“L’amore trovato” di Mariella Loi, pubblicata sul n. 51 di Confidenze, è una delle storie votate dalle lettrici sulla nostra pagina Facebook. Ve la riproponiamo sul blog
Se ripenso alla mia vita mi accorgo che sono stata chiusa per anni in una morsa. Ma ho saputo reagire. E un uomo dolce, sensibile e taciturno, tanto quanto era il mio ex chiacchierone, mi ha restituito la fiducia e mi ha permesso di pensare che la felicità esiste
Storia vera di Grazia T. raccolta da Mariella Loi
È da quando ho compiuto 70 anni che penso di scrivere la mia storia, come se soltanto vederla scritta nero su bianco, parola dopo parola, mi consentisse di chiudere il cerchio. Delle cose brutte che mi sono accadute, della morsa di dolore che mi ha tenuta in scacco a lungo.
Delle vicissitudini della mia vita ricordo tutto, a cominciare dalla mia infanzia di figlia unica, molto amata, da genitori che mi hanno tenuta a lungo sotto una campana di vetro.
Sotto le campane non si vive bene, dopo un po’ manca l’ossigeno e io avevo voglia di fare il pieno di aria pura.
Avevo 15 anni quando ho conosciuto Valter, a una festa in casa, come usava allora. Lui di anni ne aveva 21, era bello come si può esserlo solo a quell’età e in più aveva il fascino di quello più grande, che frequentava l’università. Io all’epoca già lavoravo e la sera frequentavo le scuole serali. Ero carina, piccolina ma non mi ritenevo nulla di speciale. Lui mi faceva sentire bella, per questo forse ero stata così colpita dalle sue attenzioni. Iniziammo subito a frequentarci ma date le difficoltà opposte dai miei per farmi uscire, finì che dopo pochi mesi, per poterlo vedere, dovetti fidanzarmi in casa.
Valter fece un’ottima impressione alla mia famiglia, come la faceva a tutti del resto, perché emanava uno charme non comune. Solo io sapevo che dietro il suo fascino si celavano insicurezze ed egoismi. Ma a quell’età si pensa ingenuamente che il nostro amore possa guarire tutto, si è portati a credere che sia solo questione di tempo, che quando si sarà sposati sarà diverso, perché avere una famiglia cambia le persone e in fondo Valter una famiglia vera non l’aveva mai avuta.
Forse per questo era una summa di tante debolezze, prima fra tutte una certa propensione al gioco, che però pensavo fosse solo un vezzo, un innocente passatempo che con gli anni gli sarebbe venuto a noia. Ne ero talmente convinta che quando mi aveva chiesto di accompagnarlo all’ippodromo alle corse dei cavalli, lo avevo fatto volentieri, ignorando quanto negli anni mi sarei rimproverata la cecità di allora.
Ci siamo sposati che avevo da poco compiuto 20 anni, non senza qualche titubanza da parte mia. Fosse stato per me avrei aspettato ancora, ma Valter voleva sposarsi e anche i miei genitori spingevano in tal senso, così alla fine avevo acconsentito. Del giorno del matrimonio non ho un bel ricordo, anzi quella mattina mi ero talmente arrabbiata da non volermi più sposare, tanto che ero arrivata anche a togliermi di dosso il vestito. Avevo saputo che Valter si era giocato i soldi per la festa di addio al celibato e trovandosi in difficoltà, era andato a chiederli a mio padre che glieli aveva dati. Così il giorno delle mie nozze io ero arrabbiata con entrambi e fu mio padre a dovermi convincere perché mi rimettessi l’abito da sposa e portassimo a termine la cerimonia. Mi disse che quello che era successo non era una cosa grave e ci si poteva passare sopra.
Per le nozze indossavo un abitino di cady, un tubino lungo color avorio e tra i capelli avevo messo un cerchietto con fiorellini bianchi. Non c’erano molti soldi, niente pranzo nuziale, come festa solo un rinfresco in piedi al ristorante, e saltammo anche il viaggio di nozze.
Dopo un mese che eravamo sposati, scoprii che mio marito si era fatto dare il tfr dall’azienda per la quale lavorava, per pagare certi debiti di gioco. Lo affrontai a muso duro, lui giurò che non avrebbe più giocato ma i fatti successivi lo smentirono. I mesi seguenti furono un inferno, con un viavai di creditori a tutte le ore. Un giorno arrivò a suonarmi il campanello una perfetta sconosciuta dicendomi che l’aveva mandata mio marito, erano stati insieme, ma lui non l’aveva potuta pagare. Mi chiese di consegnarle il mio corredo di nozze e la macchina per scrivere che avevo comprato per lavorare da casa, per arrotondare lo stipendio. La cacciai in malo modo e avvisai il portiere di non far salire più nessuno da me senza preavviso. Abbiamo tirato avanti per tutto il periodo successivo solo con il mio stipendio perché quello di Valter se ne andava prima ancora di percepirlo, e mentre mi dibattevo in questi affanni mi accorsi di essere incinta. I mesi successivi furono molto duri sia sul piano psicologico sia su quello materiale. La situazione che stavo vivendo non era certo quella ideale in cui avere un figlio, tuttavia ero riuscita a mettere via qualche risparmio in vista delle spese da sostenere, ma Valter alla prima occasione si era giocato tutto.
Neanche quando mi arrivarono le doglie, mio marito era con me. Lo mandai a chiamare, lo trovarono in una sala corse intento a giocare e a mia cugina che gli diceva che stavo per partorire, lui rispose di lasciarlo in pace, che tanto ci sarebbe voluto ancora del tempo.
Dopo il parto ripresi subito a lavorare, a occuparsi di Alessandro era mia madre, che mi aiutava anche economicamente per tutti i bisogni del bambino. Intanto Valter era completamente fuori controllo, giocava non solo ai cavalli, ma anche a poker, talvolta vinceva, ma molto più spesso perdeva. Per trovare i soldi non si fermava davanti a nulla, arrivava a rubarmi i pochi spiccioli che tenevo nel portafoglio, si era venduto anche il mio oro, spingendosi persino a impegnare la sua fede nuziale al Monte di Pietà.
Poi erano arrivate anche certe frequentazioni con donne più anziane e danarose alle quali si offriva come accompagnatore. Spariva di casa per giorni interi: a me diceva che si trattava di viaggi di lavoro, dai quali stranamente ritornava sempre con qualche regalo, un orologio nuovo, un po’ di denaro. Nel tempo ho perso il conto delle sue frequentazioni femminili: ero troppo intenta a crescere nostro figlio nel migliore dei modi, inoltre le cambiali dalle quali eravamo sommersi mi levavano il respiro e la maggior parte dei miei guadagni se ne andava per pagare quelle.
Quando Alessandro aveva un anno, accadde un fatto molto grave: l’azienda per la quale Valter lavorava come dirigente aveva scoperto un ingente ammanco di cassa ed era stato mio marito ad appropriarsene. Avevo il cuore a pezzi ma, non volendo che finisse in galera, non esitai a firmare un lungo elenco di cambiali.
Quello che era accaduto però era talmente grave da darmi la forza di lasciare Valter e trasferirmi con mio figlio a casa dei miei genitori. Stavo molto male fisicamente, non mangiavo, dormivo poco, negli ultimi mesi ero visibilmente dimagrita e forse fu proprio la disperazione a darmi la forza necessaria per compiere quel passo.
Per rimettermi in forze, partii per un soggiorno di un mese in montagna in compagnia di mio figlio e mio padre. A mia madre prima di partire avevo raccomandato caldamente di non dire a nessuno dove mi trovavo. Avevo bisogno di riprendermi fisicamente e ormai avevo deciso che, appena mi fossi rimessa in forze, avrei chiesto il divorzio.
Dopo un paio di settimane ero letteralmente rinata, finché una mattina, ritornando in albergo da una passeggiata, mi ritrovai davanti Valter. Mia madre non era riuscita a mantenere il segreto e gli aveva rivelato dove mi trovavo ma la cosa che più mi colpì fu la contentezza che traspariva dalla faccia di mio padre nel vedere lì Valter, come se quel gesto di venirmi a cercare cancellasse con un colpo di spugna tutte le sue colpe.
Quello era un momento molto particolare: io avrei avuto bisogno di sentirmi appoggiata nel mio proposito di lasciarlo, invece i miei genitori in qualche modo erano contenti all’idea di una riconciliazione. Valter mi giurò di essere cambiato, diceva che io e il bambino gli eravamo mancati terribilmente, promise di non giocare mai più.
Mi lasciai convincere e quando tornai a casa con lui aspettavo già il secondo figlio. La situazione ovviamente non cambiò affatto, se non in peggio. Ale aveva un anno e io aspettavo Riccardo, quando ci fu il primo episodio di violenza fisica. La sera prima mia madre mi aveva lasciato i soldi per acquistare il latte in polvere per il bambino ma quando andai ad aprire il portafoglio lo trovai vuoto. Quei soldi erano gli unici che avevo e servivano per nostro figlio. Urlai a Valter di restituirmi il denaro che mi aveva rubato e lui reagì violentemente prendendomi per il collo. Mi spinse in bagno e mi mise la testa sotto l’acqua gelata della doccia. Era febbraio e quell’episodio era destinato in seguito a ripetersi molte altre volte.
I miei genitori erano a conoscenza di quanto stava accadendo eppure mi invitavano a portare pazienza e nel contempo continuavano ad aiutarmi economicamente. Ho resistito in quell’inferno ancora per un po’ di tempo, troppo a pensarci adesso, poi quando Riccardo aveva due anni lasciai Valter, fermamente decisa a chiedere la separazione. I miei genitori non approvavano la mia scelta, il matrimonio è sacro, dicevano, ma di quella sacralità nella mia unione non era rimasto nulla. Nelle pratiche di separazione venni aiutata da una brava avvocata, che era stata tra i sostenitori della legge sul divorzio, entrata in vigore in Italia da pochi anni. Valter come è facile immaginare, non si arrese facilmente, mi inseguiva dappertutto, non mi lasciava in pace, venendo spesso a farmi la posta all’uscita dal lavoro. Sono stati tempi molto duri nei quali, per mia fortuna, ho potuto contare su un cordone di sicurezza che mi proteggeva e non mi lasciava mai sola. Le mie amiche venivano a prendermi e mi riaccompagnavano fino a casa, anche sul lavoro avevo chi mi avvertiva della sua presenza nei paraggi ma lui nonostante i miei rifiuti, continuava imperterrito a cercare di avvicinarmi.
Alessandro aveva sei anni e Riccardo quattro quando ho conosciuto Marco. Una persona semplice, onesta, dall’animo buono e forte. Ci siamo incontrati in una corsia d’ospedale, io stavo vegliando una cara amica che era stata operata, lui era lì per assistere sua madre. Era notte, le luci erano attutite, abbiamo bevuto un caffè e fatto due chiacchiere. Quando ci siamo salutati, mi accompagnava la bella sensazione di aver conosciuto una persona speciale. Un uomo molto dolce, sensibile, tanto taciturno quanto Valter era chiacchierone.
Abbiamo iniziato a frequentarci, qualche passeggiata, una serata al cinema, cose semplici che mi facevano stare bene. Mi sono innamorata di lui: incontrarlo per me ha significato ricominciare a progettare una vita di coppia, con un uomo che sapeva rendermi felice. Marco era libero da legami, viveva con sua madre e suo fratello ma a 35 anni aveva tanta voglia di una famiglia sua.
All’inizio certamente ha avuto qualche perplessità legata alla mia situazione familiare, lo intuivo da certi suoi silenzi, ma poi quando ha conosciuto i miei figli, tra loro è nato un legame di grande affetto.
Il giorno in cui l’ho visto sorridere, nel sentire i bambini chiamarlo papà, ho capito che i momenti d’ombra erano stati superati ed ero finalmente a casa. Anche Valter, davanti all’evidenza di un nuovo amore che mi rendeva felice, ha finito con l’arrendersi, smettendo di cercarmi.
Io e Marco siamo andati a vivere insieme, non senza aver prima dovuto affrontare qualche ritrosia della mia futura suocera. Era una donna buona che mi voleva bene, ma in quegli anni la mentalità non era quella di oggi ed era bastata l’interferenza di qualche parente che le aveva insinuato dei dubbi, a far comparire qualche ombra. Ma è stato sufficiente conoscerci meglio per spazzare via qualunque timore: negli anni, lei e mia madre sono anche diventate amiche inseparabili.
Finalmente anche per me sono arrivati i tempi belli. Io e Marco siamo diventati una famiglia nella quale i ragazzi hanno considerato Marco il loro unico padre. Ed è stato così in effetti, perché è lui a essergli stato vicino durante gli anni della crescita, provvedendo a loro e considerandoli sempre come figli suoi. Valter è sparito dalle nostre vite, ha anche rinunciato alla patria potestà. Una cosa orribile, anche se noi l’abbiamo vissuta con sollievo. Perfino i miei genitori hanno accettato Marco di buon grado, nel tempo, si sono fatti una ragione della fine del mio matrimonio. Negli anni successivi sono stati nonni molto presenti che non hanno mai fatto mancare il loro aiuto.
Anche la mia condizione economica è migliorata, sul posto di lavoro erano a conoscenza della mia situazione e godevo della stima di tutti. Il mio capufficio per darmi la possibilità di pagare le cambiali di Valter mi fece ottenere un congruo assegno, una sorta di anticipo sulla liquidazione. Quelli sono stati gli ultimi debiti di mio marito che mi sono ritrovata a pagare, negli anni lui ne avrebbe contratti molti altri ma non sono più stati cosa che mi riguardasse. Ho lasciato che le cambiali che aveva firmato andassero in protesto, la sua vita non era più affar mio.
Io e Marco abbiamo comprato casa, non senza sacrifici, ma siamo riusciti a costruire il nostro nido, dove, ora che i nostri figli sono grandi, continuiamo ad abitare insieme. A divorzio ottenuto, nel 1983 ci siamo sposati e questa volta è stato tutto molto diverso. Quel giorno indossavo un tailleur color panna, sopra una camicetta di seta in tinta e un grazioso cappellino. Abbiamo festeggiato con un bel pranzo al ristorante con gli amici, i parenti e i nostri figli. La luna di miele a Venezia è stato solo il primo dei viaggi che abbiamo fatto insieme e anche se negli anni successivi la salute mi ha creato qualche problema, Marco non ha mai smesso di essermi accanto. Quest’anno abbiamo festeggiato il trentacinquesimo anniversario di matrimonio, tre decadi e mezzo di grande amore.
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