Quando il destino fa incontrare una prof di chimica e un avvocato divorzista, le reazioni possono essere esplosive. Ma io e Stefania abbiamo entrambi tanta paura a impegnarci. Forse ci serve un pizzico di zucchero perché l’amalgama funzioni…
storia vera di Andrea S. raccolta da Simona Maria Corvese
Con la mano libera mi massaggio il collo irrigidito. Da quanto sto con la cornetta tra l’orecchio e la spalla?
Lo schermo del cellulare lampeggia con una luce azzurra e parte la suoneria della sveglia. Le 19.00.
La spazzatrice, che un addetto alle pulizie passa sulla moquette in corridoio, mi ronza nelle orecchie in prossimità della porta aperta del mio studio.
Questa giornata non finisce più!
Mi strofino il viso con una mano. «Sofia, stia tranquilla. Cerco un’intesa con l’avvocato del suo ex marito».
«Sì ma lui ha già avuto i bambini per Natale e Capodanno. Perché deve averli fino all’Epifania?».
Scarabocchio degli appunti sul taccuino, con la stilografica e storco il naso all’ odore di frutta in decomposizione e muschio dell’inchiostro.
Devo cambiarlo.
«I suoi genitori lo supportano economicamente e gli fanno delle pressioni.»
Dalla cornice accanto alla tastiera del pc il volto del mio figlioccio mi sorride. Meno male che io non devo contendermi Leo con nessuno.
«Faccia un pranzo di festa con i suoi figli prima che ripartano.» Emetto un sospiro profondo. «Con gli anni non ricorderanno il giorno ma il momento di festa trascorso con lei».
Tira su con il naso. «Grazie, Andrea. Lei è un avvocato meraviglioso. Buone feste».
Mi alzo dalla scrivania, afferro il cappotto dall’attaccapanni e mi precipito fuori dall’ufficio.
Apro la porta della pasticceria e suona il campanello attaccato alla sua sommità. L’aria è impregnata di un delizioso profumo di impasti lievitati e infornati. Mi brontola lo stomaco: non so da quante ore non mangio, così mi avvicino al bancone in legno, dove c’è il registratore di cassa.
Dietro la teca di vetro è un tripudio di biscotti a forma di soldatino dello Schiaccianoci su vassoi rossi, panettoni artistici ricoperti con glassa di mandorla, torte Sacher, sfogliatelle e pasticciotti.
Svengo!
La commessa dà il resto a un cliente e chiude il cassetto della cassa. «Posso esserle utile?» E ridacchia.
Sono ipnotizzato dai dolci. «Sì… Mi darebbe un panettoncino al cioccolato?». Alzo lo sguardo verso di lei. «In realtà sono qui per un ordine. È per un anniversario di cinquantesimo di matrimonio».
Lei prende una pinzetta e afferra il dolcetto. Lo posa su un piattino e me lo porge. «Si accomodi pure nell’area salotto. Adesso le chiamo Stefania».
Seduto su un divanetto, scarto il mio piccolo panettone e lo addento. Il crepitio della carta oleata che lo avvolgeva e che accartoccio nel pugno è sovrastato dal chiacchiericcio dei clienti e dai mormorii di apprezzamento delle loro degustazioni. Le luci soffuse delle abat-jour alle mie spalle emanano nostalgici bagliori.
Mi piace questo posto: è caldo e accogliente.
«Buona sera, mi hanno detto che vuole fare un ordine per una festa. Sono Stef…» Lei rimane a bocca aperta.
Io sgrano gli occhi. «Ci conosciamo… Non sapevo lavorasse qui».
Lei si schiarisce la gola. «Sono una dei soci.» E abbozza un sorriso. «La cattedra di chimica alla scuola di Leo è una consulenza.» Continua a fare clic con la penna che ha in mano. «Senta, mi dispiace di aver bocciato suo figlio».
«È il mio figlioccio».
Lei deglutisce. «Avrei voluto aiutarlo ma, mi creda, le difficoltà che aveva con la mia materia erano troppo forti».
Io stringo ancor più nel pugno il pirottino. «È un ragazzo speciale.»
«Lo so ma vedrà che quest’anno andrà meglio.» Fa ancora clic con la biro. «Conosco l’insegnante che ha: è molto paziente.»
Non voglio sembrar scortese ma non so cosa dirle.
Lei rinfila il blocchetto che aveva in mano nella tasca del grembiule. «Se non vuole più fare l’ordine, lo capirò. Non c’è problema».
Poso la mia mano sulla sua. «No, no… non è colpa di nessuno quello che è accaduto. Procediamo pure».
Lara riavvita il tappo sulla bottiglietta dell’acqua e la posa sulla scrivania. «Andrea, lavoriamo insieme tutto il giorno… Ti conosco più di tua madre.». Si liscia il vestito sul ventre gravido e si siede sulla sedia di fronte a me. «Di relazioni passeggere ne hai avute abbastanza. Ma prova una buona volta a fidarti degli altri».
Chiudo una busta e il sapore gommoso della striscia adesiva mi rimane sulla lingua. «Sei un tesoro, Lara ma non preoccuparti per me. Sto bene così».
Lei alza un sopracciglio. «Bugia! Non permettere che il divorzio dei tuoi genitori segni tutta la tua vita. Costruisci qualcosa di bello per te, Andrea».
Le sorrido, indulgente. Vuole davvero il mio bene.
«Invidio la tua visione così chiara della vita, mentre io mi sento così a disagio…».
Lei mi regala un sorriso che le arriva fino agli occhi. «Forse stai guardando nella direzione sbagliata…».
Lara ha ragione. È arrivato il momento d’investire sulla mia vita affettiva. Voglio dimostrare a me stesso che sono degno di amare ed essere amato, in una relazione stabile.
Stefania è carina… ed è libera.
Prendo il cellulare e compongo il suo numero. «Ciao Stefania. Senti, Leo vorrebbe preparare una torta speciale per i miei nonni».
«È una splendida idea!».
«Verresti a casa nostra sabato pomeriggio, per aiutarlo? La cena in famiglia te la offro io».
Rimango con il fiato sospeso e i battiti del cuore mi accelerano.
«Sono lieta di poter essere d’aiuto a Leo. Grazie per la fiducia che mi dai, nonostante tutto».
Il timer di cottura del forno suona. Viola con un guantone da cucina apre lo sportello, estrae una placca di biscotti e un delizioso profumo di pasta frolla si sprigiona nell’aria.
L’appoggia sui fornelli e mi guarda con gli occhi che ridono.
Sbatto le palpebre e corrugo la fronte, poi osservo i biscotti e scoppio a ridere. Sono tutti omini di pan di zenzero riusciti storti.
«Leo si era stancato con lo stampino… »
Lei li prende uno a uno e li mette su una grata. Io ridacchio. «Ti aiuto, Stefy».
Con un cucchiaio riempie la sac a poche di glassa «Mi aiuti a decorarli quando si sono raffreddati?».
Annuisco.
Lei mi passa un’altra sac a poche e il cucchiaio, per riempirla. «Hai fatto una bella cosa a prendere Leo con te quando è mancata anche sua madre. Lui ti adora».
Affondo il cucchiaio nella ciotola. «Onoro la promessa che le ho fatto. È stata una mia compagna di studi…» E lo rigiro nella glassa. «Pensi che Leo potrà farcela con la chimica quest’anno?».
Lei capovolge i biscotti sulla gratella. «Il suo lieve ritardo mentale non migliorerà.» E si soffia sui polpastrelli arrossati. «Ma può vivere al meglio delle sue possibilità. Ce la farà».
Io verso una cucchiaiata nella sacca. «A febbraio compie 18 anni ma gli sarò sempre vicino. Gli voglio bene come a un fratello».
Stefania mi fa una carezza sulla guancia e una dolce sensazione di calore mi pervade il corpo.
I nostri sguardi rimangono avvinti per un istante saturo di elettricità, poi lei interrompe il contatto e prende un omino. «La chimica è la base della pasticceria: devi trovare un equilibrio tra gl’ingredienti e la temperatura giusta cui cuocerli.» Ne sgranocchia un pezzetto. «Tuttavia c’è sempre un certo grado di manualità. Leo ha difficoltà d’attenzione e forti limiti nell’apprendimento ma tende molto al concretismo: la torta oggi la ha fatta con precisione».
Le sue parole mi rincuorano e mi piace la sua gentilezza. So ben poco di lei però. E se nell’arco di quest’anno si fosse impegnata con qualcuno?
Immergo di nuovo il cucchiaio nella glassa «Grazie per la pazienza. E tu? C’è qualcuno d’importante nella tua vita?».
Stefania prende dei biscotti e li appoggia sulla spianatoia in legno, adagiata sul ripiano di marmo. Sorride, con lo sguardo concentrato sui suoi gesti. «No ma ho i miei fratelli affidatari. Alcuni di loro li frequento ancora».
Prendo dalla grata i biscotti che rimangono e li adagio sulla spianatoia. «Affidatari?».
Lei annuisce, si volta verso di me e mi guarda dritta negli occhi. «Quando ero bambina mia madre è partita con il compagno per l’America centrale, certa di migliorare le condizioni economiche e di tornare a prendere me e mio fratello maggiore».
Mi fermo di scatto, con un biscotto in mano. «E?».
«Non è più tornata».
Vorrei dire qualcosa di delicato ma sono senza parole.
«Quando mio fratello è stato preso in carico dai nonni paterni e io da una famiglia affidataria, ho scoperto che eravamo fratellastri».
Deglutisco e mi schiarisco la gola. «Mi dispiace, Stefy».
Lei annuisce e mi fa un sorriso. «Ho avuto due genitori affidatari affettuosi… E lo sono tutt’ora, che sono adulta e indipendente».
Poso il biscotto, mi chino verso di lei e l’abbraccio. «So cosa si prova quando i genitori si allontanano.» Le mie labbra sfiorano le sue ma mi fermo, irrigidito.
Un lieve rossore s’insinua sulle sue guance.
Cosa faccio? Non volevo arrivare fin qui.
Le volto le spalle e vado a prendere due sac a poche. Torno, ne porgo una a lei e con la mia spruzzo la glassa a righe ondulate sui profili dell’omino di pan di zenzero.
Con un tocco più sicuro della mano, Stefania disegna dei papillon sui suoi omini. «Sei stato abbandonato anche tu?».
Scuoto la testa. «No. sono cresciuto con i nonni, dopo aver vissuto la tempesta del divorzio dei miei genitori. Molto benestanti, attenti alle loro necessità ma distratti nei miei confronti, sia prima che dopo il divorzio».
Lei si ferma, sgrana gli occhi e posa la sua sacca. «Allora è per questo che fai l’avvocato divorzista!».
Poso la mia sacca e, con il busto inclinato in avanti, appoggio le mani al bordo di marmo del ripiano. «Non è stato il loro divorzio. È stato il modo in cui mi hanno trattato».
Fisso un punto immaginario sulla parete di fronte a me per un istante. «Ero un ragazzino e dipendevo da loro per vivere… ma hanno anteposto il loro egoismo al mio bene».
Scuoto la testa. «Mi hanno usato come un trofeo della vittoria, per farsi del male l’un l’altra» Ed emetto un profondo respiro. «Ora non incoraggio i miei clienti a ingaggiare battaglie legali a tutti i costi. So cosa significhino per i figli e m’impegno affinché si trovi un punto d’incontro».
Lei, muta, mi posa una mano sulla spalla.
«Come è andata sabato?» Lara taglia con la forchetta la punta della fetta di torta sul piattino che ha in mano. La infilza e la mette in bocca. «Hmm, che buona!.
Una tavolata cosparsa di briciole e confetti colorati è appoggiata al muro. Più in alto campeggia lo striscione con scritto Buon Cinquantesimo Anniversario!
Sulle spalliere delle sedie sono legati palloncini colorati e i bambini corrono su e giù per il salone parrocchiale che ho affittato per la festa.
Appoggio la mia forchetta sul piattino e annuisco. «Bene ma io non sono all’altezza di Stefania e lei si merita qualcuno migliore di me».
Lara mi sorride con gli occhi che le brillano. «Lascia che sia Stefania a decidere chi è abbastanza per lei».
Poso il piatto sul tavolo. «Quando le ragazze mi propongono una relazione stabile, a me viene il panico».
Lara sbatte le palpebre. «È comprensibile avere un po’ di paura».
«Se sei davvero innamorato non ti viene paura. Sei felice all’idea di vivere con quella persona».
Sgrano gli occhi: riconosco la voce che è venuta alle mie spalle. È Stefania.
Mi giro di scatto e mi rischiaro la gola. «… Sì, certo… Solo così si è sicuri di quel che si vuole…»
Il suo viso è corrucciato, le sopracciglia aggrottate e la testa inclinata di lato. «Credevo desiderassimo le stesse cose… Scusa ma sono venuta a salutarti. Io torno a casa.»
Abbassa lo sguardo e si volta ma io le poso la mano sul braccio. «Aspetta, rimani ancora, per favore».
Lei scuote la testa «Inizio a lavorare presto domani. Ci vediamo».
Questa sera avrebbe potuto essere l’inizio della nostra relazione ma io ho rovinato tutto. E non sono neppure riuscito a spiegarmi.
Lara tamburella sulla tastiera del suo pc. «È una settimana che non la chiami. Neppure un messaggio. Cosa aspetti a farlo?».
Mi appoggio allo schienale imbottito della sedia e alzo gli occhi al soffitto. «Neppure lei mi chiama».
Lara sbuffa. «Ma tu hai detto che non vuoi impegnarti con nessuna donna. Magari ha paura di essere invadente con te».
Bussano alla porta del mio ufficio. Alzo la testa e guardo Lara. «Aspetti qualcuno?».
Lei mi sorride con un luccichio negli occhi. «Sì, ho ordinato qualche dolcetto per il tè.» Si alza dalla scrivania e va ad aprire. «Ciao, Stefania. Entra pure».
Il cellulare di Lara squilla e lei guarda il numero sullo schermo. «Scusatemi è una cliente. Torno tra poco».
Stefania, con il vassoio di pasticcini in mano, mi guarda e si schiarisce la voce. «Ciao, Andrea… »
Mi alzo anch’io, le vado incontro e le prendo il vassoio. «Che piacere rivederti».
Lei mi studia con sguardi furtivi.
Faccio un profondo sospiro. «Scusami per quello che ho detto alla festa».
Lei mi abbozza un sorriso che piano piano sale fino agli occhi. «Scusami anche tu. Non abbiamo voluto ammetterlo ma i nostri passati hanno pesato sulla nostra capacità di fidarci degli altri».
Annuisco. «Lotto ancora con la mia vecchia percezione delle relazioni e la mia diffidenza».
Mi volto ad appoggiare il cabaret di dolcetti e torno a guardarla. «Sto imparando a lasciar andare tutto quello che è stato e che mi ha reso così sospettoso verso tutti».
Lei non stacca gli occhi da me e mi dà tutta la sua attenzione.
Sono parole difficili da pronunciare per me ma vengono dal mio cuore. Inspiro a pieni polmoni. «La tua onestà e pazienza mi hanno insegnato a vedere le persone come individui uno diverso dall’altro.» Ed espiro. «La tua gentilezza mi dà un senso di libertà dalla diffidenza. Ricominciamo da qui, Stefania?».
Faccio scivolare una mano dietro il suo collo, mi chino verso di lei e poso le mie labbra sulle sue, con un bacio.
Stefania s’irrigidisce e io mi fermo. Ho commesso un terribile errore: non è ancora pronta.
Lei mi sorride. «Mancava un ultimo ingrediente alla nostra storia: la fiducia.» La sua bocca si rilassa, si preme contro la mia e ricambia il mio bacio.
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