Ho letto, divorato, questo libro, nel maggio di quasi sedici anni fa.
Stava finendo qualcosa e qualcosa iniziava. C’era quella magia rara, il perfetto equilibrio tra un piccolo, annunciato dolore e una gioia inattesa, infinita.
Un monologo impetuoso e contratto, lungo una notte, lungo una vita.
Un uomo – il suo nome, per quello che conta, è Jay – trema.
Jay trema mentre guarda Susan dormire. La decisione è presa. Lascerà quella casa, la donna che conosce da dieci anni e che non ha mai sposato; lascerà i loro due bambini che, ignari, respirano quieti nel sonno, una camera più in là.
Susan, se tu mi conoscessi, mi sputeresti in faccia. Ti ho mentito e tradito ogni giorno. Mentire protegge tutti noi; fa andare avanti le cose importanti. È una gentilezza, mentire.
È una gentilezza mentire. E cercare un senso. A una scelta sentimentale basata sulla ricerca di sicurezze. Sentirsi le spalle coperte. Sapere di poter sempre tornare. Dove non si ha poi nessuna voglia di stare.
Trema. È la sua casa, quella. Entra nella sua stanza. Guarda Susan, la sua donna. Pensa ai suoi figli. Ma il pensiero va indietro. Mia madre voleva andarsene. Invece restava; doveva sempre restare. Ma dentro di lei era in fuga: da me, da tutti noi. “I bambini ti impediscono di vivere”:ecco cosa ci diceva la sua infelicità. “O loro, o tu”.
Poi è accaduto qualcosa. Poi è arrivata Nina. C’era la scossa – la scossa violenta – quando ci incontravamo, e ci incontravamo davvero. Ma è così difficile. Lasciare la sicurezza della noia sedimentata, della sconfitta socialmente auspicata, venerata. Nina sovverte. Nina riesce, senza fare nulla, a dare un senso alle compulsioni posticce ed erroneamente necessarie. Nina basta. Ma Nina è difficile. Comporta vita. Comporta azione. Comporta coraggio. Sfida.
L’ho riletto. Questo libro, intendo. Casualmente mi è ricapitato tra le mani qualche giorno fa. È tradotto magnificamente da Ivan Cotroneo. Scritto magistralmente da Hanif Kureishi.
Non voglio anticiparvi altro. Non vi dirò come finirà tra Nina e Jay. O tra Jay e Susan.
È solo un romanzo, ovvio.
Ma racconta in modo perfetto le porte, le gabbie. La voglia che avremmo di fuggire via, vivere.
Maneggiatelo con cura. È contagioso. Molto.
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Hanif Kureishi, Nell’intimità, Bompiani
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