Sono venuta per vendere lo chalet di montagna di mia zia, ma più conosco Mattia, l’uomo che segue i lavori, più mi accorgo di quanto è diverso da Luca, il mio compagno e di quanto mi piacerebbe restare qui. Ma posso ribaltare la mia vita?
Storia vera di Elidea F. raccolta da Simona Maria Corvese
Parcheggio il SUV davanti all’agenzia immobiliare. Meravigliose cime rocciose spruzzate dalla prima neve di novembre punteggiano il paesaggio ma non faccio in tempo a scendere dalla macchina, che mi si avvicina un uomo sul marciapiede. «Signora, non può sostare lì.» punta il dito in alto, verso un cartello stradale «È riservato ai residenti, vede?».
Si volta verso il suo furgoncino e preleva un imballaggio.
Mi volto, leggo e mi metto una mano sulla guancia. «Oh cielo! Grazie, la sposto più in là».
Lui scuote la testa e sospira. «No, questa è tutta zona pedonale. Torni indietro fino al minimarket: lì c’è un grande parcheggio».
Come inizio non è male: non ne ho azzeccata una!
In piedi, in mezzo al salone dello chalet di mia zia, mi guardo intorno: teli che coprono i mobili, polvere dappertutto, attrezzi da lavoro abbandonati ovunque.
Mi bussano alla porta e vado ad aprire. Di fronte a me ho l’uomo del marciapiede, con il quale ho fatto la figura dell’imbranata. Mi sento le guance avvampare e vorrei sprofondare.
Scorgo l’intelligenza nel suo sguardo e dalla smorfia che ha sulle labbra, capisco che mi ha già inquadrata. «Sono Mattia, il proprietario dell’impresa edile».
Mi volto verso il salotto, a indicarglielo. «Meno male che ho affidato i bambini a mia madre: così è inabitabile».
Lui mi guarda e annuisce. «Quando sua zia è deceduta abbiamo abbandonato i lavori. È rimasto tutto fermo così com’era».
Mi calco il berretto di lana sulle orecchie e rabbrividisco. «Sì ma è novembre: fa freddo, il riscaldamento non funziona e non so accendere il camino».
Lui si guarda intorno. «L’impianto di riscaldamento glielo riparo domani mattina appena riprendiamo i lavori.» si aggiusta gli occhiali sul naso e fissa dei punti nella casa.
Sento il rumore delle rotelline che gli girano in testa, tanto è concentrato.
Mi mette a fuoco e sorride. «I camini glieli accendo tutti ora ma iniziamo dalla camera da letto: è abitabile se vuole rimanere qui stanotte».
Emetto un sospiro di sollievo. «Grazie!… certo che c’è tanto da fare qui dentro».
Lui si fa serio e mi fissa. «Non vorrà venderla?».
Mi metto una mano sulla guancia ma vorrei mettermele nei capelli. «Non ho ancora deciso ma ho una proposta di un acquirente interessato. Un costruttore che ha anche un resort qui in valle».
Mattia alza gli occhi al cielo. «È uno che trasforma tutto in super condomini. Non rispetterebbe lo spirito di questo luogo tanto caro a sua zia. Ci pensi bene».
Seduta a gambe incrociate sul letto matrimoniale, guardo il volto di Luca nello schermo del computer. «Non so cosa fare… ma se mia zia fosse qui le dispiacerebbe vedermi vendere la casa che ha voluto lasciarmi».
Lui scuote la testa. «Ho guardato la proposta di contratto ed è buona. Vendila e non pensarci più».
Non faccio in tempo a rispondergli. La connessione è lenta, si spegne la video chiamata e cade la linea. Meglio così, ho bisogno di tempo.
Suona il campanello alla porta e io sbarro gli occhi. Ancora nel letto mi volto verso la sveglia sul comodino. Non ha suonato e io ho dormito come un ghiro. Do un’occhiata alla tuta felpata con cui sono andata a dormire e tiro un sospiro di sollievo: così non capiranno che stavo ancora dormendo.
Scendo dal letto, mi precipito giù per le scale e vado ad aprire la porta.
Davanti a me Mattia fa scorrere lo sguardo da testa a piedi e ride con gli occhi. I miei capelli arruffati mi tradiscono.
«Buongiorno! Sono venuto con i mei due fratelli, così facciamo prima».
Guardo oltre le sue spalle e i due uomini mi sorridono e mi fanno un cenno di saluto con la testa.
«Loro due faranno molto rumore stamattina, quindi ti consiglio di andarti a fare una bella passeggiata».
Mi s’illumina lo sguardo. «È una vita che non torno in questi luoghi. C’era un punto panoramico che amavo ma non ricordo il sentiero».
Uno dei due uomini accanto a lui s’intromette. «Perché non l’accompagni tu, Mattia? Il tuo contributo ci è più utile oggi pomeriggio che stamattina».
Mattia si porta una mano al mento pensieroso e mi sorride. «Si può fare. Ti ci porto io, Elidea».
Seduti su una panchina, ammiriamo una cascata che si riversa in un burrone che corre lieve lungo una parete rocciosa.
Sui tronchi di alcuni abeti ci sono macchie di muschio e alla loro ombra piccoli mucchi di neve.
«Ho sentito il bisogno di tornare per un po’ nella casa di mia zia, anche se alla fine la venderò».
Mattia si volta verso di me. «Non venderla Elidea. Se non ti butti a fare quello che desideri, non sarai mai davvero felice».
Scuoto la testa. «Ho appena riscattato la casa che avevo comprato con il mio primo marito… sono una fisioterapista a partita iva e ho tre figli piccoli: non ce la faccio».
Il vento sibila lungo i pendii e fa frusciare gli alberi
Lui rimane in silenzio. «… e il tuo attuale marito? Dovresti dirgli che cosa desideri».
Ho le labbra screpolate dal freddo, le guance ghiacciate e la gola secca per l’aria rarefatta.
Deglutisco il succo della caramella che ho in bocca per ammorbidirla. «È il padre dei miei figli ma siamo conviventi… e ha una figlia dal precedente matrimonio.» Abbozzo un sorriso. «Ironia della sorte: Teo amava la montagna ma non voleva figli. Luca detesta la montagna ed è un militare spesso in trasferta».
Anche Mattia ride. «Non si può aver tutto dalla vita.»
Do un calcetto a una pigna e faccio scricchiolare gli aghi di pino scoloriti che spolverano la sottilissima coltre di neve. «Potrei affittare gli altri due appartamenti dello chalet, per mantenerli per i miei figli un domani…».
Cosa vado a pensare? Mi fermo. «Scusa, sogno a occhi aperti. Non sarei capace di gestire tutta questa proprietà».
Lui è attentissimo e mi guarda negli occhi. «me ne occuperei io: lo studio di amministrazione immobili giù in paese è mio e di mia sorella».
Lo guardo a bocca aperta. «Quello accanto all’agenzia immobiliare?».
Mattia ride. «Sono tutti e due nostri. Gestiremmo tutto noi: trovarti le persone e amministrare lo stabile».
Mi gratto il capo, il cappellino di lana mi da fastidio. «E dove li trovo i soldi? Non mi piace rischiare».
Mattia sospira, si sporge in avanti e appoggia gli avambracci sulle gambe. «Ti piace il tuo lavoro?».
Mi piace il suo modo pacato di affrontare le cose.
Seguo le piccole tracce tortuose di scoiattoli e uccelli, appena visibili sulla crosta di neve. «Sì ma giù in città la vita è diventata troppo stressante. Mi piacerebbe una realtà più piccola, per avere più tempo per i miei figli».
Lui allarga le braccia e mi fa un sorriso che gli arriva fino agli occhi. «Ah ma noi non ci facciamo mancare nulla: a pochi paesi da qui abbiamo una piccola clinica privata».
Sgrano gli occhi. «Non lo sapevo!»
Mattia sorride. «Sì, ospitano persone in riabilitazione e squadre sportive in ritiro».
Mi accelerano i battiti del cuore. «Sai se hanno posizioni aperte?».
Lui segue ogni mia espressione e mi studia. «So che hanno lunghe liste d’attesa tutto l’anno per i pazienti. Posso informarmi.» Si ferma e nei suoi occhi vedo un guizzo. «E se trovassi lavoro lì, cosa faresti?».
Questa non è un’utopia ma un sogno che potrei realizzare. Ho il cuore in gola.
Scarto la barretta energetica di cereali che ho in mano e addento la mia colazione. «Con una parte dei soldi della casa in città potrei ristrutturare lo chalet e trasferirmi qui con mia madre…».
Mi fermo: è tutto troppo bello per poter diventare vero.
Mattia versa il tè caldo nella tazza del termos che ha portato e me la porge. «Prova a parlarne con il tuo compagno».
Annuisco. «Lo farò, appena torna dalla trasferta».
Il cielo si è rannuvolato e cade qualche fiocco di neve, che con il suo solletico polveroso mi sfiora le guance e le ciglia.
Mattia si alza dalla panchina. «Senti, stasera vieni da noi per la cena, così mangi al caldo e in compagnia».
Sgrano gli occhi. «Sei gentilissimo: dove abitate?».
Lui ride. «Nella tua stessa frazione del paese: è il grande chalet accanto al tuo».
Rido con lui.
Busso alla porta e mi apre una ragazza che mi sorride. «Benvenuta, Elidea. Prego, entra».
Ci stringiamo la mano. «Molto lieta, sono una specie di vicina di casa…».
Ridiamo e la osservo incerta. Non assomiglia a Mattia, non può essere sua sorella. «… e tu devi essere la compagna di Mattia?».
I suoi occhi ridono. «Oh, no. Sono sua sorella. Mio fratello e io siamo stati adottati dalla famiglia di Mattia».
Si avvicina anche una ragazza in sedia a rotelle e Mattia alle sue spalle. «E lei è nostra cugina Elena».
Le due ragazze si allontanano ma Mattia e io ci attardiamo nel patio.
Una raffica di vento fa spostare i rami degli abeti lì vicino e cade il velo di neve che vi si è accumulato sopra oggi.
«Elena è rimasta sola dopo un incidente stradale. Mio padre era alla guida e in macchina c’erano anche i suoi genitori».
Mi porto una mano alla bocca, senza parole e lui mi abbozza un sorriso. «Ora ci occupiamo noi di lei».
Abbasso lo sguardo a terra, verso gli aghi di pino non ancora spazzati via ma il ticchettio delle zampe di un Golden Retriever sulle assi di legno della terrazza mi distrae.
Non posso fare a meno di notare di quante responsabilità si sia caricato Mattia.
Mi volto verso di lui e mi viene spontaneo un complimento. «… la tua impresa, i genitori anziani, una cugina inferma… e sei sempre calmo ed equilibrato. Non perdi mai la pazienza».
Ci sediamo sulla panca ricoperta di cuscini colorati. Il cane gira intorno al tavolo davanti a noi e si accoccola ai piedi di Mattia.
Lui si stringe nelle spalle e sorride. «Ognuno ha i suoi fardelli nella vita ma se li affronti con serenità, è tutto più semplice».
Mi porge una coperta di lana da mettere sulle gambe e il suo tepore accogliente mi avvolge.
Gli sfioro il braccio. «Notavo che sei l’opposto del mio compagno. Lui si spazientisce facilmente.» sospiro «Ha un carattere autoritario ed è anche manesco con i bambini.» scuoto la testa «Santo cielo: non vanno ancora alla scuola materna!».
Inarca un sopracciglio e socchiude le labbra. «Nessuno è perfetto ma se avessi una famiglia, non perderei la pazienza con dei bambini piccoli.» e mi sfiora il dorso delle mani.
Una scarica elettrica mi percorre tutto il braccio e gli occhi mi s’inumidiscono. Deglutisco a fatica: non so da quanto tempo non incontro una persona che mi è di così grande conforto.
Delle campane eoliche risuonano nel vento ma non le vedo.
Sospiro. «Questa è una settimana insolita: sono uscita dalla mia routine e non credevo di riuscirci».
Lui rimane a bocca aperta. «Ma non devi stravolgere la tua vita per vivere qui. Basta adattarsi ai nostri ritmi meno frenetici».
Annuisco. «In un certo senso tu hai già una famiglia di cui ti occupi… ma non ti piacerebbe averne una tutta tua?».
Il suo sorriso si allarga. «Tutte queste responsabilità mi hanno lasciato poco tempo per socializzare ma mi piacerebbe avere una famiglia alla quale piaccia vivere in montagna».
Mi rendo conto di aver trovato con il mio compagno una passione travolgente e di essermi tuffata nella nostra relazione senza pensare alle conseguenze: adoro i miei figli ma non li abbiamo cercati. Se fossi andata più con calma con Luca, mi sarei concessa il tempo per conoscerlo meglio e capire se era la persona giusta per me. Non rinnego nulla di quello che è accaduto e che mi ha reso madre ma con Luca ho commesso un terribile errore.
La sorella di Mattia ci fa un cenno con la mano, dalla porta a vetri. «È pronto in tavola: venite?» e io accantono per il momento i miei dubbi.
Il sole d’autunno brilla con la sua luce fredda in un cielo turchino, privo di nuvole. Luca mi aspetta a braccia conserte, appoggiato al SUV. «In treno ho visto tutto l’arco alpino innevato, sai?».
Io mi avvicino con l’ultimo bagaglio e gli sorrido con gli occhi sgranati. «Vuoi dirmi che comincia a piacerti la montagna?».
Lui ride. «Purtroppo no: lo ho detto per farti piacere. Dai, Elidea, noi siamo dei cittadini!».
Con le spalle curve, a testa bassa, mi volto verso Mattia e gli consegno una copia delle chiavi della casa. «Fammi sapere se c’è qualche problema» e con la mano in aria indico lo chalet.
Mattia non si volta ma lancia un’occhiata a Luca e scorgo un bagliore di rabbia nei suoi occhi: sono due fessure e la mascella è serrata.
Torna a guardarmi e il suo sguardo si addolcisce. «Stai tranquilla: ti terrò aggiornata sullo stato dei lavori. Vi voglio vedere tutti qui a primavera».
Salgo in macchina ma tra me e Luca è un silenzio di pietra. Fisso i tornanti della strada e alla fine sbotto. «Luca, quanto è profondo il tuo amore per me?».
Lui sbuffa e alza subito la voce. «È bastata una settimana e quell’uomo ti ha cambiata. Metti i piedi per terra e vendiamo quel rudere di tua zia».
Scuoto la testa e questa non gliela lascio cadere. «Mattia non ha cambiato nulla. Sono io che mi sono ricordata chi sono».
Luca alza gli occhi al cielo e fa una risatina ironica.
È proprio come sospettavo: io per lui non valgo nulla.
Mi schiarisco la voce. «Tu mi tratti come una bambina che non sa cavarsela da sola ma io voglio un rapporto dove siamo complici nel prendere le decisioni».
Luca alza un sopracciglio. «Cosa vuoi dire?».
Faccio un grande respiro e mi butto. «Che così non va bene e desideriamo anche cose diverse».
Lui stringe il volante. «Posso rimediare o cercare di venirti più incontro, Eli».
Mi vengono le lacrime agli occhi. «Purtroppo no».
Scendo dalla mia auto e alzo lo sguardo a contemplare il bel lavoro che Mattia ha fatto nello chalet. Il prato intorno è cosparso di crochi bianchi e viola.
Mattia mi viene incontro a braccia aperte. «Ben arrivata! Ti aiuto a scaricare tutti i bagagli. Dove sono i tuoi figli?».
Punto il dito verso i finestrini. «Ancora in macchina».
Lui piega la testa di lato, li saluta con la mano e torna a guardarmi.
Mi aggiusto la sciarpa al collo. «Voglio correre il rischio di vivere la vita che desidero, qui in montagna, ora che sono libera e ho un lavoro qui in valle.» e osservo la sua reazione.
I suoi occhi hanno un’espressione dolce e brillano. Si china verso di me, a sfiorarmi le labbra. «Vorresti correre anche il rischio di viverla con me?».
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