Non c’era nessun altro disponibile. Qualcuno doveva pur farlo».
Mi affloscio e incurvo le spalle. «Quei tempi sono finiti e noi non siamo più le persone di allora».
Emetto un sospiro pesante. Mi sono illuso di riuscire a farmi perdonare.
Entriamo nel ristorante e scendiamo da una scala che porta in cantina. Lunghe file di botti di vino invecchiato sono accatastate ed etichettate, le luci lungo il soffitto sono ben distanziate.
Su una cremagliera in legno alla parete sono impilate tante bottiglie di vino e una botte lì vicino espone una bottiglia speciale con un’etichetta in rilievo, irregolare. Accanto ci sono due bicchieri e un piatto con del cioccolato.
Laura segue il mio sguardo. «È cioccolato fondente al 70%».
«Il mio preferito».
Lei sorride «Me lo ricordavo».
Rimaniamo avvinti con lo sguardo l’uno nell’altra ma è lei a interrompere il contatto per prima. «È l’abbinamento perfetto con il mio vino. Prova ad assaggiarlo».
Me ne versa un po’ nel bicchiere e me lo porge. Io lo porto alla bocca e ne prendo un sorso. «Avevi ragione ieri allo stand. Sei brava».
Un lieve rossore s’insinua sulle sue guance.
Le sorrido soddisfatto: non mi è più così ostile come ieri. Forse sono riuscito ad aprire una breccia nella fortezza che si è creata. O forse è lei che mi permette di riavvicinarmi.
Do un’occhiata all’orologio che ho al polso. «È tardi, io torno a casa. Vieni anche tu?».
«Sì, facciamo un po’ di strada insieme».
Percorriamo le strette stradine in pietra del borgo medievale, circondate da vigneti lussureggianti. «Ho sempre sognato di trasferirmi a vivere nella casa dei miei nonni. Adoro queste atmosfere antiche».
Lei mi fa un sorriso che le arriva fino agli occhi. «Ti capisco, è il luogo ideale per gli amanti del vino e della storia. Che cosa ti ha riportato qui?».
Adoro questa serata d’autunno. La luna proietta una morbida luce bianca, gli alberi ondeggiano, le foglie svolazzano, cadono a terra e formano cumuli in prossimità dei pluviali.
L’aria è frizzante e Laura avvolge le braccia intorno al busto per stare al caldo.
Mi tolgo la giacca e gliela metto sulle spalle. «Va meglio così?».
La stringe al petto e il sorriso che mi rivolge mi provoca una sensazione di tepore in tutto il corpo.
Un tremore inaspettato mi fa sfuggire dalle mani il volantino del ristorante, che cade a terra. Mi chino per prenderlo ma sono tutto irrigidito e non riesco a flettermi con il busto fino a terra. Pesto un piede sul selciato, irritato: con la mano sono a un soffio dal volantino ma non riesco ad afferrarlo.
Laura, fulminea si china, lo raccoglie e me lo porge. «È freddino stasera, hai i brividi».
Mi studia attenta e io mi sento in colpa perché non ho ancora risposto alla sua domanda.
Scuoto la testa. «No, Laura. Sono tremori involontari: ho il Parkinson».
Lei sgrana gli occhi. « Ma… com’è possibile? Hai solo cinquantadue anni!».
Sorrido davanti alla sua spontaneità. «I medici pensavano a tutto tranne che al Parkinson. Quattro anni fa ho iniziato ad avere questi tremori e gli esami lo hanno confermato».
Laura si ferma in mezzo alla strada e scuote la testa con incredulità. «Mi dispiace tantissimo, Max… chissà come l’avranno presa i tuoi cari».
Le abbozzo un sorriso privo di energia. «Mia moglie è mancata due anni fa».
Lei si porta una mano alla bocca. «O santo cielo… non sapevo… Perché non me lo hai detto?».
Sono incapace di vedere dove mi porterà il futuro ma le devo sincerità. «Perché so che delusione ti ho dato quando ho preferito lei a te tanti anni fa».
Rimaniamo tutti e due in silenzio. Mi è costato un grande sforzo rispondere alla sua domanda ma ora mi sento leggero. «Ho rimpianto per anni di essermene andato senza darti spiegazioni. Spero che tu mi possa perdonare».
Faccio fatica a continuare questa conversazione ma se non vado fino in fondo ora, non avrò un’altra occasione per farlo. «Vorrei anche poterti essere amico. Non posso offrirti di più».
Lei mi guarda dritta negli occhi e la sua bocca si allarga in un sorriso. «Nel mio cuore ho già perdonato te e il compagno che c’è stato dopo di te… ».
Alzo un sopracciglio «Ti sei sposata anche tu?».
Fa un sospiro amaro. «No, ho avuto una lunga convivenza ma nei suoi occhi non ho mai visto la luce appassionata che vedo nei tuoi».
Ha ragione, provo qualcosa per lei ma non credevo si notasse così tanto. Abbasso lo sguardo verso le mie mani ma lo rialzo. «Gli occhi non mentono».
Mi chino verso di lei e le sfioro le labbra ma il suono del clacson di una macchina ci fa sussultare e ci separiamo.
La macchina si ferma accanto a me. «Papà vuoi un passaggio a casa?».
Mi giro verso Laura. «È mio figlio Fabio. Lavora in una pizzeria nel paese vicino».
Mi rivolto verso di lui. «No, grazie. Rientro pian pianino con Laura».
Lui, ancora con la testa fuori dal finestrino, le fa un sorriso «Se fa il furbetto con lei, me lo dica, Laura. Buona serata!»
Riavvia il motore e se ne va.
Laura ride e sospira. «A volte vorrei tornare ad avere i suoi anni e fare scelte diverse, anche se non rimpiango nulla di quello che ho fatto».
Ho ancora il sorriso sulle labbra. «Fabio è un ragazzo maturo ed è lui che mi assiste».
«Devi essere orgoglioso di lui, allora».
Riprendiamo a camminare, lenti, perché il mio equilibrio è instabile.
«Lo sono e per fortuna la malattia avanza lenta. Sai, lui ha diritto anche a vivere la sua gioventù».
Annuisce. «È giusto».
Davanti a casa sua Laura mi restituisce la giacca. «Buona notte, Max. Ci vediamo domani allo stand della fiera.» Apre il portone ma si volta «Grazie per questa bella serata».
Mi s’inumidiscono gli occhi. Non riesco ancora a credere che lei mi abbia perdonato. Ho accettato di fare il volontario per distrarmi dalla malattia e a volte penso sia stata una punizione per aver fatto soffrire Laura.
Mi destreggio tra le persone che si accalcano tra le bancarelle, frastornato dai venditori ambulanti che invitano a gran voce ad avvicinarsi ai loro stand. Intravedo Laura al nostro, la raggiungo e mi metto subito sotto l’ombra della tenda.
Lei mi fa un sorriso che mi allarga il cuore. «Ciao! Hai visto che bella giornata?».
Scrollo le spalle. «Non durerà, hanno previsto brutto nel pomeriggio».
Laura mi accarezza il braccio. «Oh, non essere così pessimista, Max. Guarda che bella giornata d’autunno intanto!».
Poso la mia mano sulla sua con un buffetto. «Hai ragione ma essere un po’ giù di morale fa parte della mia malattia».
Le lascio andare la mano e ci avviciniamo all’ambulante di un baracchino delle caldarroste. «Un pacchetto, per favore».
L’uomo prende una paletta e ne raccoglie qualche manciata.
Nell’aria si sprigiona lo stesso profumo di quando ero bambino e i miei genitori me le compravano. Sospiro al ricordo di un tempo che non tornerà più.
Andiamo a sederci a una panchina lì vicino e porgo a Laura il sacchetto. Nel farlo le nostre dita si sfiorano e una scarica d’eccitazione mi percorre il braccio.
Laura prende una castagna e mi guarda dritta negli occhi. «Se passi il tempo a preoccuparti del futuro ti privi del bello di oggi».
Non ho parlato agli altri di come mi sento, per non sentirmi dire che è tutto nella mia testa. Laura è la prima con cui lo ho fatto.
Annuisco e prendo una caldarrosta. «Ho paura di peggiorare velocemente e diventare un peso per mio figlio».
«Ma non è accaduto fino a ora.» Sbuccia la sua castagna, la mette in bocca e rimane in silenzio qualche istante. «Dai accompagnami al palco. La giuria adesso nomina i tre vini vincitori del concorso».
Ci prendiamo per mano e lei me la stringe forte.
La folla si dirada dal palco e non mi sfugge lo sguardo mogio di Laura: ha le spalle curve e guarda a terra.
Un imprenditore vinicolo della giuria ci si avvicina e si rivolge a lei. «Sono venuto a parlarle di persona. Ho degustato il suo vino oggi ed era fantastico, audace, originale, creativo.»
Laura è a bocca aperta. «… grazie».
Lui le sorride. «Non tutti i giudici erano d’accordo con il suo vino ma penso che lei abbia compreso».
Laura annuisce, ammutolita e lui le sorride bonario. «Se per caso volesse trasferirsi in Alto Adige, c’è una posizione aperta nella nostra tenuta».
Le porge un biglietto da visita. «Tenga, lì c’è il mio numero personale ma non ci metta troppo a rifletterci».
Laura balbetta ancora. «… Grazie» e rimane lì col biglietto in mano a guardare l’uomo che se ne va.
Le poso una mano sul braccio. «Laura, questo è meglio che vincere un premio. Lo conosco di fama: è un bravissimo imprenditore vinicolo e vuole lavorare con te!».
Mi è costato tantissimo dirle queste parole. Le penso veramente e Laura si merita un’opportunità di lavoro così prestigiosa anche se questo significa perderla per sempre.
Laura scuote la testa. «Max, casa non è solamente un luogo, è anche un tetto e per me soprattutto una persona. Tu sei la mia casa e voglio restare qui con te».
Mi manca un battito. «Non mi merito tutto questo. Mi sembra un sogno e va oltre le mie aspettative».
Lei mi posa le dita sulle labbra e mi zittisce. «Lasciamo andare i rimpianti e diamoci una seconda possibilità. Che le preoccupazioni di domani rimangano nel futuro: pensiamo a goderci l’oggi, anche con le sue sfide».
Le prendo la mano e la sfioro con le mie labbra. «Sì, Laura e io voglio ottenere il massimo dai giorni buoni».
Con Laura ho l’opportunità di inseguire un sogno ma ho bisogno di andare con calma e con più tempo.
Lei mi motiva e rafforza la mia determinazione a combattere il mio stato di afflizione, dovuto alla malattia. Con Laura torno a vedere qualcosa di bello nella mia vita.
Ora riesco a guardare al futuro con speranza, nonostante le difficoltà che dovrò affrontare.
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