Vi riproponiamo sul blog “Scusami se ti chiamo amore” di Federico Toro, pubblicata sul n. 21/2017 di Confidenze. È la storia più apprezzata dalle lettrici questa settimana
È da mesi che vorrei dirglielo ma sono bloccato. Come posso farle questo? Quanto dolore ci può essere dietro un sentimento non corrisposto? La guardo, è bella anche quando dorme e non merita di soffrire così tanto
Storia vera di Claudio R. raccolta da Federico Toro
Apro gli occhi. E penso. Ormai, sono settimane, forse mesi. Rapidi fotogrammi scorrono nella mia mente. Ancora intontito, mi giro sulla destra e lancio un’occhiata alla sveglia sul comodino. Sono le 6:05. La sveglia è impostata per le 7:15. Ho ancora un’ora abbondante per riflettere. Devo trovare una soluzione al più presto, non posso far finta di nulla. Se continuo così, procurerò solo sofferenza. Lei è accanto a me. È bella anche quando dorme. Le sposto i capelli e il suo delicato profumo mi avvolge. Resto immobile a contemplarla. Accenna un lieve sorriso, come se avesse intuito che la sto osservando.
“Mi dispiace, ma è inutile andare avanti con questa farsa, non è giusto per me ma soprattutto per te. Perdonami, ma io non ti ho mai amata”.
Ecco, l’ho detto. Che stupido! L’ho solo pensato. È da mesi che vorrei dirlo ma sono bloccato. Come posso farle questo? Quanto dolore ci può essere dietro un “non ti ho mai amata”? Il pensiero di pronunciare queste parole mi atterrisce. Il respiro diventa affannoso e il cuore accelera e mi sento ancora più meschino nel vederla dormire così serena. Ma possibile che in tutto questo tempo non si sia accorta di nulla? Che non abbia avuto il minimo sospetto? Devo essere un attore navigato se sono riuscito a recitare brillantemente la parte dell’innamorato senza far trapelare i miei veri sentimenti. Sono tre anni che stiamo insieme e da nove mesi conviviamo. Ricordo ancora quella mattina. Avevo dormito da lei, lo facevo spesso a quei tempi. «Se dormi da me, non dovrai svegliarti molto presto per recarti in ufficio e soprattutto eviterai il traffico» mi diceva. E quella mattina: « Perché non lasci il tuo spazzolino?».
« In che senso?» risposi.
« Hai capito bene».
«Cosa devo capire?» incalzai.
«Lo sai, lo spazzolino è una scusa, dài, trasferisciti da me. Non ha alcun senso vivere ognuno a casa propria». Ci abbracciammo stretti. E nuovamente mi calai con grande maestria nei panni del compagno amorevole, estasiato di aver ricevuto la sua coinvolgente proposta. La mia anima mi implorava di non assecondarla e di confessare i miei veri sentimenti. Era arrivato il momento giusto. Ma esiste davvero un momento giusto per ferire senza pietà una persona? No, non credo esista l’istante perfetto per fare del male. E ancora una volta ho messo a tacere quella voce che mi rimbombava nel petto. Pensavo che la proposta di convivenza mi avrebbe scosso da questo torpore, ma come potevo quella mattina attuare il mio piano? Lei era piena di vita, felice. Una bambina al Luna Park con in mano lo zucchero filato. Poi, mi ha baciato, ha infilato il cappotto e prima di uscire, si è voltata sorridente: «Ci vediamo stasera, amore».
Do un’altra occhiata alla sveglia. Sono le 6:13. Lei è sempre lì, bellissima e radiosa. Dubito che stia leggendo nella mia mente affastellata di pensieri bui e contorti. Non avrebbe quell’espressione così angelica. Provo a immaginare una sua reazione. Sono sicuro che penserebbe a uno scherzo e scoppierebbe in una fragorosa risata.
E a quel punto le direi che è tutto vero. “Sì, sono serio, ti prego, ascoltami e non interrompermi. Non ti ho mai amata, questa è la verità. Ti voglio un gran bene, ma non è sufficiente. Non basta per vivere una vita insieme, per mettere al mondo un figlio”.
Lei mi guarderà perplessa. Forse troverà impossibile credere a tutto ciò che le sto dicendo, ma a un tratto il suo sorriso sparirà e nei suoi occhi leggerò incredulità e anche un leggero spavento. Dovrei fermare, arrestare questo profluvio di parole terrificanti perché ho paura, tanta paura di farle del male.
Mi rigiro. Sono le 6:32. La guardo ancora. Non sorride più o forse è solo una mia impressione. “No, non posso fermarmi proprio ora, finalmente ho il coraggio di dirti tutto e devo arrivare fino in fondo, perché anche se è assurdo lo sto facendo anche per te. Ti prego, credimi”.
“Sono tre anni che stiamo insieme e me lo dici solo ora?”.
Sono sicuro che, con voce tremante e spezzata, questa sarà la sua prima battuta dopo aver realizzato che non è uno stupido scherzo, una recita, ma la pura realtà.
“Sì, lo so, avrei dovuto dirtelo prima. Non volevo farti soffrire. È l’ultima cosa che vorrei in questo momento”.
“Quindi per te è stato tutto un gioco? Ti rendi conto di cosa mi stai facendo? Mi sembra di impazzire, ti prego, dimmi che non è vero!”.
Questa sarà la parte più difficile, ma non posso retrocedere. “Purtroppo è tutto vero. Sei una donna meravigliosa, bellissima. So quanto mi hai amato e quanto mi ami ancora ed è per questo che non posso continuare a mentire. Che senso avrebbe? Potrei andare avanti per altri vent’anni, ma è inutile, i miei sentimenti non cambieranno”.
“No, non mi lasciare, ti prego, non farlo”. Ora scoppierà a piangere e vivrà il momento più devastante della sua vita. Se solo ci fosse un altro modo. Se potessi prendermi tutto il suo dolore, la sua angoscia, lo farei senza pensarci un attimo. Sono le 6:52. “Credimi, ti ho voluto bene, sono stato felice con te, ma non è amore. Preferiresti che continuassi a recitare la parte dell’eterno innamorato? Ti andrebbe bene così?”.
“Dicevi di amarmi, te lo ricordi?”. A questa domanda non saprò risponderle. Non troverò mai le parole giuste per farle comprendere il mio sforzo, il mio stupido tentativo di risparmiarle un dolore ingiusto.
Lei non merita tutto questo. Soffrirà alla follia, si chiuderà in se stessa e per settimane, mesi, riavvolgerà il film della nostra vita cercando un appiglio, un ricordo per attenuare l’angoscia, ma non troverà alcuna consolazione al suo immenso tormento. Forse, con il tempo capirà che per la prima volta, oggi, l’ho amata davvero.
Sobbalzo al suono della sveglia. Apre gli occhi. Mi guarda e mi sorride. Ricambio il sorriso. «È ora di alzarci, amore» le dico «E… scusami, se ti ho chiamato amore».
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