Quando a prendere la penna in mano è uno scrittore vero accadono meraviglie. Accade che poi, tra le mani, il lettore si ritrovi non soltanto un romanzo ma un trattato, un manuale, un vademecum per la vita.
Una di queste meraviglie accade quando, tra le mani e arrotolati intorno alle dita, intorno a te stesso, ti ritrovi i Lacci di Domenico Starnone.
Ha insegnato nelle scuole per tanti anni, lo scrittore napoletano. E si sente. Si sente perché ogni sua parola, il suo periodare morbido, hanno la sicurezza e lo splendore di un dono corale, di uno scambio reciproco. Tutte le sue opere trasudano uno sguardo verso il mondo e verso tutte le sue peculiarità, un canale energetico in uscita e in entrata. Nulla a che vedere con la scrittura egoriferita e fragile degli “scrittori” per carriera che arrivano, sbaragliano, scompaiono.
Lacci è il romanzo, e il trattato, della famiglia. La coppia quando passa la frenesia dell’innamoramento, il matrimonio quando anche l’ultimo confetto si tarla e il tulle che avvolgeva lo zucchero di un futuro grandioso ingiallisce. L’arrivo di una sirena, il canto ammaliatore di un’emozione nuova. Il rumore di fondo, un battito d’ali appena, dei figli che crescono e sembrano non vedere, non capire. Quell’energia rarefatta che esploderà e non lascerà scampo, poi.
Aldo, Vanda, Sandro e Anna. Labes, il gatto. Lidia, l’altra. Quali e quanti nodi si sono formati creando matasse impossibili da districare? Cosa vuol dire essere famiglia, essere madre e padre? Come si fa a capire se un mare non agitato può essere, più dell’onda che lo anima e stravolge, amore? Che significato dare, oggi, alla parola responsabilità?
Sono lacci che chiudono la gola, quelli che Starnone ci mostra. Fanno distogliere lo sguardo dalla pagina e da noi stessi.
“E’ evidente che la critica della famiglia, dei ruoli e altre sciocchezze è solo una scusa. Tu non stai affatto lottando contro un’istituzione opprimente che riduce le persone a funzioni.
Mi fai l’esempio della scalinata. Hai presente – dici – quando si fanno le scale? I piedi vanno l’uno dietro l’altro così come abbiamo imparato da bambini. Ma la gioia dei primi passi s’è persa. Ci siamo modellati, crescendo, sull’andatura dei nostri genitori, dei nostri fratelli maggiori, delle persone a cui ci siamo legati. Le gambe ora vanno su in base ad abitudini acquisite. E la tensione, l’emozione, la felicità del passo sono andate perdute come anche la singolarità dell’andatura. Ci muoviamo credendo che il movimento delle gambe sia nostro, ma non è così, con noi fa quei gradini una piccola folla cui ci siamo adeguati, la sicurezza delle gambe è solo il risultato del nostro conformismo.
Ho riassunto bene? Ora ti posso dire la mia opinione? E’ una metafora stupida.
Rimpiangere il passato è stupido, come è stupido correre dietro a sempre nuovi inizi.
Il tuo desiderio di cambiamento ha un unico sbocco possibile, noi quattro: io, tu, Sandro, Anna.
Abbiamo il dovere di darci insieme un nuovo passo.”
Sciogliete i lacci, nastri sottili e dai nodi stretti. Aprite le pagine della vostra vita. Leggetevi.
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Domenico Starnone, Lacci, Einaudi
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