Piccolo Fantasma di Monica Sabella, pubblicata sul n. 12 di Confidenze, è la storia vera più votata della settimana. Ve la riproponiamo sul blog
Ho solo 10 anni e mi sento già diversa dagli altri. I miei compagni di classe mi tengono a distanza o proprio mi ignorano e le maestre dicono che sono lenta. Però forse non sono io a essere sbagliata
Storia vera di Crystal F. raccolta da Monica Sabella
Mi chiamo Crystal, sono una bambina di 10 anni e ho vissuto a Londra fino all’anno scorso. Ho una bella famiglia che mi vuole bene. I miei fratelli hanno 27 e 29 anni; sono arrivata dopo tanti anni e sono la principessa di tutti.
Ho un carattere estroverso, sono molto affettuosa e socievole. Quest’anno ho iniziato a frequentare la quarta elementare in una scuola del Salento.
A Londra ho lasciato la mia migliore amica, Erika, con la speranza di poterla prima o poi riabbracciare. Il primo giorno di scuola sono contenta di conoscere i miei nuovi compagni che sembrano gentili; la mia attenzione è attirata da una bambina di nome Alessia che mi assomiglia ed è molto simpatica.
Un giorno sono invitata al compleanno del mio compagno di classe Giovanni e facciamo diversi giochi anche in piscina. Prima della torta, un gruppetto mi spintona facendomi cadere in acqua vestita: ci mettiamo tutti a ridere, anche io.
Nei giorni successivi durante la verifica di italiano, non trovo il mio astuccio: penso di averlo dimenticato a casa e chiedo in prestito una penna. Alla mia richiesta tutti mi ignorano. I miei compagni mi prendono in giro perché porto gli occhiali, ho i capelli ricci e gonfi e non parlo bene l’italiano.
Un mese fa ho perso mia nonna, era così dolce. Per me era una seconda mamma e soffro tanto perché mi mancano i suoi abbracci, le sue carezze. Mi aiuta Michela, la mia psicologa. Le racconto tutto: le lunghe giornate che trascorrevo insieme a lei, i baci e gli abbracci che sembravano essere eterni e anche i continui dispetti dei miei amici. Michela è molto dolce con me, mi dà tanti consigli, dice che devo cercare di volermi bene. Io provo a socializzare con i miei compagni, ma loro mi allontanano e mi prendono in giro. Ho tanta rabbia e mi chiedo in continuazione perché ci sia tanta cattiveria tra bambini della stessa età. Un giorno, durante la ricreazione, vado in bagno e due di loro, chiudendosi la porta dietro le spalle, mi circondano trascinandomi vicino al muro. Ho paura, piango, ma loro mi deridono e mi strappano i capelli. Leggo molto lentamente e faccio un sacco di errori di ortografia, credo che siano questi i motivi delle loro continue risate. Mia madre è preoccupata e mi sottopone a continue visite specialistiche. Mi fanno eseguire numerosi test psicologici. Il mio quoziente di intelligenza è nella norma, ma sono dislessica e disortografica. Mi sento diversa dagli altri, una stupida che non riesce a fare niente. Anche le maestre mi dicono che sono lenta.
Ogni volta che mi avvicino per giocare o parlare con i miei compagni loro si allontanano e mi dicono che non vogliono stare con me perché ho le pulci. Io mi lavo, non ho le pulci, piango tantissimo e penso a lei. «Nonna Teresa, mi manchi tanto! Non ho fatto in tempo neanche a darti un ultimo saluto. Senza di te non sono più la Crystal di prima, quella che hai conosciuto».
Ogni giorno trascorso a scuola diventa per me un vero incubo, sento riecheggiare le loro risate nelle orecchie, gli scherzi di cattivo gusto sono sempre più frequenti. Non posso raccontare questi episodi ai miei genitori, la notte sento piangere la mamma quando è convinta che io stia dormendo.
«Assomigli a uno spaventapasseri!» mi urla nell’orecchio una mia compagna. «Sembrano gli occhiali di mia nonna!». Me li hanno anche rotti e a casa ho mentito: ho detto che sono inciampata sui gradini della scuola.
Giorno dopo giorno, gli episodi sono sempre più frequenti e io sono terrorizzata. Al mattino trovo scuse per non andare a scuola; ho frequenti mal di pancia, mal di testa e spesso vomito. Oscar, mio fratello maggiore, si insospettisce e una mattina vuole accompagnarmi personalmente. Avere lui al mio fianco mi inorgoglisce e mi rende felice. Oscar parla con la maestra: non so se sentirmi felice o essere ancora più terrorizzata. La maestra è all’oscuro di quello che mi sta accadendo e lui le dice che c’è qualcosa che non va.
La reazione dei miei compagni non tarda ad arrivare e il giorno dopo, sempre nell’ora di ricreazione, mi circondano, schiacciandomi contro il muro.
«I nostri genitori sono stati chiamati dalla preside! Tu devi negare tutto o te la faremo pagare» dice la leader del gruppo, la più aggressiva. «Tu sei brutta! Non potrai mai essere una di noi». Nel frattempo continuano a tirarmi i capelli.
Rientrando in aula, chiedo alla maestra di chiamare mia madre perché non mi sento bene.
Non vado a scuola per una settimana. Ci riesco perché quando la mamma si allontana prendo il termometro e lo metto sotto l’acqua bollente così segna 38 gradi. I miei genitori si preoccupano e chiamano il pediatra: lui mi visita e trova la febbre piuttosto strana, visto che non ho altri sintomi. Mi lasciano nella cameretta con le mie paure e i miei brutti pensieri e vanno nella stanza accanto per parlare. Sento che il pediatra dice: «Signora, la bambina non ha niente. Forse il termometro è rotto. Non ha febbre».
«Allora è perché non vuole andare a scuola. Non sappiamo come comportarci» risponde mia madre, raccontando al medico quello che mi succede a scuola. Nascosta dietro la porta della mia camera ascolto la conversazione e le lacrime scendono sul mio viso senza che riesca a trattenerle. Consigliati dal pediatra, i miei genitori si decidono a indagare.
Il giorno dopo, a malincuore rientro a scuola, ma evito di rimanere da sola e soprattutto di andare in bagno. I comportamenti dei miei compagni nei miei confronti peggiorano, mi isolano e non mi fanno giocare. Anche Alessia, l’unica compagna che mi rivolgeva la parola e che di solito giocava con me, al mio rientro a scuola è cambiata. Cerco di parlarle e la invito a giocare con me, però mi evita. Quando le chiedo perché, lei si guarda prima intorno per vedere se qualcuno degli altri compagni ci sta osservando e poi risponde: «Se gioco o parlo con te loro escludono anche me».
Quella risposta mi rattrista molto, ma per non creare problemi alla mia amica decido di allontanarmi anche da lei e rimango assolutamente sola, isolata da tutti.
Dopo un colloquio con i miei genitori, la preside convoca le famiglie: non fa i nomi degli autori di questi episodi, né tantomeno il mio. Alcuni genitori non la prendono molto bene: c’è chi si lamenta perché il discorso è troppo generico e così i figli passano tutti per colpevoli; altri invece dicono che sono solo bambinate. Così a metà anno scolastico sono costretta a cambiare scuola andando in un altro paese. Qui le maestre e i bambini della mia nuova classe mi accolgono con una bella festa. I primi giorni sono difficili perché mi sento in colpa: sono lenta, stupida e sono stata punita per questo. Dunque aumentano le sedute con la psicologa Michela: mi fa capire che non sono io quella sbagliata. Con il passare dei giorni faccio amicizia con i miei compagni e mi integro sempre meglio. Sia le maestre che i miei compagni mi vogliono bene: finalmente sono serena e non mi sento più diversa dagli altri. A tutti i bambini dico di credere in se stessi: non esiste la diversità, esiste solo l’ignoranza.
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