“Anche gli dèi morti governano. Anche gli infelici temono per la loro felicità. Lingua dei sogni. Lingua del passato. Aiutatemi a uscire, fuori dal pozzo, via dallo strepito nella mia testa, perché sento strepitare le armi?, stanno combattendo?, chi combatte?, madre, i miei colchi, sento le loro gare nel nostro cortile, dove mi trovo?, lo strepito diventerà sempre più forte? Sete. Devo svegliarmi. Devo aprire gli occhi. La ciotola accanto al giaciglio. L’acqua fresca non estingue solo la sete, placa anche il frastuono nella testa, è una cosa che conosco. Là sedevi accanto a me, madre, e quando giravo la testa, come adesso, vedevo la luce dalla finestra, proprio come qui dove mi trovo adesso, ma là non c’era un albero di fico, là c’era il mio noce amato. Sapevi che si può avere nostalgia di un albero, madre, ero una bambina, quasi una bambina, avevo sanguinato per la prima volta, ma non per quello ero malata, non per quello sedesti accanto a me e mi facesti passare il tempo, mi cambiasti l’impacco d’erbe sul petto e sulla fronte, mi mettesti le mie stesse mani davanti agli occhi e mi mostrasti le linee sui palmi, prima la sinistra, poi la destra, quanto diverse, mi hai insegnato a leggerle, spesso mi sono sottratta al loro messaggio, ho stretto le ,ani a pugno, le ho intrecciate, le ho posate su ferite, le ho levate alla dea, ho portato l’acqua dal pozzo, tessuto la tela con i nostri motivi, le ho affondate tra i capelli caldi dei bambini. Una volta, madre, in un altro tempo, con le mani ti ho circondato la testa per commiato, la sua forma mi è rimasta come un marchio sui palmi, anche le mani hanno memoria. Queste mani hanno esplorato ogni punto del corpo di Giasone, non più tardi di stanotte, ma è mattino adesso, e che giorno?”
Quella della stessa Medea e poi quelle di Giasone, di Agameda, Acamante, Glauce e Leuco, Voci, come recita il sottotitolo del romanzo di Christa Wolf (ho già consigliato, qui, il suo splendido Cassandra) tradotto dalla fantasmagorica (sarà davvero lei, come si vocifera da anni, l’entità che si cela dietro lo pseudonimo Elena Ferrante?) Anita Raja, voci che rileggono uno dei miti più noti e controversi della drammaturgia greca.
“Colei che porta consiglio”: l’etimo del nome di Medea, positivo, è stato il punto di partenza della scrittrice e studiosa tedesca che ha estratto il mito dalle mani ‘poco pulite’ di Euripide (ricevette quindici talenti d’argento per manipolare la vicenda e far uscire puliti i corinzi in occasione delle feste di Dioniso) e ha concentrato la ricostruzione degli eventi rielaborando fonti diverse, in particolar modo quelle riferite ad Apollonio Rodio.
Medea madre assassina dei suoi due figli? No, afferma la Wolf. Medea non fu una infanticida ma una donna fortissima, in transito coraggioso da una cultura primitiva e colma di Spiriti a una fondata sul raziocinio. Questo non le fu perdonato mai.
Un libro da leggere a voce alta, di prepotente bellezza: una penna, quella di Christa Wolf, che incide e grida vendetta, un femminismo ‘buono’ che ripercorre la storia dell’umanità e dei suoi passi falsi.
Quando la letteratura incontra la passione della ricerca storica e della ricostruzione dei fatti lontanissimi, il risultato – rarissimo, bisogna essere non solo bravi ma anche geniali nell’intuito e coraggiosi nella denuncia – è un nuovo mito, nuovi modelli metaforici, nuovi modi per capire e spiegare il nostro oggi.
Christa Wolf, Medea, e/o
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