Selezionata da ConfyLab e pubblicata sul n. 22 di Confidenze, “Maria e Luigi, due vicini speciali” di Federica Zantedeschi è una delle storie vere apprezzate dalle lettrici questa settimana. Ve la riproponiamo sul blog e vi invitiamo a seguire la presentazione della seconda edizione del nostro laboratorio di scrittura, in diretta Facebook, lunedì 10 giugno alle ore 14.30
Lei mi regalava i suoi ricordi, lui era una presenza silenziosa. Abitavano da sempre in quella casa e con il loro esempio mi hanno insegnato che affetto e amicizia non conoscono età
Storia vera di Federica Zantedeschi
A dire il vero, non ricordo la prima volta che ci siamo incontrati: loro sono sempre stati lì, nella casetta accanto a quella delle prozie, con l’orto e le rose. Maria e Luigi, una coppia di anziani, vicini di casa da una vita, quelle persone che ti sembra di conoscere da sempre. In realtà, però, abbiamo iniziato a conoscerli davvero quando la casa delle prozie è passata a noi e ci siamo trasferiti, con il nostro piccolo di un mese, proprio accanto a loro.
All’inizio ci scambiavamo i soliti saluti, qualche banalità sul tempo e molte frasi di circostanza. Ma, con il passare dei mesi siamo diventati sempre più intimi.
Io e Maria ci siamo ritrovate amiche giorno dopo giorno semplicemente perché abbiamo scoperto di essere anime affini, due cuori con tanta voglia di raccontarsi e ascoltarsi a vicenda, anche se lei era più grande di me visto che ci separavano oltre 40 anni.
Maria era una narratrice meravigliosa, non si stancava mai di raccontare aneddoti della sua vita, sempre intriganti e ricchi di particolari. Ricordo che mia zia, una volta, mi disse scherzando: «Maria, quando comincia a raccontare non smette più». Ed era proprio vero: quando iniziava le sue storie era un fiume in piena, le sue narrazioni avevano il sapore del tempo andato, il gusto della lentezza, delle cose di una volta.
Il mio racconto preferito era quello della nascita dei suoi due gemelli, Daniele e Serena. Era stata molto provata dal parto, aveva avuto delle complicanze e non le avevano fatto vedere subito i bambini. Lei però aveva perseverato e alla fine i medici erano stati costretti a cedere, ma le avevano portato solo la bimba. Maria era quasi impazzita, aveva insistito per sapere cos’era successo al maschietto, ma tutti sorvolavano e non le davano risposte. Solo dopo molte insistenze, le confidarono che Daniele non ce l’aveva fatta. Lei non ci credette, chiese di vedere il bambino, ma nessuno volle accontentarla anche perché lei stessa stava male e necessitava di assoluto riposo. Si arrabbiò, pianse, ma non si perse d’animo: lottò con tutta la forza che le era rimasta e che solo una mamma riesce a trovare quando suo figlio ha bisogno di lei. Alla fine, riuscì a commuovere una monaca che le portò il bambino. Lei lo tenne stretto a sé, lo baciò, gli parlò dolcemente: dopo qualche istante, il bimbo fece un gemito e finalmente iniziò a strillare con quanto fiato aveva.
Quante volte mi sono dispiaciuta di non aver trascritto su un taccuino ogni parola, rimanendo fedele al suo modo di raccontare. Credo che la magia di Maria risiedesse proprio nel fatto che sapeva farti trattenere il fiato mentre aspettavi a bocca aperta la fine del racconto, senza mai sentire la necessità di interromperla o di metterle fretta.
Da lei non venivano solo storie magiche, legate a fatti del passato vissuti in prima persona, o da qualche parente o amico. Qualche volta mi capitava anche di ascoltare gli sfoghi di una donna che era sposata da una vita con lo stesso uomo dal quale aveva avuto tre figli che a loro volta le avevano dato otto nipoti. Anche a lei capitava di litigare con il marito, o si lamentava per gli acciacchi dell’età. Ricordo che rimasi stupita quando mi raccontò dei suoi battibecchi con Luigi. Chissà perché pensavo che due ottantenni che condividevano la loro vita da oltre 60 anni avessero ben poco da litigare, credevo che, con l’età, le discussioni fossero pressoché nulle. Invece lei mi stupì raccontandomi di piccole battaglie quotidiane quando suo marito non capiva questo o non faceva quello, non gradiva una cosa o si lamentava di un’altra. Rimasi stupita anche perché non avevo mai sentito un tono di voce più alto tra loto, né una porta sbattuta o una parola poco carina: erano due persone tranquille e silenziose e non avrei mai immaginato che, come tutti noi, potessero litigare e arrabbiarsi. Per ogni discussione comunque c’era sempre un lieto fine: il loro punzecchiarsi finiva prima di andare a letto con una riconciliazione a colpi di briscola o tresette. Amavo questo loro modo di fare pace.
Maria era di una dolcezza infinita, la nonna che tutti avrebbero voluto avere: adorava i suoi nipoti, ma aveva una predilezione per Enrico che le raccontava i suoi segreti come si fa con l’amico del cuore. Lo capivo questo nipote adorato perché anch’io ho amato tanto i miei nonni. Avevo l’abitudine di fermarmi da loro tornando da scuola con la scusa d’aver perso l’autobus. Desideravo trascorrere del tempo seduta sul divano con la nonna chiacchierando di tutto e di niente, o rimanevo seduta sul gradino che portava all’“ufficio” del nonno mentre lui incollava o metteva in forma un paio di scarpe.
Con i miei cari vicini ci si incrociava per caso, quando innaffiavano il giardino o mentre Luigi tagliava l’erba e zappava nell’orto e trovavamo sempre il tempo per scambiare due chiacchiere.
Le cose iniziarono a cambiare quando, dopo un paio d’anni dal nostro arrivo, Maria mi confidò che quella primavera il marito non avrebbe preparato il terreno per l’orto perché le sue gambe non gli consentivano più di fare grandi sforzi. Ci rimasi così male che proposi di farlo al suo posto: mi piangeva il cuore a pensare che non lo avrei più visto chino sull’insalata, o intento a raccogliere pomodori. Orgoglioso com‘era, rifiutò e da quella volta la verdura arrivò sulla loro tavola dal negozio del fruttivendolo. Anche Maria cominciava ad accusare i colpi dei suoi innumerevoli interventi. Credo di non aver mai conosciuto nessuno che abbia avuto così tanti malanni e che, nonostante questo, sia sempre stato sorridente e con una parola di conforto per tutti.
Fu un brutto venerdì d’estate quando mi accorsi che al di là della recinzione qualcosa non andava: Maria era sdraiata sul selciato, le nipoti e la figlia accanto a lei. Mi precipitai, le tenni stretta la mano, le dissi che sarebbe andato tutto bene. Lei cercò di dirmi qualcosa, ma uscirono solo parole stentate, le ultime che mi disse. Daniele, uno dei figli, mi confessò che al funerale gli feci una tenerezza infinita quando gli sussurrai: «E io adesso con chi parlo?». Dentro di me ero consapevole di aver perso una confidente meravigliosa alla quale potevo raccontare qualsiasi cosa sapendo che mi avrebbe ascoltata con pazienza e consigliata con amore. Fu molto triste riprendere la quotidianità con la consapevolezza che lei non c’era più: ogni volta che si usciva o si trascorreva del tempo in giardino era naturale voltarsi verso la loro casa. Vedevamo solo la schiena curva di Luigi intento a mettere a ricovero i gerani di Maria in autunno, o a potare le sue amate rose. Fu un po’ più difficile far breccia nel cuore di questo vecchio signore che, diversamente dalla moglie, era di poche parole e non molto socievole. Una delle prime volte che scambiammo qualche frase dopo la morte di Maria, alla fine della nostra breve chiacchierata lui mi disse: «Grazie».
Rimasi stupefatta: mi pareva incredibile che qualcuno potesse ringraziarmi per avergli chiesto come stava! Da quel giorno iniziai lentamente a osservare i suoi silenzi, lo strascicare delle ciabatte quando usciva per sgranchire le gambe: mi allarmavo se vedevo le persiane ancora chiuse a una certa ora, o notavo che non aveva ritirato il quotidiano. Scambiai il numero di telefono con i figli per tenerci in contatto nel caso ci fosse stato bisogno d’aiuto. Passarono due inverni: la schiena di Luigi divenne sempre più curva e il passo sempre più pesante, ma le rose e i gerani fiorivano come ai vecchi tempi. Una sera d’agosto, Daniele mi disse che il padre si era sentito male, si trattava di una cosa di poco conto: forse il gran caldo gli aveva giocato un brutto scherzo e probabilmente dopo qualche giorno sarebbe tornato a casa. Dunque fu una doccia fredda, tre giorni dopo, vedere le due figlie con le lacrime agli occhi: Serena mi sussurrò che Luigi se n’era andato. Le uniche parole che riuscii a dire furono: «Adesso finalmente è con la sua Maria». Lei abbozzò un sorriso e mi disse: «Sì, e tra una litigata e l’altra giocano a burraco».
Sono grata per aver avuto la fortuna di conoscere queste due bellissime persone: mi hanno insegnato che l’amicizia e l’amore non hanno età e che prendersi cura degli altri non richiede gesti eclatanti o un grande dispendio di tempo ed energia. A volte basta solo un semplice “come stai?” accompagnato da un sorriso sincero per allietare la giornata di una persona.
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