«Sei bellissima»

Cuore
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Bellissima: da quanto non mi sentivo così? Guardavo il mio corpo, lo vedevo sfiancato dalla gravidanza e tornavo a sentirmi insicura com'ero stata da ragazzina

Storia vera di Irene A. raccolta da Valeria Sirabella

Era una normale serata casalinga, passata davanti a un piatto di pasta al pomodoro e un bicchiere di vino rosso, quando Mattia mi ha chiesto di fare un figlio. Sono rimasta col calice sospeso a mezz’aria, come di pietra. Avevamo più di 30 anni, stavamo insieme da dieci, ma in tutto quel tempo non si era mai parlato di metter su famiglia. Ci eravamo conosciuti nella palestra dove io facevo pilates e lui si allenava con i pesi ed era stato un colpo di fulmine, anche se io ai colpi di fulmine non ci avevo mai  creduto. La nostra storia si era consolidata lentamente, eppure adesso, davanti alla sua richiesta di fare un ulteriore passo avanti, in me si scatenavano i dubbi. Mi dicevo che con un figlio avrei perso la mia libertà, non avrei dormito più, sarei ingrassata.
Ne abbiamo parlato spesso nei mesi successivi, e l’entusiasmo e la convinzione di Mattia, poco a poco, sono riusciti a farmi venire la voglia di buttarmi, liberando il desiderio di maternità che era in me. Volevo un figlio, lo volevo con tutta me stessa, avevo soltanto una grande paura. Sono rimasta incinta tre mesi dopo e la scoperta mi ha sconvolto nel profondo. Non riuscivo a credere che dentro di me già pulsasse un minuscolo cuore, mi sentivo felice, ma anche strana. In particolare, a preoccuparmi, era ciò che sarebbe successo di lì a poco al mio corpo.
Ero stata un’adolescente cicciottella e in eterna guerra con il suo aspetto: per farvi pace ci avevo impiegato anni. Non solo non mi piacevo: non ero a mio agio con me stessa. Solo finito il liceo, grazie allo sport, ero riuscita a trovare la forma ideale e mi ero sentita rinascere; e sempre grazie allo sport, pochi anni dopo avevo conosciuto Mattia. Negli ultimi mesi di gravidanza in effetti presi parecchio peso, ma a quel punto ero così concentrata sul pensiero del bambino che non me ne preoccupavo. Del resto confidavo nel fatto che dopo il parto la maggior parte dei chili sarebbero scomparsi.
Micol è nata in una calda sera di settembre, era la cosa più bella che avessi mai visto: una cucciola di tre chili e sei dal nasino a punta e la pelle di pesca. Mi sentivo onnipotente. Il ritorno a casa dall’ospedale, tuttavia, non è stato rose e fiori. Mattia è tornato subito a lavorare e io da sola mi sono ritrovata a occuparmi della bambina a tempo pieno. La stanchezza era tanta e l’ansia per i suoi pianti incessanti difficile da tenere a bada. Micol  aveva tre settimane quando ho trovato il coraggio di spogliarmi e guardarmi allo specchio per la prima volta dopo il parto. La pancia flaccida, i fianchi ricoperti di smagliature. Ho avvertito una stretta allo stomaco e la terribile sensazione che non sarei mai più stata quella di prima. Quel flash del mio corpo sfiancato dalla gravidanza mi è rimasto dentro nei giorni a seguire e ha iniziato a bruciare, finendo per trasformare la percezione di me stessa e, di conseguenza, il mio rapporto con Mattia. Ho iniziato a tenerlo a distanza. Lui mi domandava cos’avessi, ma io continuavo a ripetere che ero solo stanca per via dei risvegli notturni e delle giornate dedicate alla cura di Micol. Dentro di me, pensavo che il nostro rapporto non sarebbe più stato come prima: Mattia non avrebbe mai potuto desiderarmi come donna, per lui sarei rimasta sempre soltanto la madre dei suoi figli.
Un pomeriggio mi stavo rilassando davanti al computer mentre Micol dormiva nella culla, quando ho ricevuto un messaggio su Facebook da parte di uno sconosciuto, un certo Filippo. Si trattava di una breve poesia. Ho risposto che la poesia era bellissima, ma che probabilmente non era per me. Lui ha replicato chiedendo se non fossi io la ragazza conosciuta la sera prima alla festa in spiaggia, ma io, sospirando, ho risposto che non ero stata a nessuna festa in spiaggia. Lui però mi ha domandato se davvero la poesia mi fosse piaciuta, e io ho ribadito che se ne era lui l’autore, ero onorata di fare la sua conoscenza. Ne è seguita una piacevole chiacchierata virtuale. Filippo era un ingegnere che aveva da poco scoperto un lato romantico e letterario, che sfogava scrivendo poesie. Gli ho raccontato del mio lavoro, della mia passione per lo sport, dei miei hobby. Parlavo di me come della donna energica e poliedrica che ero stata prima della gravidanza, e mi accorgevo che questo gioco mi faceva stare bene. Le chiacchierate virtuali sono continuate e l’idea di incontrarlo in chat rendeva più eccitanti le mie giornate. Dopo ogni poppata, quando Micol crollava addormentata, mi precipitavo al computer e Filippo trovava sempre il tempo per me. Col tempo ci siamo confidati l’un l’altro quanto quel rapporto virtuale stesse diventando importante per entrambi. Nel frattempo, tenevo Mattia sempre più a distanza, fisicamente e non solo; continuavo a eludere i suoi approcci fisici e le sue domande insistenti. Lui ripeteva di vedermi diversa, lontana, ma io non facevo che ribadire che l’inizio della maternità fosse un periodo delicato e gli chiedevo di rispettarlo. Con Filippo, intanto, mi sentivo libera: libera di essere la donna dinamica che non ero più. Libera di evadere da quella casa che iniziava a starmi stretta, da quei ritmi serrati dettati da poppate e cambi di pannolino che, per quanto amassi Micol, mi facevano sentire in trappola. Io e Filippo flirtavamo in modo sottile, lui mi mandava poesie sempre più toccanti e io non gli nascondevo come ogni giorno aspettassi con ansia di poterlo ritrovare in rete. Tuttavia, il momento che tanto temevo è arrivato: Filippo mi ha proposto di incontrarci nel mondo reale. Ho preso tempo adducendo scuse varie, ma quando lui si è fatto più insistente, ho capito che non potevo continuare a mentirgli. Quella consapevolezza mi ha fatto precipitare nello sconforto: il rapporto virtuale con Filippo era per me diventato un appiglio e rischiavo di perderlo. Mattia si è accorto subito che il mio recente buonumore si era trasformato in un nuovo momento di tristezza.
Una sera, a letto, si è avvicinato e mi ha invitato ad aprirmi con lui: era lì per aiutarmi. In lacrime, gli ho confidato che da quando avevo partorito odiavo il mio corpo e temevo che non avrei mai più potuto piacergli. Al buio, lui mi ha sfilato la camicia da notte e ha iniziato ad accarezzarmi dappertutto. Ha detto che per lui ero e sarei sempre stata bellissima, che il mio corpo morbido di mamma, segnato da qualche smagliatura, gli piaceva anche di più. Ci siamo abbracciati a lungo, e tra le sue braccia mi sono resa conto di quanto il suo calore e la sua vicinanza mi fossero mancati. Era come se d’un tratto mi ricordassi chi era Mattia, il compagno che avevo scelto, colui che sapeva capirmi e amarmi anche nei momenti più difficili. Proprio in quel momento, il mio cellulare sul comodino ha rotto il silenzio con il bip di un nuovo messaggio. Ho spento il telefono senza nemmeno guardarlo, poi mi sono addormentata, calma e sicura, stretta al caldo corpo di Mattia.

Testo pubblicato su Confidenze 41/2018

Foto: Getty Images

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