“Un muro di silenzio” di Mariella Loi, pubblicata sul n. 24 di Confidenze, è una delle storie più apprezzate della settimana. Ve la riproponiamo sul blog
Dopo un appuntamento mancato, era sparito. mi aveva scaricata così, senza spiegazioni. Volevo capire perché, ma soprattutto dovevo elaborare quell’umiliazione e recuperare autostima
Storia vera di Stefania S. raccolta da Mariella Loi
Lui se n’era andato da un giorno all’altro, senza alcun preavviso, una parola di scuse, uno straccio di spiegazione. Come quelli che escono per comprare le sigarette e poi non fanno più ritorno, solo che lui neanche fumava. Ci conoscevamo da un anno e ci si frequentava da qualche mese.
Una storia ponderata, decollata lentamente per permettere al nuovo di farsi spazio tra le pieghe di un passato ingombrante. Un rapporto d’amore, o perlomeno questo era quello che pensavo io.
Poi, dopo qualche mese di frequentazione assidua, un periodo frenetico dovuto ai nostri lavori: i suoi continui spostamenti a Lugano, le mie trasferte frequenti su Roma. Dopo due settimane in cui non eravamo riusciti a vederci, eravamo impazienti di ritrovarci e finalmente era arrivato il momento. Avevamo organizzato per quella sera a casa sua una cena da grand gourmet. Il menu lo avevo scelto io in un raffinato negozio di gastronomia: formaggi, salumi e un vino rosso d’annata che da tempo aspettava di essere stappato. Lui aveva preso le castagne da far saltare nel camino; la pentola in rame l’avevamo acquistata insieme poco tempo prima.
Mi ero presa il pomeriggio libero dal lavoro per prepararmi con cura al nostro appuntamento: bagno caldo con oli essenziali, impacco profumato ai capelli. In vista del dopo cena, avevo anche comprato un completo di biancheria intima in pizzo nero.
Ero quasi pronta per uscire di casa quando mi era arrivato un suo sms: “Non sto molto bene questa sera, forse sarebbe meglio rimandare”. Avevo provato a replicare nel tentativo di salvare in extremis quella che doveva essere la nostra serata, ma davanti alla chiusura di lui mi ero dovuta arrendere. “Prendo due aspirine e vado a letto” mi aveva scritto nel messaggio successivo. A quel punto non mi era rimasto che riporre le vivande in frigo e indossare un triste pigiamone.
Il giorno dopo era sabato e ne avevo approfittato per fare alcuni acquisti in centro. Verso l’una, finiti i miei giri, gli avevo mandato un messaggio: “Sono dalle tue parti. Ci vediamo per mangiare qualcosa insieme?”.
Mi aveva risposto tempestivamente: “Non sono in casa. Grazie”. Un messaggio secco, che non ammetteva repliche e che mi aveva lasciato stupita, se non infastidita. Dove diavolo era quando solo la sera prima si era dato per moribondo? Ero offesa dal suo comportamento, così per qualche giorno non lo chiamai, pensando che sarebbe stato lui a farlo. Mi sbagliavo perché da parte sua non arrivò mai una chiamata, un messaggio di scuse, un sms.
Si era come volatilizzato.
Nel periodo successivo apprendevo dei suoi spostamenti da Facebook: un giorno era a Roma, un altro a Napoli. Tornando dal lavoro passavo tutti i giorni sotto casa sua e le tapparelle erano perennemente abbassate.
Dopo 15 giorni di silenzio avevo provato a telefonargli, ma rispondeva sempre la segreteria telefonica. Allora gli avevo mandato un messaggio: “Forse abbiamo un problema. Non credi che sarebbe meglio parlarne, piuttosto che far passare tutto sotto silenzio?”.
Nessuna risposta. Nel frattempo era passato un mese. Quando i giorni sono diventati 40, ho deciso che era arrivato il momento di sapere di che morte dovevo morire.
Una sera, verso le undici e ancora senza un briciolo di sonno, mi collegai a Internet, determinata a scoprire cosa si celasse dietro una sparizione apparentemente immotivata. Brancolavo nel buio, non sapevo bene cosa cercare. Ma dopo un paio d’ore ebbi la sensazione di aver imboccato la strada giusta
Trascorsi tutta la notte davanti al computer trovando, se non le risposte alle mie domande, le prove di una relazione che andava avanti da tempo. Alle tre di mattina avevo nome, cognome e indirizzo della donna che stava frequentando da mesi e che probabilmente conosceva già prima di me.
Alle prime luci dell’alba avevo anche ricostruito le diverse fasi della loro relazione, resa più facile dal fatto che lei viveva in una città dove lui si recava spesso per lavoro. Ero incredula, perché nulla mi aveva mai fatto sospettare che lui potesse avere un’altra, ma le prove che avevo trovato on line erano incontrovertibili.
Spensi il computer che erano ormai le sei di mattina e, come se nulla fosse accaduto, due ore dopo mi preparai per andare in ufficio. Le mie colleghe si accorsero che c’era qualcosa che non andava, ma nessuna osò chiedermi niente. Per tutto il periodo successivo non feci parola con anima viva di quello che avevo scoperto, visto che mi sentivo profondamente umiliata per com’ero stata presa in giro.
A chi mi chiedeva di lui, rispondevo che c’eravamo lasciati per non meglio specificate incompatibilità caratteriali e con quella frase di circostanza chiudevo il discorso.
La verità è che ero come congelata perché quello che avevo scoperto, al di là della ferita del tradimento, mi costringeva a dover riscrivere da zero la nostra storia. Alla luce dei fatti, i momenti belli vissuti insieme perdevano di significato. Sentivo anche sminuita l’idea che avevo di me e perdeva forza l’immagine che vedevo riflessa allo specchio.
Non lo perdonavo per non essersi comportato come l’uomo perbene che diceva di essere, ma ancor meno perdonavo me stessa per non aver capito da subito la sua doppiezza. I mesi successivi furono molto duri, la delusione era stata forte e mi aveva travolta come un’onda anomala sopraggiunge in una fase di bonaccia.
Come ho già detto, a risentirne era stata soprattutto la mia autostima, ma anche la mia femminilità aveva subito una brusca battuta d’arresto: la conseguenza più evidente fu la minor cura che per qualche tempo misi nell’abbigliamento e nel curare il mio aspetto.
Passò un anno e finalmente mi sentii come rinata. A lui non pensavo più e avevo ripreso a uscire e a frequentare gente dopo un lungo periodo nel quale mi ero rintanata in casa.
Guardandomi allo specchio mi sentivo di nuovo bella; le conseguenze dell’abbandono erano ormai un ricordo lontano e io avevo ricominciato a osservarmi con i miei occhi.
Una sera avevo in programma un’uscita con gli amici in un locale ultra chic: per l’occasione avevo indossato un vestito rosso molto elegante che valorizzava la mia figura.
Per la fretta di uscire di casa, non avevo guardato bene l’indirizzo del locale. Avevo preso un mezzo pubblico sbagliato, così mi ero ritrovata a dover fare un lungo tratto di strada a piedi. Per fortuna era una bellissima sera di luglio e da tempo non mi sentivo così bene: fare qualche passo in più era solo un piacere.
La mattina dopo rimasi di sasso quando, accendendo il cellulare, trovai un sms proveniente da un numero che ricordavo ancora bene anche se non lo avevo più in rubrica. Aspettai un secondo, indecisa se leggerlo o meno, poi decisi per il sì. “Ti ho vista per strada, camminavi leggiadra di rosso vestita. Avevi una bella luce negli occhi, ricordo con nostalgia quando si accendeva per me”.
Restai per qualche minuto incredula a fissare lo schermo del cellulare. Ero solo sconcertata da quelle parole, ma neanche per un secondo fui tentata di rispondergli. Senza più alcuna esitazione cancellai il messaggio e bloccai definitivamente il suo numero.
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