Storia vera di Claudia S. raccolta da Annalucia Lomunno
Eravamo in una camera da letto non nostra. Non sua, non mia, assolutamente immensa e straniera. Era capitato tutto molto in fretta, anche se ancora adesso ricordo perfettamente la precisione lenta e danzante del suo corpo dentro di me. Francesco credeva di avermi rapita, trascinandomi nel suo mondo. E se un attimo prima eravamo stati parte attiva di un barbecue come tanti, in pochi minuti ci eravamo ritrovati insieme e soli ad aprire e richiudere la porta di una casa che non conoscevamo.
A quanti adolescenti era capitato di partecipare a una festa noiosa e di cercare un luogo, una tana, un rifugio in cui isolarsi e fare l’amore? A troppi. E io e lui avevamo i nostri quarant’anni dichiarati, e lo avevamo fatto lo stesso. In fondo quella sera, io avevo una scollatura da spiaggia davvero invitante, se non proprio smisurata per quell’occasione.
Ero l’ospite aggiunta a un compleanno in villa, con tanto di giardino e camerieri che spinavano spigole e decantavano aragoste appena pescate. Ma io non ne sapevo nulla, quella era la combriccola di Francesco, il suo giro, e la mia unica e sola verità era tutta lì dietro quella porta, in quella stanza in cui ci eravamo rinchiusi perché quel sesso ci sembrava necessario e inevitabile subito. E sono ancora convinta che lui si sentisse padrone della situazione, fiero di questa marachella hot, che ci aveva resi improvvisamente spregiudicati. Però ero io quella che aveva voluto tutto quanto, compresa la scena estrema tra queste quattro mura che sapevano del profumo irreale di persone sconosciute.
Chissà se Francesco aveva mai visto un film come Shame, scandaloso, inquietante, sconvolgente. Io mi sentivo come quel protagonista che non riusciva a innamorarsi mai. Un corrispettivo femminile, però decisamente più sciapo e meno coraggioso. Non mi importava niente dei sentimenti, nemmeno li sondavo più. Volevo solo vivere alla giornata e senza remore. E in quel preciso momento, ogni sensazione mi sembrava indispensabile.
Io e Francesco non eravamo a New York in una camera dello Standard High Line, o su un set, o in un copione spudorato, ma allo stesso modo ci sentivamo onnipotenti e pure invisibili, visto che quella porta poteva aprirsi da un momento all’altro, mentre noi continuavamo a prenderci e a mangiarci al buio, in una determinazione che ci eccitava e compiaceva.
Quando è finito tutto, e ci siamo staccati l’uno dall’altra senza neanche un bacio, lui ha persino acceso la luce. E di colpo ho scoperto un armadio, due comodini, un grande specchio, tanti altri dettagli d’arredo che mi piacevano poco. Ma Francesco ha puntato il dito contro una fotografia incorniciata. Io ero distratta, provavo a rivestirmi in fretta e mi sentivo quasi offesa dal fatto che lui non mi stesse guardando. – I padroni di casa sono stati a Sarajevo, – ha detto, riannodandosi la cravatta. Io non ho replicato, l’immagine era molto bella, era un’installazione di ombrelli colorati e poteva appartenere a una città qualsiasi. Non mi interessava, e assomigliava moltissimo a questa mia vita senza identità. Ma mentre io sempre muta, e non più nuda, mi perdevo in queste riflessioni semifilosofiche, lui ha aggiunto: «Dovremmo fare un viaggio noi due. Che ne dici di Parigi? Ho un amico che lavora in un albergo della periferia ovest, lo chiamo anche domani se vuoi, ci può fare un buon prezzo, non mi va di spendere tanto».
Ecco, in una frase tutto quello che un uomo non avrebbe mai dovuto dirmi, ma che intanto scorreva lì come un fiume pronto ad inghiottirmi viva. «Il bello di Parigi è che se ti va un’insalata alle due di notte, è tua» aggiungeva pure, infilandosi la giacca.
Io gli ho sorriso, e in questo silenzio tombale che sembrava non lasciare molto spazio a immaginazione e repliche degne di nota, lui ci ha letto il mio tacito entusiasmo. Francesco era fatto così, voleva giocare senza un filo di impegno, e aveva finalmente trovato la donna giusta per le sue fantasie. La prima volta che siamo usciti insieme ho deciso di non pretendere troppo. O meglio di non farmi illusioni, di non aspettarmi niente di buono.
Lui era molto carino, e sapevo che come me, non voleva storie serie, ma solo ottima compagnia non invasiva. I termini erano stati chiari subito, e senza che ci fossimo neanche parlati a riguardo. Perciò non dovevo pretendere ristoranti stellati o location da sogno da miope romantica. E infatti lui non si era smentito mai, e mi aveva portata in un pub chiassosissimo, sempre in periferia. Le adorava le periferie, le trovava alternative, seduttive e radicali, autentiche. E poi sì, molto probabilmente mirava a spiazzarmi. Io nemmeno approfondivo l’argomento, non volevo rovinare tutto mettendomi a fare la psicologa o l’aspirante fidanzata intelligente e pretenziosa. Io lo detestavo già, ma gli ho lasciato fare quello che voleva, ho gustato quel panino, quella birra, e facevo sul serio.
E mi piaceva pure quella nostra conversazione da aspiranti amanti, con lui che provava a trovare centomila definizioni per me, e io diventavo tutto e il contrario di tutto. Fragile e anarchica, folle e pragmatica. Lui mi prendeva, mi portava con sé, mi trascinava, mi guidava; ma in verità, ero io a condurre il gioco. Ero io quella che desiderava lasciare tutto in superficie. E mai avrei parlato d’amore, e al primo segnale di stanchezza Francesco sarebbe tornato alla sua vita, senza l’ombra di una lacrima e di un rimpianto.
Mi sembrava che l’intero pianeta fosse pieno zeppo di uomini sbagliati e di donne ferite, e che non fosse poi così originale e allarmante un comportamento sbandato come il mio. Ero stata delusa, avevo creduto in un grande amore e mi era bastato. Avevo investito anni della mia vita e tutta me stessa.
Il mio ex invece era andato via, mostrandomi tutti i segni del disprezzo che provava. E a me sembrava davvero incredibile che una grande storia come la nostra, si fosse trasformata in un massacro quotidiano. Il destino non era stato clemente, avevamo entrambi perso il lavoro, eravamo diventati rabbiosi l’uno contro l’altra, vivevamo male e lui non mi sopportava più perché ogni dettaglio o superabile pasticcio quotidiano si trasformava in una dichiarazione di guerra. E molto platealmente non vedeva l’ora di tradirmi. Quando lo ha fatto – ha trovato subito una degna sostituta di sua moglie – mi ha chiesto pure il divorzio. E dire che per lui, io avrei fatto qualsiasi cosa, e mai mi sarei arresa di fronte al peggiore degli uragani, perché credevo che nonostante le difficoltà, una grande passione non potesse morire. Che mai una donna amata, potesse trasformarsi in una nemica, in un bersaglio da abbattere con ferocia.
E invece era andata maledettamente male e io avevo giurato a me stessa che mai avrei permesso a nessun altro di umiliarmi così. Bastava non innamorarsi, non mi pareva in fondo poi così difficile. E allora sì, sarei stata con Francesco ovunque lui avesse voluto, ovunque. E mai mi avrebbe ferito la sola idea di avere davanti un uomo rozzo, uno di quelli che si rivestono in fretta senza neanche guardarti, dopo averti avuta completamente, senza vestiti e senza difese. Anzi, ero addirittura felice che l’albergo parigino non fosse più periferico, ma che avesse miracolosamente guadagnato molti chilometri posizionandosi di botto nei pressi dell’Opera.
Ma era felicità quella? Se solo ci ripenso mi si accappona la pelle.
Il viaggio in aereo con lui era stato assolutamente silenzioso. Nemmeno una parola che ci unisse, che ci rendesse complici. Soltanto l’idea di raggiungere una location nuova che ci consentisse inediti giochi hot. Era l’unico obiettivo e sembrava quasi che tra di noi ci fosse quest’orrendo patto tacito che non contemplasse scambi verbali. Rimpiangevo quel pub, e quella nostra prima volta, in cui lui aveva tentato almeno di affrettare un’analisi psicologica sulla mia personalità, e rimpiangevo pure quella stanza straniera e gli ombrelli di Sarajevo, e tutto quello che ci aveva dato una parvenza di coppia.
All’improvviso mi sentivo marcia dentro e mi rendevo conto che questa esistenza senza amore era una forzatura disonesta che non faceva per me. Per il mio ex mi sarei quasi uccisa, e dopo il suo abbandono avevo sfiorato pericolosamente il baratro della depressione più cupa. Ma poi, ne ero venuta fuori con questa strategia dissoluta. E a lungo aveva anche funzionato, perché mi pareva di essere concentrata esclusivamente su me stessa, quando in realtà, mi ritrovavo in una città molto romantica, con un uomo che non amavo affatto e che di certo, mi considerava una poco di buono.
Quando abbiamo raggiunto il famigerato albergo, mi sono resa conto che il destino continuava a lanciarmi segnali inequivocabili. Eravamo in pieno centro, ma di sicuro non era bello come nelle cartoline. Non avevo quel balconcino che ti dà l’impressione di sfiorare la Tour Eiffel con le dita. Non c’era niente di bello intorno, l’edificio era imbottigliato da altre case, in una strada strettissima. E se mi affacciavo avevo di fronte il negozio dei cinesi, proprio come a casa mia. Ma intanto eravamo lì, e io ho provato a rientrare nella mia parte. Ho disfatto i bagagli mentre lui era in bagno, ho indossato una camicia da notte molto sexy, e quando lui è venuto fuori in accappatoio gli ho detto: «Questa l’ho messa solo perché tu me la sfilassi». Quanto era ovvio tutto quanto, quanto ero ovvia io e quello che sarebbe successo poi. Quanto mi detestavo mentre facevo l’amore con un uomo di cui sapevo pochissimo e che avevo conosciuto e voluto sbadatamente, senza un briciolo di cuore.
E allora è successo quello che mai mi sarei aspettata da una come me. Mentre eravamo lì, a letto, nel pieno dei nostri studiatissimi amplessi, ho interrotto quel film hard in cui sguazzavo squallidamente da troppo tempo e sono scappata. Mi sono rivestita in fretta e come in preda a una frenesia inarrestabile sono scesa giù, ho raggiunto la hall e ho chiesto nel mio francese stentato di chiamarmi un taxi. Ho raggiunto l’aeroporto e ho preso il primo volo disponibile che mi riportasse a casa. E finalmente, dopo anni di abbrutimento e di sconforto ho ritrovato me stessa. E la consapevolezza di ricominciare, e di provare a innamorarmi un’altra volta. Ovviamente Francesco non ha neanche tentato di fermarmi, di inseguirmi e di capirmi. Ma era del tutto prevedibile, ed era meglio così.
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