Quando, eravamo eroi? Nell’adolescenza? Nella prima arroganza della giovinezza? Mai?
I protagonisti di questo libro hanno creduto di esserlo, e uno fra loro forse lo è rimasto. Li conosciamo prima giovani poi adolescenti, nel ricordo. Ma la copertina ha la grazia di renderli bambini, come se l’infanzia fosse la sintesi di ogni età. Non so voi, ma io leggo per innamorarmi. Per essere colpita al cuore.
M’è andata bene col libro di Silvio Muccino, Quando eravamo eroi ( La nave di Teseo). Non mi fido dei bestseller, ma quello di Muccino è un successo felice, perché il libro è bellissimo. Peccato non poter raccontare la storia, rivelando l’idea di questo giallo dei sentimenti, con una sorpresa finale che mi ha lasciato secca, ribaltando ogni gioco e attesa.
Alex , uno che non è mai stato bravo a dire addio, uno che quando si guarda allo specchio non riesce a trovarsi, Alex che non ha paura del dolore e sa che l’unica è buttarcisi dentro fino a conoscersi. Alex, dopo una lunga sparizione, di cui gli amici gli portano rancore, ricompare all’improvviso quindici anni dopo, per invitarli nella casa in campagna, per una resa dei conti.
Alex era l’anima e l’inquietudine della compagnia, era Dioniso che scombina ogni gioco. Gli altri erano i suoi Alieni: quattro creature troppo strane per essere normali. Ma ora hanno passato i trenta e si sono “normalizzate”. Di Alex erano un po’ innamorati tutti: dal cinico Torquemada, a Melzi, costantemente affamato d’amore. Lo era Eva che ha sposato Rodolfo, ma è vissuta sempre nel suo ricordo. E lo era perfino Rodolfo, o appassionatamente invidioso, che è quasi lo stesso. Intorno cantano i grilli, ma ognuno sente la tromba del giudizio. Ognuno sa che incontrando Alex incontrerà se stesso e la tensione fra di loro si accende subito, si fa sempre più intensa.
Alex è rimasto sempre Dioniso, il dio della metamorfosi e dell’imprevisto. Gli amici si affrontano, fra colpi di scena e colpi bassi, a volte rabbiosamente altre dolcemente, raccontati con profondo umorismo e tenerezza. Protagonista è il dolore. Dolore di amare, dolore di esistere, di non essere all’altezza La scrittura è agile e perfetta, si fa leggera per ferirti più a fondo. I personaggi sono pieni di limiti e di difetti, e per questo gli si vuole ancora più bene, ci sei in mezzo, sei uno di loro, con le tue disperazioni, eppure ogni riga è una speranza. Il motivo per cui Alex li ha chiamati lì non possiamo dirlo, ma il fine ultimo è fare ciò che ha sempre fatto: il demiurgo, colui che rivela. Un libro pieno di mistero, un libro che addolora e consola.
Quello di Muccino è un esordio come solista : si era esibito in duetto con Carla Vangelista in Parlami d’amore e Rivoluzione n. 9 , una gara fra i due autori di pathos e linguaggio. Nella sua scrittura Muccino ha il piglio di certi grandi narratori americani del ‘900. Penso a Jack London, che dalla prima riga ti pigliava dentro e non ne uscivi più.
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