L’amore ha l’ultima parola

Cuore
Ascolta la storia

Ecco la storia più votata per il n. 9: un amore che nasce sotto le guglie del Duomo di Milano

Sono arrivato a Milano dall’Inghilterra e mi devo integrare un po’. Il destino mi fa conoscere Agata, una guida turistica. Le chiedo di farmi vedere le bellezze artistiche della città anche se l’unica a lasciarmi incantato è lei. Riuscirò a conquistarla? 

Storia vera di Ed F., raccolta da Simona Maria Corvese

 

 

Ruoto intorno a me stesso, in mezzo a persone che parlano tra di loro o al cellulare e ticchettii di tacchi sulla pavimentazione mosaicata: il ramo della Galleria che va verso Piazza Duomo e quello verso la Scala li riconosco… ma gli altri due dove portano? Mi volto verso uno, a caso e ho una collisione frontale, memorabile, con una signora.

Lei barcolla e io, cavalleresco, stendo il braccio. La sorreggo al gomito e lei d’istinto, mi appoggia una mano sulla spalla, per non cadere.

I nostri sguardi rimangono avvinti in una connessione emotiva carica di elettricità.

Lei mi guarda con due occhi limpidi e la bocca socchiusa, poi si stacca da me. «Ehi, stia attento a dove va».

Si sistema una ciocca di capelli mossi, che le incorniciano l’ovale da Madonna rinascimentale.

Mi manca un battito. «Mi scusi, mi sono voltato di scatto… Ho perso la mia comitiva..».

Lei annuisce, lenta. «Dove doveva andare?».

Mi porto la mano al mento, con gli occhi persi verso un punto imprecisato. «The Merchants’ Lodge… La Logghia dei Mercianti?».

Lei inclina la testa di lato, ridacchia e gli occhi le brillano. «La Loggia dei Mercanti» ripete e scandisce bene le parole. «Inglese? Ma non saprei dire di dove, però…  Non ha nessun accento regionale».

Rido sotto i baffi. «Perché sono di Oxford. Lavoravo lì fino a pochi giorni fa».

Lei rimane a bocca aperta. «Che bello. Che cosa la ha portata qui?».

Mi inclino verso di lei. Ha una voce sottile e il mormorio dei turisti di passaggio in galleria la copre. «Un nuovo lavoro. Ero ricercatore di Letteratura Inglese al College. Ora sono socio in una scuola privata di lingue».

Lei annuisce e mi porge la mano. «Io sono Agata e sono una guida turistica».

Le stringo con delicatezza la mano. «Molto lieto, Agata. Io sono Ed».

Agata annuisce. «Io ho finito il giro con il mio gruppo. Venga che l’accompagno».

C’incamminiamo lungo la Galleria ma io mi fermo di scatto.

«Senta… E se l’assumessi in esclusiva?».

Lei si porta una mano alla guancia, con lo sguardo concentrato verso terra. Lo rialza, mi guarda dritto negli occhi e abbozza un sorriso.  «Lavoro con comitive, di solito. Perché vuole una guida dedicata?».

Non è ne un sì ne un no. Cosa posso fare per convincerla?

Mi bilancio prima su un piede poi sull’altro, poi mi arrivano le parole per dirlo. «Il proprietario della scuola è un mio amico e vuole che tutti i soci si integrino bene, amino la cultura del luogo e la conoscano almeno un po’».

Il suo sguardo s’illumina. «Eh, sì! Ha bisogno di un tour personalizzato, con la cultura locale».

Trattengo il respiro. «Ho bisogno che sia intensivo: lui vuole tutto e lo vuole subito. Ce la facciamo in tempi brevi?».

Lei ride. «Posso aiutarla, Ed».

Vorrei abbracciarla ma mi freno. Le sfioro il braccio con la mano e mi ritraggo. «Le sono sinceramente grato, Agata: non immagina che problema mi risolve».

***

Gli ultimi studenti escono dall’aula di inglese. Parlano tra loro, ridono, si gridano i saluti. Gilles è appoggiato con la spalla allo stipite della porta e condivide con ognuno di loro un sorriso giocoso. «Great job! See you next week… Ottimo lavoro! A settimana prossima.» Poi lancia un’occhiata fuori dalla porta principale della scuola e la sua voce si alza sul brusio dei ragazzi. «La tua guida personale è quella bella ragazza in cortile?».

Io, accanto a lui, guardo nella stessa direzione e annuisco.

Mi dà un gomitata. «Datti da fare, allora!».

Sospiro e alzo lo sguardo al cielo. «Sto bene così, grazie… E non so neppure se è libera».

Lui mi dà una pacca sul braccio. «Da quando hai rotto con la tua fidanzata non ti riconosco più. Sei così inibito… E sei tu che ti freni, non gli altri. Pensaci, Ed».

Gilles ha ragione. Sono io che freno nuove possibilità. Vorrei tanto essere amato e accettato da una donna per quello che sono ma non mi sento ancora pronto a fidarmi.

 

Con il naso all’insù sono ipnotizzato da una volta decorata. «Che meraviglia… Un cielo blu notte punteggiato di stelle dorate». Punto il dito in alto. «E guarda quegli angeli musicanti… Cantano, suonano il flauto, l’arpa, il liuto e… il violino?».

Agata mi si avvicina e annuisce.  «È il dipinto più antico di San Maurizio al Monastero Maggiore». La sua voce si fa un sussurro. «È del Cinquecento ma il gusto è del tardo Quattrocento».

Mi soffermo a osservare degli affreschi alla parete. «Che Belle! Chi sono quelle fanciulle?».

Lei sorride. «Sono affreschi di Bernardino Luini e sono le sante martiri che dovevano ispirare le monache di clausura». E me le indica con il dito. «Sant’Apollonia e Santa Lucia… ». Avanziamo di qualche passo e mi indica le altre due. «Santa Caterina d’Alessandria… I colori vividi e la dolcezza delle figure fanno quest’effetto a molti.» Si ferma di fronte all’ultima. «Lei è la mia preferita, Sant’Agata. È incantevole».

Agata mi fa lo stesso effetto: con la sua gentilezza e i suoi lineamenti aggraziati potrebbe stare tra le dame raffigurate.

Mi volto verso di lei. «Yes, she is» e l’ ammiro.

Agata si gira di scatto a guardarmi ma rimane senza parole, a bocca aperta. Nei suoi occhi vedo incredulità e mi viene da ridere.

Mi prende a braccetto. «Vieni, ti faccio vedere l’arca di Noè». E percorriamo la navata, fino alla fine del coro di sinistra delle monache.

Il mio sguardo scorre sui particolari dell’affresco. «Mi hanno detto che qui c’era l’Arca di Noè del Luini con due unicorni bianchi, ma non volevo crederci». Mi passo una mano tra i capelli e ridacchio. «E invece… eccoli lì… Ma non erano animali mitologici?».

Agata mi sorride. «Probabilmente sono il simbolo della speranza in un futuro migliore».

Sospiro. «Già, è quello che desideriamo tutti».

Le pupille di Agata si dilatano e perde il sorriso. «Ma tu sei una persona brillante: hai già un futuro promettente».

È una cara ragazza ma ora non ho voglia di parlare di questo argomento.

Mi schiarisco la gola e mi guardo intorno. «Anche quest’organo antico è fantastico. Sai se danno concerti qui in San Maurizio?».

Annuisce. «È un Antegnati del 1554, il più antico organo di Milano. C’è una serata in programma settimana prossima. Ti interessa?».

Sgrano gli occhi e rimango a bocca aperta. Che colpo di fortuna una data così vicina. Non me la lascio sfuggire. «Sì, certo. Ci andiamo insieme?».

Agata indugia con lo sguardo rivolto verso l’organo, poi si volta a sorridermi. «Sì, molto volentieri».

Da quando la ho conosciuta desidero stare con lei il più a lungo possibile.

Un brivido d’eccitazione mi corre lungo la schiena. «Senti, settimana prossima Giles ci ha invitati a casa sua per una festa in maschera, con cena».

Lei si ferma accanto a un sedile del coro. «Anche me?».

«Sì, vuole ringraziarti per il bel lavoro che hai fatto con me».

Agata si porta una mano al mento, pensierosa. «Non possiamo andarci a mani vuote. Dobbiamo preparare qualcosa di tipico di Milano».

Io alzo la mani al cielo. «Ah… Ma io non so cucinare…».

Agata ride. «Non ti spaventare. Ti insegno due dolci della tradizione popolare brianzola e milanese: la torta paesana e i tortelli».

Mi piace Agata: è sempre gentile, onesta di pensiero e mi mette a mio agio.

Alzo lo sguardo verso di lei. «Agata, prepariamo anche i bignè con i pezzettini di mela per la festa».

Lei ride di gusto. «Vorrai dire tortelli. E quelli con i cubetti di mela si chiamano làciàditt». Strizza l’uvetta con una mano. «Va bene, ti accontento». Poi l’aggiunge alle uova sbattute e allo zucchero.

La guardo di sbieco. «Sei una bravissima pasticcera.» Lancio un’occhiata a una foto che ha sulla porta del frigor, fermata con una calamita: è lei con un uomo. «Chissà come sarà contento il tuo compagno…».

Un guizzo le passa dagli occhi e mi fa un sorriso malizioso. «Quello nella foto è mio cugino. Non c’è nessun compagno».

Mi schiarisco la gola. «Scusa, ho frainteso».

Lei annuisce. «C’è stato un fidanzato qualche anno fa. Da allora ho qualche problema a fidarmi».

Abbasso lo sguardo. So cosa vuole dire. «Capisco».

«E tu? C’è qualcuno nella tua vita?».

Faccio un sospiro profondo. «C’è stata una ragazza ma mi ha lasciato per un altro» . La guardo negli occhi. «Ci teneva più di me alla relazione. Io non le sono stato abbastanza vicino… e ho pagato le conseguenze del mio egoismo».

Affondo il cucchiaio nell’impasto della torta paesana per amalgamarlo ma lei mi mette una mano sul braccio. «Aspetta, manca un ingrediente».

Afferra una ciotolina di vetro con i pinoli e li versa sul composto.

Mescolo a caso ma lei riposa la mano sul mio braccio e inizia a guidare i miei movimenti. «Ecco, così».

I nostri sguardi s’incontrano e rimangono avvinti l’uno nell’altro. Un piacevole tepore mi s’irradia in tutto il corpo. È  lei che mi fa sentire le farfalle nello stomaco.

Gilles ci si avvicina. «Ragazzi, avete visto il mio giardino d’inverno? Visitatelo, intanto che arrivano tutti gli ospiti».  Ci guida fino a una porta sul retro del suo condominio.

Rimango a bocca aperta. «Senti che silenzio: è un vero giardino segreto».  Mi volto verso Agata. «Mi hanno tanto parlato dei giardini nascosti nelle case di Milano ma è il primo che vedo. Meraviglioso.» Il mio respiro appanna l’aria e mi sistemo la sciarpa al collo.

Lei mi sorride ammutolita e annuisce.

Il cielo è blu pesto ma dei lampioni in stile antico lo illuminano e lo zampillio dell’acqua da una piccola fontana in lontananza, lo anima.

Camminiamo su delle piccole lastre di ardesia nascoste nell’erba, che formano una passerella tortuosa, verso il muro che divide la proprietà da quella di un altro condominio. È una parete di gelsomini gialli d’inverno e Agata li accarezza con la mano.

Mi fermo accanto a lei. «Non me lo aspettavo così stimolante questo soggiorno in Italia».

Agata mi guarda dritto negli occhi. «È migliore delle tue aspettative?».

Sorrido. « Milano è diventata la mia casa, lontano da casa».

I suoi occhi brillano. «Sono contenta che ti trovi bene qui».

Le accarezzo la guancia.

I battiti del cuore mi accelerano ma non sono ancora pronto a mostrarle i miei sentimenti.

Ritraggo subito la mano. «È grazie a te, che mi hai fatto amare Milano».

Gilles si affaccia alla porta e ci raggiunge. «È pronto in tavola. Venite?».

Faccio un respiro profondo. «Gli chiediamo di scattarci una foto per ricordare  questa bella serata?».

Lei deglutisce e un lievissimo rossore le si insinua sulle guance.  «… in compagnia tra amici.» esala con un filo di voce.

… ma… allora… non le sono indifferente!

Prendo il cellulare dalla tasca del cappotto. «Certamente, Agata». Poi lo porgo a Gilles.

Faccio scorrere lo sguardo su di lei. Agata si stringe al petto il cappotto slacciato, lungo e svasato, dello stesso bordeaux dell’abito di velluto da cocktail, oltre il ginocchio, che intravedo sotto. «Sei bellissima».

Mi manca il fiato, tanto è affascinante così.

Lei mi sorride, si scioglie il nastro della sua mascherina di raso nera e la toglie. «È una cena di carnevale, ho pensato che questo abbigliamento fosse adatto».

Annuisco. «Mi piace moltissimo.» E mi tolgo anch’io la mia mascherina nera.

Ci mettiamo in posa tra la fontanella e la cascata di gelsomini gialli, illuminati dai caldi bagliori dell’antico lampione. Sorrido con lei e Gilles scatta.

Sulla soglia della casa lui si avvicina ad Agata. «Volevo ringraziarti per il bel lavoro che hai fatto con Ed. Adesso che ha visitato anche Sant’Ambrogio è un vero milanese!».

Ride con lei. «Senti, ho consigliato l’agenzia dove lavori a degli amici imprenditori. Vi contatteranno dei nuovi clienti nei prossimi giorni».

Lei sgrana gli occhi. «Grazie… Mi hai davvero sorpresa. Riferirò al mio capo».

Lui sorride e ci invita con un gesto della mano. «Forza, andiamo. Non vedo l’ora di assaggiare i vostri dolci».

Piego la testa di lato, di fronte a un quadro di Palazzo Morando. «Che meraviglia questa scena con i carri allegorici del carnevale… e guarda quelle dame in bianco, con le maschere… Che dettagli.» Mi sposto più in là e sfioro il braccio di Agata, che  guarda un altro quadro. «Ma quello è il cortile di Sant’Ambrogio?».

Lei si volta verso di me. «Sì, bravo! Ci siamo stati e hai riconosciuto il suo colonnato».

Degli appassionati d’arte seduti su dei divanetti, discutono a bassa voce altri quadri illuminati da faretti.

Agata fissa il dipinto ma chissà dov’è con la testa. «C’è qualcosa che ti turba?».

Lei deglutisce. «Il mio capo mi ha portato a cena al ristorante per parlami della mia promozione ma mi ha fatto anche delle avance».

Sgrano gli occhi. «Sei attratta da lui?».

Lei scuote la testa «Mi ha invitato a trascorrere dei week end con lui, per farmi vedere il suo chalet in Svizzera.» E sistema, nervosa, il cappotto che tiene sul braccio. «Lavoriamo insieme da tanti anni ma non provo niente per lui».

Emetto un sospiro di sollievo: se mi avesse detto di sì, mi avrebbe spezzato il cuore. «Mi sembra solamente un tentativo bieco di fare di te la sua amante…».

Agata annuisce. «Non volevo credere che fosse così. Ero andata fiduciosa a quella cena».

La guardo negli occhi. «È superfluo consigliarti di non accettare compromessi disonorevoli: lo sai da sola».

Sul suo volto si forma un sorriso che le arriva fino agli occhi. «Mi trovo bene con te, Ed. Riesco a parlarti di tutto».

La sua affermazione mi scalda il cuore. «anch’io, Agata…».

Le sorrido per rassicurarla. «Voglio seguire il mio cuore, se anche tu provi qualcosa per me».

Le si dilatano le pupille e un guizzo di luce le attraversa lo sguardo.

Con la mano libera lei accarezza la mia. «Ho tenuto i miei sentimenti per me. Un’infatuazione è sicura finché non evolve in qualcosa di più». Mi sorride. «Ma è diventata un sentimento più profondo che non ho voluto mostrarti. Temevo di soffrire, se tu fossi tornato in Inghilterra».

Mi abbraccia e io la stringo a me e la bacio.

Ho trovato il mio posto nel mondo e questo è l’inizio del capitolo più bello della mia vita. Perché alla fine, è l’amore che ha l’ultima parola.

 

Confidenze