“Segreti” di Annalucia Lomunno, pubblicata sul n. 45 di Confidenze, è la storia vera più votata della settimana. Ve la riproponiamo sul blog
Un amore che muore è una cosa brutta, ma ancora peggio è quando la sua fine ti prende di sorpresa, senza preavvisi. Quello che ti capita ti sembra un’enorme ingiustizia. E soffri, cercando un perché
Storia vera di Francesco S. raccolta da Annalucia Lomunno
Forse qualcuno dovrebbe avvisarci quando una storia d’amore sta per finire, come se si trattasse di un film a rischio spoiler, di una sceneggiatura già vista chissà dove, copiata, rubata, pessima. Qualcuno dovrebbe mandarci dei segni precisi, per esempio foto segnaletiche degli amanti, lettere anonime terrorizzanti, enigmi facilitati. Un abbandono sofferto può rivelarsi un autentico rompicapo, una matassa da dipanare, anzi, squartare, un cruciverba fin troppo facile. Due orizzontale, dieci lettere: tradimento. Tre verticale, otto lettere: tragedia.
E invece sei sempre solo e molto impreparato quando l’irreparabile accade. Come quando qualcosa si rompe all’improvviso e non sai come recuperare i pezzi. Un filo d’acciaio che si sgretola e che ti lascia cadere nel vuoto, annientandoti, o che ti tiene maldestramente in bilico, sospeso. E tu puoi soltanto rimanere lì, incapace di fermarla quella tragedia, quella tegola che cade, l’amaro in bocca che ti brucia la gola. E non sai, non potresti mai sapere perché sia successo proprio a te, perché l’universo stia complottando in modo così feroce e ingiusto contro la tua normalissima, quieta e sottovalutabile esistenza. E perché tu abbia la netta e irragionevole sensazione di bere acqua calda e salata, e di trovarti ammanettato e prigioniero in un paese lontanissimo. Quando Giuliana mi ha abbandonato, era sorpresa e infuriata quanto me, ma per motivi esattamente opposti, offensivi. Lei non riusciva a comprendere il mio sgomento, la mia rabbia, il dolore che le urlavo contro, un’agitazione che avrebbe sbriciolato persino i muri.
«Tra noi due non funzionava da tempo, non ci parlavamo neanche più, era inevitabile che accadesse» mi ha detto, come se fosse tutta colpa mia, come se certe catastrofi fossero necessarie e divinatorie, come se certi silenzi punitivi stessero tutti lì a mettermi in guardia, a terrorizzarmi in anticipo senza alcuna compassione.
Magari quella sensazione di prigionia la meritavo, forse aveva ragione lei. Lei, una donna che amavo moltissimo da anni, e che credevo da sempre felice; irascibile, lunatica, irraggiungibile a volte, ma felice. Avevamo un mutuo da condividere, lavori in corso, progetti da fare, rogne da schivare insieme come se fossero trappole, dubbi, mille dubbi sul futuro, il nostro futuro, ma lei mi sembrava la donna giusta.
Mi aveva concesso di guardarla, di averla, di viaggiare al suo fianco, voleva fare l’amore con me, non mi pareva un’estranea, mai. E invece quella era stata l’ultima volta in cui l’avevo vista, e ricordo ancora quanto fosse irritata dal mio atteggiamento, dal mio stupore. Stringeva tra le mani una collana di coralli a cui teneva particolarmente, un regalo non mio, una cosa che amava molto, irrazionalmente, che diceva di aver comprato da sola. Un oggetto che di colpo parlava e raccontava di un altro legame, di un altro uomo, di una freccia avvelenata che mi trapassava collo e cuore. Pretendevo ragioni, spiegazioni, cenere sulle mie ferite, ma lei era andata via quasi indignata, elegantissima, chiedendomi di non fare tragedie, scenate imbarazzanti. «Evitami, ti scongiuro, le tue croci e le tue crociate, tieni tutto, non voglio niente, voglio scappare» aveva aggiunto pure sul pianerottolo, mentre io, atterrato da quell’evento indefinibile, non mi vergognavo di piangere davanti a lei, supplicandola. Ma Giuliana se ne infischiava del mio strazio, raggiungeva in fretta l’ascensore con la sua valigia improvvisata, la sua collana stretta in un pugno come un talismano e l’inspiegabile fierezza di chi non ha paura, di chi ha vinto, di chi non vuole recuperare niente, di chi ha dimenticato una parte di sé in fondo al vecchio mondo ed è pronta a rinascere.
Ma quella porzione di pianeta ospitava un uomo disperato che aveva solo voglia di stordirsi, di dormire, di uscire, di sbagliare, di rapinare una banca, di fare qualcosa di veramente illegale, di finire in galera, di sentirsi ragionevolmente prigioniero. Invece, svilendo i miei migliori propositi, ero rimasto a due passi da quel pianerottolo, avevo appena socchiuso la porta e mi ero seduto, la schiena appoggiata alla parete. Di fronte avevo una consolle antica, che Giuliana aveva portato con sé quando ci eravamo innamorati.
Era piena di cassetti, ancora zeppi delle sue cose, carte, penne, rossetti, segreti. Ho pensato che avrei dovuto svuotarla subito, venderla, bruciarla.
Ma mai avrei immaginato che proprio lì, nei meandri di un mobile recuperato e restaurato, si erano rintanati tutti i suoi segreti. Giuliana aveva una specie di quaderno, di diario, in cui aveva appuntato in modo quasi scientifico tutte le tappe della sua passione.
L’incontro con questo ragazzo, di cui io non sapevo nulla, sembrava quasi un romanzo. Lei aveva segnato le date, i luoghi, i sentimenti, i pensieri. E non so perché non lo avesse preso con sé, non so neanche per quale motivo, per la prima volta, quell’unico cassetto non avesse la sua chiave ben chiusa. Molto probabilmente non si trattava di sadismo, ma della necessità di parlarmi in un altro modo, di spiegarmi cosa fosse successo al nostro rapporto, alla sua disperazione anche.
Perché in quelle pagine c’era una donna che non conoscevo, una donna che si sarebbe ammazzata, che non accettava l’idea di vivere con un uomo che non voleva più: “Oggi la pioggia è una novità, mi piacerebbe che diventasse un uragano da combattere, avrei un motivo per non pensare a quanto sono triste, a quanto vuota mi senta senza di lui”. Giuliana aveva e difendeva una vita segreta, una vita in cui si riconosceva, gusti misteriosi, un universo imbattibile, imprevedibile, limpido.
“Oggi ho scelto di vestirmi di blu, e dire che anni fa questo colore lo detestavo. L’amore ti cambia, ti offre nuovi occhi, e non sei più la stessa, e devi rinnovare un guardaroba che non ti appartiene più”. Ripercorrevo il nostro comune passato attraverso le sue parole.
È vero, il suo armadio era cambiato poco alla volta, ma io distrattamente avevo sottovalutato la cosa, credevo che le donne si annoiassero e che amassero giocare con i vestiti.
Ma lei invece navigava lontanissima da me, e mi toccava scoprirla tra quelle pagine, come se non ci fossimo mai amati. “La disperazione forse la puoi spiegare in mille modi, ma io non sono brava a farlo. So che sto male senza di lui, so che devo scappare”. Scappare. Lo aveva anche detto, sì, Giuliana mi lasciava uno spazio vuoto in cui riflettere. Uno spazio che avrei potuto distruggere in fretta, e che ho distrutto, ma solo per sentirmi più coraggioso, più libero: con una nuova data di nascita, la data del suo abbandono. In fondo eravamo liberi entrambi, perché anch’io scappavo dalla delusione di un amore finto, inesistente, perché anch’io meritavo uno sguardo nuovo, e un futuro pieno di promesse vere.
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