Io sono parte in causa: grande amica dei mici, partecipo con determinazione alle battaglie in difesa dei più sfortunati. E qui canto le gesta di chi si muove, per salvare i cuccioli abbandonati, con la grinta e il coraggio dei grandi felini
Storia vera di Anita B. raccolta da Orsolina Guerri
Ci sono alcuni periodi all’anno in cui le gattare (e i gattari, che sono pochi, ma esistono!), anche quelle di solito accomodanti e paciose, si trasformano in autentiche pantere, pronte a sfidare coraggiosamente buona parte dell’umano contesto. Succede quando le micie errabonde o abbandonate sfornano tenerissime quanto indifese, soffici cucciolate. In teoria, i provvedimenti a cui ricorrere sono sempre i medesimi e appaiono relativamente semplici: attendere lo svezzamento dei gattini osservandone la crescita con attenta tenerezza, sterilizzare la mamma e far adottare da persone responsabili sia la gatta sia la prole. Sembra facile. Sono la classica impiegata part-time di mezza età, e coinvolgo con arti subdole Manlio, il mio riluttante marito, nelle varie missioni feline fin dall’epoca ormai remota del nostro romantico fidanzamento. Abitiamo in un piccolo paese, poco distante da una polverosa strada provinciale e nel nostro giardino condominiale privato atterrano “misteriosamente” durante i periodi “bollenti” sconsolate gestanti pelose in difficoltà, con grande sdegno di parecchi residenti. Tutti coloro che sperano di trasformare uno stabile campagnolo decisamente vecchiotto in un gioiello luccicante di esasperato igienismo osservano con raccapriccio i micini che si rincorrono ruzzolando e combinandone di ogni colore, in mezzo alle nostre aiuole. Sanno che forse qualcuno resterà: se non troveranno una sistemazione rassicurante, diventeranno parte del nostro amato gruppetto di mici casalinghi. Che fa storcere il naso alle signore. I rapporti condominiali di solito formali diventano così ancora più frettolosi e sussiegosi: nasi arricciati e labbra strette, per intenderci. La negatività a pioggia che scende dai piani alti, e soprattutto dal balcone impeccabile di mia cognata Rossella, prof dalle mille fisime, si percepisce a pelle. E mi comunica sottili brividi di inquietudine. I soliti noti borbottano perché, secondo loro, le pappe attirano le mosche – ahi! le mosche in campagna! – e strepitano asserendo che, oltre alle micie, occorrerebbe sterilizzare senza pietà pure i gatti maschi, che considerano responsabili delle gravidanze, anche se gestanti e puerpere piovono da chissà dove. In realtà, al momento delle sterilizzazioni e delle vaccinazioni, i miei adorabili vicini non cacciano un centesimo neppure a minacciarli. Regalano volentieri esclusivamente consigli, che sembrano ordini.
Le litigate sull’argomento si sprecano e si moltiplicano: io sostengo che, quando è possibile, è meglio lasciare ai quadrupedi la loro sessualità naturale e sterilizzo solo le femmine. I fondamentalisti asseriscono invece che bisogna censurare anche i maschi. Ciascuno espone le proprie ragioni e non si arriva mai a un accordo. Un fatto è certo: il veterinario per le sterilizzazioni lo paghiamo sempre Manlio e io. “Colpevoli” di accogliere i derelitti quattro zampe.
Dai borbottii si passa alla psicologia a buon mercato, che rispecchia i risentimenti personali: mia cognata, che ha tre magnifici figli, mi accusa di compensare tramite la dedizione per gli animali la mia sterilità. Io ribatto che lei vorrebbe sterilizzare i gatti maschi perché in realtà
le piacerebbe inconsciamente penalizzare la sessualità del suo fedifrago consorte. Che esasperato dalla sua aggressività trova serenità altrove appena possibile. Si arriva così alla lite e a non parlarsi per almeno un semestre, con inevitabile imbarazzo per i membri delle rispettive famiglie e per i condomini che fanno, più o meno apertamente, il tifo per l’una o per l’altra. Per fortuna, i nipoti vengono a trovarci lo stesso. Di recente, quando è arrivata in punta di zampe Susi, una bella gatta tigrata chiaramente in dolce quanto abbondante attesa, sono nati ben cinque gattini. Tre corsari neri come la notte, con incredibili occhi azzurri. Uno spettacolare tipino rosso come uno splendido tramonto hawaiano. E un dignitoso, magnifico esemplare grigio tigrato. Un fenomeno, una compagine di vivacissime birbe pronte a dondolarsi aggrappate ai rami più bassi delle mie ortensie, e a farsi allattare appena possibile sotto la gigantesca aralia che costituisce il mio orgoglio.
Rossella, dal suo balconcino perfettino, guardava giù e rosicava.
Getty susi, una bella gatta tigrata, ha messo al mondo cinque gattini. una compagnia di vivacissime birbe È riuscita a stringere un’amicizia di circostanza con Marisa, una infaticabile gattara di città, che ha acquistato da poco un alloggio dalle nostre parti per trascorrere i fine settimana e le vacanze respirando aria buona e passeggiando nei boschi.
Ohimé, da cosa nasce cosa: mia cognata è riuscita a persuadere Marisa che sono una pericolosa trasandata, a cui era meglio sottrarre la prosperosa e burrosa cucciolata. Mentre Manlio e io eravamo al lavoro, le due signore hanno scavalcato con insospettata agilità la piccola siepe regolamentare che rappresenta l’unico baluardo a tutela della nostra proprietà e hanno catturato i cinque batuffoli indifesi. Al nostro rientro, ci aspettava una tragedia: Susi miagolava disperata e rifiutava il cibo di cui prima era ghiotta per via dell’allattamento in corso.
Marisa e Rossella negarono olimpiche ogni addebito, ma le avevo viste troppo sovente parlottare tra loro, anche al supermercato, per non dubitare.
Ero certa della buona fede assoluta della gattara cittadina, fagocitata dalla prof.
Ma a mio marito e a me piangeva il cuore immaginando i nostri tesorucci deportati in un gattile di città, magari in gabbia, strappati alla mamma di cui avevano ancora estremo bisogno. Non ho nulla contro i gattili metropolitani, dove ciascuno fa quello che può nell’ambiente in cui si trova, ma i nostri cuccioli avevano la possibilità di essere svezzati, vaccinati e adottati nella zona rurale in cui stavano crescendo, dove avrebbero continuato a scorrazzare nei prati e ad arrampicarsi sugli alberi.
Avevamo sistemato bene tanti piccini, grazie al computer, alle radio libere e ai giornali, locali e non
Così, ci siamo scatenati sui social network, dando sfogo alla nostra indignazione, descrivendo lo sciagurato episodio, senza offendere nessuno, ma in modo comprensibile.
In gran numero, gattari e gattare della Penisola hanno unito il loro sdegno al nostro, perché l’universo virtuale non ha confini. Marisa e Rossella per fortuna sisono vergognate. I cinque micetti sono ricomparsi per magia e Susi, dopo averli leccati meticolosamente per salutarli e confortarli, ha ripreso a occuparsene con zelo.
Superato lo spavento, hanno ricominciato a giocare allegramente come prima. Ma ci vorrà del tempo perché tornino a fidarsi ancora dei bipedi. Prenderli per accarezzarli adesso è impossibile.
Mia cognata e la sua nuova amica, tuttavia hanno trovato un altro soggetto da “soccorrere”. Si tratta di Gaspare, anziano ultraottantenne con pensione minima, che non se la passa troppo bene. Abita un po’ fuori dell’abitato, in una catapecchia. Anche in questo caso, sapendo che ama i quattro zampe, c’è chi pensa bene di rifilargli in cortile, con il favore delle tenebre, ceste di gattini che il poveretto, pur volendo loro bene, non è in condizioni di mantenere e di far adottare. Non ha telefono o pc per promuovere le adozioni o chiedere solidarietà. È un uomo intelligente e istruito, ma fortemente penalizzato da una pensione che lo pone ai limiti della miseria.
Nessuno si è mai preoccupato di aiutare né lui né la tribù di gatti che si è formata rapidamente. Ma Rossella e Marisa sono partite alla riscossa, allertando istituzioni e associazioni, anziché tentare un dialogo amichevole unito a un appoggio spicciolo. Ne è scaturito il finimondo. Gaspare caccia disperato tutti quelli che si presentano, catalogandoli ormai collettivamente come “ficcanasi” e ancora non sappiamo come andrà a finire. Forse un pizzico di diplomazia e umanità avrebbero ottenuto risultati migliori? Sono troppo di parte per stabilirlo.
Mia cugina Rosangela, gay e single rampante, non se la cava molto meglio, sebbene sia tornata a risiedere ad alta quota nella baita ereditata dai nonni. Se credete che una borgata sperduta nella foresta sia un’oasi, potreste sbagliarvi. Rosangela ha riabbracciato le radici, zappando l’orto felice mentre i suoi tre cani scorrazzavano nei dintorni, finalmente distanti dal traffico convulso del centro in cui vivevano fino a qualche mese prima.
Nella frazione ci sono soltanto due case. In quella di fianco, è atterrato Astore, un padre separato, felice di ristrutturare una baita per ospitare la figliolanza quando gliene compete la gestione. I rapporti di vicinato sembravano pacifici. Finché vari gruppi di mici di ogni età, abbandonati dai villeggianti occasionali, hanno cominciato ad affluire, attirati dalle cibarie che Rosangela e le sue innamorate di passaggio distribuiscono generosamente. Si tratta di gatti e gatte ormai inselvatichiti, difficili da acchiappare e sistemare, ma non per questo meno affamati. I cani li tollerano bonariamente. Astore proprio no.
La reazione di questo giovanotto, arrabbiato con il mondo in generale e con le donne in particolare, non si è fatta attendere. Ha accusato i gatti vaganti di non rispettare i confini della sua abitazione (gli animali selvatici non hanno frontiere!), di diffondere malattie e di contaminare i giochi che i bambini lasciano sparsi dappertutto.
Voleva sparare sui poveri felini. Per fortuna, Rosangela ha frequentato vari corsi di autodifesa e con una fulminea mossa provvidenziale è riuscita a disarmarlo. Ma c’è voluto il maresciallo dei Carabinieri per farlo ragionare e indurlo a desistere da una strage annunciata. Mentre un bravo veterinario ha cercato di spiegargli che i gatti non trasmettono agli umani proprio nessuna malattia.
Questa è la saga delle gattare che diventano pantere, che bisticciano tra loro e con i nemici dei gatti, che risolvono dei problemi per affrontarne di sempre nuovi.
Una storia che ricomincia ogni mattina. Con tenerezza, con rabbia, con speranza.
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Testo publbicato su Confidenze n. 35 2015
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