Le cose non dette

Cuore
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“Le cose non dette” è una storia originale dove sono indagati a fondo gli stati d’animo della protagonista. La scelgo per la sua profondità e per come è stata scritta, scrive Marta, una nostra lettrice, sulla pagina Facebook. La storia di Mariella Loi, pubblicata sul n. 29 di Confidenze, è la più apprezzata della settimana. Ve la riproponiamo sul blog

 

Giorgio è sparito anni fa senza una spiegazione. Ora vuole incontrarmi, deve parlarmi di cose importanti. Che sia l’occasione per fare chiarezza su un amore incompiuto?

Storia vera di Deborah S. raccolta da Mariella Loi

 

Mi aveva contattata in modo quantomeno singolare con una lettera raccomandata. Il portinaio me l’aveva consegnata con fare curioso, visto che il nome del mittente era noto anche a lui. Mi ero interrogata sul perché di quella scelta, ma Giorgio era sempre stato un tipo originale e anche in quell’occasione aveva pensato bene di non smentirsi. Poi mi ero ricordata che due anni prima avevo cambiato indirizzo di posta elettronica e numero di telefono e avevo imputato a questo la scelta del mezzo di contatto. 

Una volta in casa aprii la busta e ne estrassi un foglio accuratamente ripiegato in due.

Poche righe scritte a mano, con la sua grafia inconfondibile che diceva: “Ho bisogno di vederti, devo parlarti di cose importanti. Per favore chiamami”. Poco sotto la sigla delle sue iniziali, la sua firma abituale.

Rimasi alquanto perplessa a guardare prima il foglio, poi la busta interrogandomi su quale oscuro motivo avesse portato un uomo che mi aveva lasciato tre anni prima, senza uno straccio di spiegazione, a contattarmi dopo così tanto tempo, e a volermi incontrare.

Era sabato e due giorni dopo sarei dovuta partire per una breve vacanza. Decisi quindi di lasciare la cosa in stand-by fino al mio rientro.

Una settimana dopo non avevo ancora deciso cosa fare, continuavo a rimandare e non ero neanche certa di volerlo sentire. Poi mi resi conto che la sua richiesta mi aveva provocato uno stato d’ansia da cui mi sarebbe riuscito difficile liberarmi e fu solo per levarmi un peso che mi decisi a contattarlo. Un breve messaggio in cui acconsentivo a vederlo in un certo posto che lui conosceva bene.

Arrivò al nostro appuntamento puntuale. Lo guardai, mi sembrò dimagrito e anche pallido. Erano passati tre anni dall’ultimo nostro incontro e i segni del tempo trascorso li portava tutti addosso in modo evidente.

Mi disse che mi trovava bene. «Sembri più giovane dell’ultima volta in cui ti ho visto» esordì, una frase che mi sembrò terribilmente inadeguata in quel frangente. Mi ero ripromessa di non concedergli molto tempo, così gli chiesi subito per quale ragione avesse voluto incontrarmi e visto che c’era, non sarebbe stato male se avesse voluto spiegarmi il motivo per cui  mi aveva lasciata anni prima, senza neppure uno straccio di spiegazione.

Non che fossi realmente interessata a conoscerlo, solo che non mi andava di concedergli il mio tempo così a buon mercato, senza pretendere nulla in cambio.

Cominciò a parlare lentamente ed ebbi l’impressione che il discorso se lo fosse preparato da tempo, tanto che a un certo punto mi sembrò quasi che stesse seguendo una scaletta.

Sono una psicologa, sono abituata ad ascoltare i miei pazienti tutti i giorni e so come la vita spesso  offra sceneggiature degne di una major hollywoodiana. Lo vedo tutti i giorni nel mio lavoro, ma di lavoro appunto si tratta e, in quel frangente, la veste professionale mi scherma dalle radiazioni nocive del dolore altrui. Cosa diversa è quando si tratta della propria vita, dei propri sentimenti e in quel caso la professionalità poco serve a proteggerti.

«Ho avuto un figlio, due anni e mezzo fa» mi dice Giorgio, «da una mia studentessa. Non sapevo come dirtelo, è per questo che sono sparito».

La parola figlio ancora riecheggia nell’aria, come una sciabola che non riesco a scansare, quando vengo raggiunta dal secondo fendente: da una studentessa.

Il mio ex compagno mi ha appena confessato di aver avuto un figlio da una ragazza che avrà almeno 20 anni meno di me e di avermi lasciato per questa ragione, e, davanti a una simile confessione, io non riesco a proferire parola.

Mi chiedo se non sia uno scherzo di cattivo gusto, ma guardando la faccia di Giorgio capisco che è tutto vero e mentre una cappa di angoscia mi si posa sul cuore, mi ritrovo a combattere con la voglia fortissima di alzarmi e andare via.

Lui deve cogliere il mio disagio, mi conosce bene, e anticipandomi mi dice che avrei tutto il diritto di prendere e andarmene, ma che spera tanto che io non lo faccia.

Lo guardo dritto negli occhi, indecisa se parlare o tacere e intanto che penso, mi rimprovero per avergli dato la possibilità di farmi del male con quella rivelazione tardiva.

Capita tutti i giorni di sentire storie di uomini maturi che perdono la testa per ragazze molto più giovani di loro, ma questa volta è diverso perché lui non è uno qualunque, è il mio Giorgio e mai come in quel momento l’aggettivo “mio”, che si agita prepotentemente nella mia testa, è totalmente inappropriato. Nella mia veste professionale mi sono chiesta spesso, cosa succeda nella testa di certi uomini, che all’affacciarsi dell’età matura si lasciano andare ad amori improbabili, con donne che per età potrebbero essere tranquillamente le loro figlie. Paura di invecchiare certo, forse anche paura di morire. Cos’è del resto l’amore se non il più potente antidoto a nostra disposizione contro il nulla?

Sposto la traiettoria dei miei pensieri e ora mi chiedo cosa possa aver trovato una ragazza in un uomo dal corpo precocemente segnato dal tempo e dal piglio maturo. Stabilità, esperienza, maturità che appare tale solo a chi ha 30 anni di meno? Non ho risposte.

Intanto che penso, resto in silenzio.

 

Giorgio, dopo una pausa, ha ripreso a parlare e ora dice che nemmeno lui aveva messo in conto di diventare padre, a 55 anni poi… Roba da non credere. Neanche lo voleva lui questo figlio, ma resta il fatto che ora il bambino c’è, e il suo bene è la priorità. Fa pochi accenni alla madre del piccolo, passaggi veloci dai quali capisco che se una relazione tra loro c’è stata, è oggi archiviata. E mi chiedo come  una storia, che lui definisce di poca importanza, possa aver provocato la fine del nostro rapporto. È ovvio che non è così, lo vedo tutti i giorni in terapia, con i miei pazienti, che spesso le fini si nutrono di cause apparenti, appositamente cercate per chiudere cerchi diventati angusti.

Non ho ancora detto una parola da quando Giorgio ha cominciato a parlare. I nostri volti sono tesi, lo capisco dagli sguardi di una coppia seduta poco distante da noi.

Approfitto di una pausa del mio interlocutore per interrompere il discorso e, guardandolo dritto negli occhi, gli chiedo per quale ragione mi stia raccontando tutto ciò e perché lo stia facendo proprio ora.

Ho parlato con tono deciso, la mia voce è ferma, e non so se complimentarmi con me stessa per il mio aplomb o prendermi a schiaffi per la rabbia, che in quel momento non riesco a esprimere. Guardo l’orologio, sono solo 20 minuti che siamo seduti l’uno di fronte all’altra ma a me sembra un’eternità.

Giorgio apre la borsa che fino a quel momento è rimasta appoggiata a terra e mi porge un quaderno dalla copertina rigida di colore blu. Mi incita a prenderlo in mano e a fronte della mia riluttanza, me lo appoggia sul grembo. “È sempre stato un originale” penso e intanto mi chiedo se quello che mi ha appena dato non sia la bozza del libro che diceva sempre di voler scrivere. Non è di quello che si tratta, me lo anticipa subito, è una raccolta di pensieri, una sorta di diario estemporaneo che ha raccolto negli ultimi mesi. Mi sta chiedendo di custodirlo e di consegnarlo un giorno a suo figlio. Mi sembra una cosa molto strana. Un diario? E cosa c’entro io? Mi sembra un lascito indice di brutti presagi di cui lui mi chiede di farmi carico.

Provo a obiettare e adesso non sono più la figura scolorita di me stessa di pochi minuti prima. Sono di nuovo io, lo capisco perché mi sto arrabbiando e totalmente incurante del luogo in cui siamo, sto alzando la voce. Giorgio non sembra preoccuparsene, siamo molto lontani dai corridoi dell’Università dove insegna, qui non ci sono occhi e orecchie indiscrete che possano cogliere il discredito che le mie parole gli riversano addosso.

Ora sono una furia. Sono stata tradita, abbandonata, umiliata per un capriccio che non si è preso neppure la briga di trasformare in amore. Volano parole grosse, gli dico che è un omuncolo senza spessore, un povero illuso che ha creduto di poter fermare gli anni che passano col più banale dei mezzi. Non ho più freni, ne insulto il genio insulso e la virilità decadente sulla quale più di una volta ho soprasseduto e chiudo il cerchio compiangendo suo figlio per avere un simile padre.

 

Lui cerca di calmarmi e quando si rende conto che ogni tentativo di rabbonirmi è, si allontana un attimo, con la scusa del telefono che squilla. Lo vedo sparire dietro una colonna, cerco di tranquillizzarmi, la pressione dev’essermi schizzata alle stelle, lo capisco dal cerchio che mi stringe la testa. Cerco le pastiglie nella borsa, bevo dell’acqua e mentre cerco di calmarmi, provo a fare dei respiri profondi. Chiudo gli occhi, quando li riapro, Giorgio è sparito. Penso che si sia allontanato per parlare al telefono più liberamente, invece non torna. Tutto questo non ha senso, mi sembra di essere stata catapultata sul set di uno sceneggiato televisivo, proprio io che neanche guardo la tivu.

Vorrei andarmene ma devo dare sfogo a tutta la rabbia che sento. Non ci saranno altre occasioni per farlo, non voglio tapparmi la bocca, sono troppe le cose ancora da dire. Giorgio non torna, è svanito e non risponde nemmeno al telefono. Alla fine ha ottenuto quel che voleva perché il suo quaderno è rimasto con me. Sono tentata di buttarlo nel primo cestino che incontro oppure di portarlo in facoltà e consegnarlo alla segreteria di dipartimento. Sai quanti sbeffeggiamenti, se la sua vita privata venisse a conoscenza di quella combriccola maligna dei suoi colleghi… Ho un ghigno mentre penso di vendicarmi di lui nel peggiore dei modi, ma la verità è che quel diario è una tentazione enorme per me e la voglia di leggerlo è più forte di qualunque proposito vendicativo.

Mi alzo e decido di andare via, e solo a quel punto mi pongo la domanda più importante, la sola che meriti spazio: perché Giorgio ha voluto scrivere un diario per suo figlio da consegnare a me? Non poteva custodirlo lui stesso, per darglielo di persona, una volta che fosse diventato adulto? Ricordo che una volta mi aveva raccontato che suo padre aveva fatto qualcosa di simile con lui. Giorgio era ormai adulto all’epoca, ma diceva che la lettura di quel memoriale era lo strumento che più di tutti gli aveva consentito di conoscere la figura di suo padre, non quella pubblica e osannata, ma quella più intima che aveva a che fare solo con l’uomo.

Torno a casa, apro il diario e leggo.

È  la sua storia, ci sono ricordi della sua infanzia, dell’adolescenza, i traguardi dell’età adulta. E ci sono riflessioni intime sui suoi sentimenti, sul rapporto con sua madre, con le donne che ha avuto. C’è anche un capitolo dedicato a noi due e alla nostra storia che in un passaggio veloce definisce un’occasione mancata. Quell’espressione mi strappa una lacrima perché è la stessa sensazione che provai anch’io quando lui se ne andò anni fa. Vado avanti per ore a leggere e se in certi momenti la rabbia riaffiora, in altri provo un sentimento di nostalgia che mi fa stare male perché mi riporta al nostro mondo perduto.

Ed è solo quando arrivo alle ultime pagine che capisco il perché di quel diario.

Giorgio sta male, ha scoperto che non gli resta molto da vivere e ha deciso di impiegare il tempo che gli resta a scrivere, non il libro di cui parlava ogni tanto, ma un quaderno di ricordi, per lasciare a suo figlio, che oggi non ha neanche tre anni, una traccia di sé.

Mi chiedo perché proprio a me abbia affidato questo compito, la risposta la trovo nell’ultima pagina, dove dice che il quaderno lo ha lasciato in consegna a una donna che ha amato molto. Peccato che a me non l’abbia mai detto.

 

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