È da quando ero ragazzina che sento discutere su questo tema, dalla scuola media al liceo: «Ma è possibile l’amicizia fra uomo e donna?», e non mi sembrava un discorso serio. Con una certa meraviglia lo ritrovo ogni tanto sui giornali, con pareri autorevoli, e poche sere fa questa discussione ha infiammato una cena, in cui gli interlocutori si schieravano per il sì o per il no.
La maggior parte propendeva per il no. Io per una volta sono stata zitta, tracciando silenziosi identikit dei presenti a seconda delle loro argomentazioni: un’enciclopedia dei pregiudizi verso entrambi i sessi, che mi riportava all’età della pietra. Ma certo che è possibile! Se uno è capace di amicizia lo sarà anche con un extraterrestre, la simpatia è una festa senza barriere.
In questa domanda c’è una fiducia commovente negli impulsi brutali dell’uomo, come se lui o lei, una volta insieme, non potessero che obbedire all’istinto primordiale di saltarsi addosso.
Così accadeva in effetti nel paleolitico superiore, quando i rapporti erano elementari, il maschio addetto alla caccia, la donna alla caverna e alla cova. Allora sì un’amicizia fra i due sessi era improbabile: fra il maschio con la clava e la femmina irsuta non si stava tanto a fare conversazione. Si seguiva l’imperativo della specie, nella santità scimmiesca che precede il linguaggio. Ma quei tempi sono molto lontani. Oggi siamo snaturati, e aggrediti dal sesso da ogni parte. Il sesso è mercato, status, obbligo sociale, violentemente imposto e moltiplicato fino all’annullamento, o quasi, del desiderio. Tanta e tanto petulante è l’offerta che siamo eroticamente impoveriti, stremati dal sesso virtuale, si ricorre al Viagra a diciott’anni, i nostri istinti sono fin troppo controllabili.
L’ostacolo all’amicizia fra uomo e donna non è più il sesso, ma la competizione. Quando vede arrivare una nuova bella collega, il maschio pensa “Accidenti che tette! questa mi frega”. E le diventa nemico. Chi vede l’altro come un ostacolo non bada al sesso, non sarà amico né di uomini né di donne, sarà in guerra con il mondo intero, pur di essere, a tutti i costi (secondo la parola più volgare della nostra neolingua) “un vincente”.
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