“Ha saputo prendere il meglio da un esperienza che avrebbe potuta segnarla” scrive Daniela, una nostra lettrice, sulla pagina Facebook. “L’ultimo regalo del mio amore” di Mariano Sabatini, pubblicata sul n. 39 di Confidenze è una delle storie vere più apprezzate della settimana. Ve la riproponiamo sul blog insieme al box con il parere della psicologa
«È sempre pericoloso cancellare i ricordi o far finta che non esistano. Questo ci insegna il concetto di elaborazione: dobbiamo imparare a gestire i nostri ricordi negativi in modo che non ci annichiliscano. L’integrazione positiva di un ricordo nella nostra memoria è più semplice quando ci interroghiamo sul senso e sulle conseguenze di ciò che abbiamo vissuto: gli eventi e le persone che hanno attraversato la nostra vita devono essere elaborati come tasselli all’interno della nostra esperienza» spiega Silvia Caiella, Psicologa clinica e psicoterapeuta,
Storia vera di Rosita O. raccolta da Mariano Sabatini
La mia relazione con Fabrizio è nata per suo preciso disegno. Mi ha puntata e voluta con tutto se stesso. Lavoravamo insieme, io in ufficio e lui nell’officina di una grande azienda di pneumatici. Ci vedevamo in pausa pranzo, nella sala comune, dove lui mangiava un panino e io quello che mamma metteva nella “schiscetta”.
«Ciao, Rosita, che hai oggi?» mi chiedeva appoggiandomi la mano sulla spalla. «Polpettine con le verdure».
Non mi piaceva, aveva un grosso naso e mi fissava costringendomi ad abbassare sempre lo sguardo per prima. I suoi occhi, non mi viene un altro modo di definirli, erano prensili, prepotenti. Non era bello ma i suoi modi disinvolti e sicuri lo rendevano affascinante. Iniziò a farmi una corte serrata, fatta di schermaglie, sorrisi, e tanti regali inattesi. Mai ricevuto un simile trattamento. Una mattina un fiore sulla scrivania, tra l’altro un girasole, il mio preferito. Un altro giorno una scatolina di cioccolatini. Un altro ancora un piccolo bijou.
«Ti va di andare al cinema stasera?» mi proponeva. «No, grazie. È il compleanno di mia madre» mentivo.
Il giorno dopo tornava alla carica. «Questo è per te» e aveva tra le mani un dolcissimo gattino di peluche. «Stasera possiamo andare al cinema, allora?». La sua insistenza mi irritava e mi lusingava allo stesso tempo. E mi destabilizzava. Cosa volevo davvero? Liberarmene o averlo intorno?
Fabrizio era un mio coetaneo, quasi cinquantenne, solo come me. Lui era stato sposato, avevo saputo da una collega, io mai. Qualche relazione un po’ più lunga, niente che mi avesse fatto credere nell’amore vero. Uomini che per lo più mi avevano delusa. Accettai, alla fine, di andare al cinema e poi a cena con lui. Fu piacevole e seguirono altri incontri.
«Dove sei stata finora?» mi chiedeva senza smettere di fissarmi.
E nonostante fossi abituata al modo che aveva di guardarmi, lui m’imbarazzava. No, anzi, mi turbava e mi rimescolava dentro.
Prima di cedere ai suoi tentativi di portarmi a casa sua, passò un mese. Avevo giurato a me stessa che non avrei più fatto sesso con un uomo che non fossi stata sicura mi amasse davvero. Ma non riuscivo più a resistere. L’attrazione che provavo per Fabrizio era simile a quella di due calamite messe vicine. Mi spogliò lentamente e si spogliò lentamente, lasciandosi guardare. Aveva un fisico magnifico, i muscoli allenati in fabbrica. Fu una notte bellissima e appagante, sotto ogni punto di vista.
«Ti amo, Rosita» fu il coronamento.
Lo fissai per un po’, con gli occhi umidi. «Ti amo anch’io» dovetti ammettere.
L’amore inatteso, violento, che irradia pura felicità. Non pensavo di poterlo più provare. Era toccato a me, invece, e aveva le fattezze e il nome di Fabrizio. Mi sentivo il cuore gonfio e grato. Entrambi maturi, con esperienze brutte alle spalle, ci siamo dati moltissimo per quindici anni. I suoi regalini non hanno mai smesso di arrivare: una brioche calda al mattino, una buona bottiglia di vino per le nostre cenette, un disegno lasciato sul comodino, un gattino salvato e messo in una cesta con un gran fiocco rosa… Cose non necessariamente costose. Benché, in vista del matrimonio, sia arrivato anche un brillante luminosissimo. Per pagarlo Fabrizio si vendette la moto di grossa cilindrata, che tanto mi faceva paura. «Ogni volta che la prendi sto con il patema d’animo» gli ripetevo sempre.
La cerimonia fu semplice. I genitori di Fabrizio, qualche amico intimo e mia madre; felice per me, ovviamente, ma anche triste perché mi perdeva come presenza in casa.
La nostra vita si assestò su una serenità gioiosa e allegra, fatta di qualche viaggio d’estate, lunghe passeggiate in campagna nei fine settimana, e brevi soggiorni nella villetta fuori città dei genitori di Fabrizio. Uno stato d’animo, il nostro, che seppe resistere anche al mio licenziamento, a causa della crisi, dall’azienda dove lavoravamo. Stingemmo un po’ la cinghia e andammo avanti. Ci bastavamo e abbiamo continuato a bastarci, almeno così credevo, finché Fabrizio non è morto sul colpo: investito in pieno da un pullman sulle strisce pedonali, a pochi metri dal portone di casa. Io che temevo quando sfrecciava in sella alla sua moto…
Qualche giorno dopo il suo funerale ho ricevuto una strana telefonata da una donna sul numero di casa. Si chiamava Simona e mi disse, con commozione appena trattenuta, di aver appreso da Facebook. Al dolore per il mio lutto si aggiunse la rapida consapevolezza che quella potesse essere l’amante di mio marito.
Non so come mi sorpresi a pronunciare queste parole: «L’aspetto per un caffè, venga».
Si presentò davanti alla porta con dei fiori e una scatola di dolci. Era più giovane di me, non particolarmente avvenente, ma con modi diretti e simpatici. Nonostante il tangibile dispiacere per la morte di Fabrizio, i suoi occhi scuri mi parvero molto vivaci. Parlammo a lungo e mi mostrò le chat con mio marito: scambi spiritosi, racconti delle reciproche vite, fino ad arrivare a qualche allusione sessuale. Il che avrebbe dovuto ferirmi, invece, sapere che Fabrizio avesse avuto quel tipo di distrazione me lo faceva sentire ancora vivo. Presente con le sue pulsioni naturali. «Eravamo d’accordo che ci saremmo incontrati di persona» mi confessò Simona. «Ma io non sapevo che fosse sposato».
«E se lo avessi saputo?».
«Non sono mai stata una rovina-famiglie. Non sarei neppure venuta da lui». Sembrava sincera. Una donna franca e limpida che anch’io avrei scelto come amica. Ci salutammo con la promessa di rivederci presto: avevo bisogno che lei mi raccontasse un Fabrizio non viziato dalla mia idea di lui. Ci rincontrammo, infatti, e appresi tante cose nuove. Per esempio che adorava i dipinti dei fari colpiti dalla tempesta. Non ne avevamo neppure uno in casa ma Simona mi mostrò diverse riproduzioni che lui le aveva mandato. Fabrizio, il mio faro sopraffatto dai marosi. Piansi e Simona seppe consolarmi in modo delicato. Dopo un po’ di mesi di questa routine siamo diventate davvero amiche. So che è difficile da credere. Non avendo avuto figli, per evidenti limiti di età, in qualche modo sento che in Simona sopravvive qualcosa di Fabrizio che, se non l’avessi incontrata nel modo fortuito con cui è entrata nella mia vita, avrei irrimediabilmente perso. Lo considero l’ultimo bellissimo regalo di mio marito. E non smetterò mai di ringraziarlo.
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