Vi riproponiamo nel blog la storia vera più apprezzata del n. 16
Mi piaceva ogni cosa di lui, lo sguardo, il profumo, il modo di camminare, di baciarmi. E lui amava tutto di me, perfino la distrazione, le macchie sulla pelle e le mie poesie. C’era una speciale sintonia tra noi. Davvero è stata solo un’illusione?
STORIA VERA DI GIADA F. RACCOLTA DA FRANCESCA STUCCHI
L’uomo perfetto non esiste. Me lo aveva detto mia madre e ne avevo avuto ampie dimostrazioni dopo i voli acrobatici e le cadute in picchiata di un’adolescenza che mi aveva lusingata e ferita. Avevo scelto ragazzi dall’aspetto curato, dal carattere deciso o dal modo di fare scanzonato, mi ero lasciata guidare dall’istinto per ritrovarmi tra le braccia di dolcissimi sconosciuti che avevano giocato con me e girato l’angolo alla prima occasione.
Secondo le amiche ero fortunata ad aver avuto diverse esperienze, ma nel mio intimo mi sentivo piuttosto perplessa di quei “non per sempre” e, a dir la verità, profondamente delusa.
Camminavo distratta sui marciapiedi un mattino di primavera, inciampando in ogni tombino e in ogni strano pensiero, perché non guardo mai dove metto i piedi, né dove vola la mente. E proprio il mio nuovo sandalo verde smeraldo quel giorno calpestò un piccolo oggetto che mi sbilanciò facendomi sfregare la spalla contro il muro. Raccolsi da terra la chiave di un’auto. La rigirai tra le dita e, alzato lo sguardo, incrociai quello di un ragazzo carino con i capelli sulle spalle e gli occhiali a specchio, che reclamò: «È mia».
«Certo, tieni» gli allungai la chiave con uno sbiadito senso di colpa, seguito da un repentino risentimento. L’aveva persa lui, mica l’avevo messa io sotto il mio piede! Nemmeno un grazie, il serio giovanotto, senza lasciarmi il tempo di memorizzarne i lineamenti, era già sparito. Scaldata dal sole dell’una, comunque, continuavo per la mia strada, essendomi ormai scordata dove volevo andare. Milano è così, ti trascina dove vuole.
Piazza Velasca è sempre affollata a quell’ora, gli studenti universitari si appartano a gruppi, scambiandosi appunti, abbracci e stilose confidenze. È incredibile come siano sempre alla moda i ragazzi di Milano. Io invece per nulla, a parte lo sciccosissimo sandalo, indossavo sempre i soliti jeans con magliette bianche o nere.
Cercai in borsa lo smartphone, avrei trovato un’amica per un caffè. Inviai qualche messaggio e ricevetti cuoricini e scuse, insomma, avevano tutte di meglio da fare.
Proprio in quell’istante mi ritrovai di fronte il ragazzo di prima, che mi porgeva una pagina di quaderno gialla, appartenente al mio blocknotes. Ho un allegro disordine nella borsa e una marea di foglietti colorati la animano di frasi e poesie. Questa volta il ragazzo sorrideva, un bellissimo sorriso, notai, prima di farsi di nuovo serio e leggere con tono altisonante il mio haiku: «Fili di luce/ intreccio ai capelli/splendida per te.Wow!» esclamò poi, porgendomi il foglio.
“Solo a me capitano queste coincidenze?” mi domandai travolta da una scoppiettante curiosità.
E fu così che, seduti a un tavolino di un bar, sorseggiando un tè al limone, scoprii tante cose di lui. Milanese, 28 anni, single, manager in una multinazionale nel settore delle costruzioni, appassionato di viaggi avventurosi tra deserti e foreste pluviali.
«Come me!» esclamai. In realtà di deserto ne avevo visto solo uno in Tunisia e le foreste le avevo più che altro immaginate, sognando di immergermi in un laghetto sotto una cascata, come quella del poster che avevo appeso in soggiorno. Comunque, che ci fossi stata o meno non faceva differenza. Ci saremmo sicuramente andati insieme prima o poi.
Leon mi guardava con sguardo innamorato. Di già? C’incamminammo verso il Duomo, in cuor mio cantavo a squarciagola, certa ormai che il colpo di fulmine esistesse davvero!
In fondo, se il destino ci aveva fatto incontrare per ben due volte in un giorno solo, perché non dargli una possibilità? Ci fidanzammo. Era tutto perfetto. Mi piaceva ogni cosa di lui, lo sguardo, il profumo, il modo di camminare, di baciarmi. E lui amava tutto di me, perfino la distrazione, i capelli spettinati, le macchie sulla pelle e le mie poesie. C’è stata fin da subito una speciale sintonia tra noi, magica, surreale. Con il passare dei giorni il nostro amore cresceva e ci esplodeva dentro come un uragano. Avevo sempre voglia di vederlo, aveva sempre voglia di stare con me.
Ammetto che è stato il periodo più entusiasmante della mia vita e la foresta pluviale l’abbiamo attraversata davvero! Per festeggiare il nostro primo anno insieme Leon mi regalò un viaggio in Madagascar, con tanto di bagno nel laghetto tra le fronde sotto la cascata. Ho vissuto un sogno in carne e ossa, l’ho goduto con tutta me stessa, finché un mattino mi sono svegliata.
Un ragazzo che conoscevo in università mi chiese di vederci per parlare. Mi fece un sacco di domande su Leon e, tra tutte, una m’insospettì: «Sei sicura di conoscerlo bene?».
Certo, che domande! Invece no.
«Non è il ragazzo che credi, non è un manager, lavora saltuariamente come muratore e l’ho visto con un’altra donna in città. Dovresti parlarci».
Un lampo squarciò il cielo azzurro che in attimo si fece cupo. Leon poteva avermi mentito davvero su tutti i fronti? Possibile che a me non fosse venuto nemmeno un dubbio? Corsi a casa frastornata, mentre cercavo di ricostruire dettagli e il sospetto si allargava nel mio cuore. Possibile che dopo più di un anno fossi a questo punto? Cercai di ragionare, che motivi avrebbe avuto Leon di mentirmi? Non avevo mai pensato che un operaio fosse meno attraente di un capo, che senso aveva mostrarsi in giacca e cravatta se faceva il muratore? Quanto all’altra donna, in Madagascar era venuto con me. Eppure, il ragazzo che mi aveva svelato tutto sembrava davvero ben informato. Alla fine invitai a cena Leon quella sera, con un piano semi abbozzato in testa. Arrivò con un completo grigio, la cravatta viola e una rosa per me, splendido come sempre. Anch’io mi ero vestita elegante.
«Sei diversa stasera» notò lui. Certo, ero davvero, piombata dal sogno nella realtà. Non avevo voglia di fargli domande, di discutere, né di sapere il pezzetto di verità che avrebbe deciso di concedermi. Gli passai un calice di vino e attaccai: «Volevo dirti che non sai tutto di me. Sono iscritta a Filosofia, ma non ho dato esami, faccio la babysitter. E volevo anche dirti che abbiamo vissuto un anno incredibile insieme, ma non possiamo continuare a vederci, sono sposata». Leon lasciò cadere il bicchiere e il mio cuore si frantumò. Mi guardava terrorizzato dal bluff che avevo escogitato per vedere quanto gli importasse di me.
«Giada, ti amo lo stesso» disse aggrappandosi a quelle parole.
«Anche tu mi hai mentito» incalzai allora. Arretrò come se avesse visto uno scheletro o forse erano proprio i suoi scheletri nascosti a comparirgli dinnanzi. Confessò che non se la passava bene economicamente. Quando mi aveva incontrata la prima volta, disse, era rimasto stregato da me. Aveva sentito un calore così speciale sfiorandomi appena, che era sicuro di non aver mai provato un’emozione più potente. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per non lasciarmi scappare, a costo di mentire su quello che più odiava di sé, l’aver sprecato il diploma di geometra e non essere riuscito a trovare un lavoro all’altezza.Voleva conquistarmi ed essere l’uomo che desideravo. Così aveva ideato una rete di bugie e poi aveva dovuto continuare a reggere il gioco. Voleva dirmi la verità, più volte ci aveva provato, anche quando aveva dovuto chiedere un prestito per il viaggio in Madagascar, che non poteva pagare. Voleva dirmi anche che vedeva ancora la sua ex, ma solo come amica perché con lei si sentiva se stesso e non era costretto a fingere. Voleva dirmelo, ma non aveva trovato il coraggio di farlo.
«Vattene» urlai. Non l’avevo mai visto così sconvolto, lo sentii correre giù per le scale e sbattere il portone.
Sono passati diversi mesi dalla sera in cui ci siamo lasciati, ho tanti messaggi e chiamate a cui non ho risposto. Sono convinta che la fiducia fatta a pezzi non si ricompone. Però a volte, sbirciando dalla finestra la luna tra i tetti dei palazzi, un pensiero mi sfiora: Leon non era l’uomo perfetto che voleva farmi credere, ma stavamo bene insieme… Se fosse lui l’uomo per me? ●
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