Senza parole

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“Senza parole”, pubblicata sul n. 6 di Confidenze, è la storia vera più apprezzata della settimana. Ve la riproponiamo sul blog

 

All’ansia si reagisce in mille modi: Ely, la mia sorellina, l’affronta in silenzio. Non è sangue freddo, è il cosiddetto mutismo selettivo 

Storia vera di Francesca Ardusso raccolta da Giovanna Brunitto

Ciao a tutti, sono Francesca, ho 13 anni e vivo a Torino. In famiglia siamo in quattro: mamma, papà io e mia sorella Elisabetta, che tutti chiamiamo Ely. Vorrei raccontarvi la nostra avventura con il mutismo selettivo. Dunque, per me il mutismo selettivo è mia sorella. Lei adesso ha nove anni e la nostra storia è incominciata sei anni fa, quando Ely ha iniziato a frequentare l’asilo. Sin dai primi giorni, lei ha incominciato a non parlare e non solo a scuola ma anche a casa. In classe, era inerte come un bambolotto abbandonato e, per di  più, non potendo parlare, non chiedeva neanche di andare a fare la pipì, la tratteneva fino a quando non andavamo a prenderla. Se qualcuno la prendeva in braccio, lei si abbandonava completamente facendo sentire tutto il suo peso. In famiglia cercavamo di farla parlare in tutti i modi. Io poi le davo pizzicotti, le tiravo i capelli ma niente, non c’era verso di scucirle una parola e vi garantisco che giocare con una sorella che non parla è proprio brutto. A casa non parlò per tre settimane. Tutti ci diedero consigli, ma quello che ci aiutò di più fu provare a ridurre l’ansia con il gioco. Mi ricordo le serate passate con mamma e papà a giocare alla bella fattoria. Loro dicevano il nome di un animale e noi dovevamo imitarne i gesti e poi i versi. Le prime volte mia sorella non partecipava, poi qualche gesto qua e là, qualche verso, finché un giorno così come per caso ricominciò a parlare. Lei parlava con me, con i miei genitori e con i nonni, invece all’asilo era muta come un pesce. La situazione continuò a essere dura ancora per tanti mesi, poi alcune bambine più grandi si presero cura di lei. L’aiutavano e le stavano vicino in classe e la situazione divenne più tranquilla, silenziosa ma tranquilla.

A differenza della scuola, però, a casa Ely dà del filo da torcere, è pestifera, quello che vuole lo deve ottenere sennò diventa come un mare in tempesta. I miei genitori non gliele danno tutte vinte, però a volte lei li sfinisce insistendo per ore ed è una furbetta perché sa come farli capitolare. Pensate che qualche anno fa aveva deciso di imparare a pattinare sul ghiaccio. Allo stadio organizzavano due corsi, uno il mercoledì e l’altro il sabato. A tutti i bambini era consentito di fare una lezione di prova, a Ely, date le sue ansie, avevano concesso due lezioni in entrambi i corsi. Le piacque moltissimo e decise di farli tutti e due. I miei genitori non osarono dirle di no e così, per mesi, passarono ore ad aspettare al freddo dello stadio. Però lei ha imparato subito ed è diventata bravissima. Ely è facilitata nello sport e anche a scuola va bene. È ordinatissima e scrive bellissimi temi senza errori. Io, ancora oggi, non so scrivere come lei. La sua stanza deve sempre essere a posto così come i vestiti. Anche a tavola, tutto dev’essere perfettamente in ordine. Lo racconto a bassa voce ma, a proposito della precisione, fa anche una cosa che mi fa impazzire e ridere allo stesso tempo: si pettina perfino prima di andare a dormire. Poi ha una grande passione, il suo cane. Si fa certe chiacchierate con lui che non vi dico e, quando andiamo in vacanza e telefona alla nonna, invece di chiederle come sta lei, chiede come sta il suo cane.

Anche il percorso della scuola elementare è stato lungo. Prima che iniziasse l’anno scolastico, i miei genitori insieme alla psicologa hanno organizzato incontri con l’insegnante e con gli altri genitori per spiegare la situazione, ma non è stato facile per niente. Poi capitava che a volte mia sorella non volesse stare a scuola e mamma doveva rimanere con lei in classe tutto il giorno. Lei poteva restare anche per un giorno intero in piedi vicino alla maestra. Ely in quei momenti era Ansia con la A maiuscola. Anche un semplice gesto, come prendere una matita, era un problema insormontabile.

Per fortuna ci sono state anche alcune famiglie che ci hanno aiutati molto mettendo mia sorella a proprio agio e scoprendo che si può comunicare anche senza parlare. La sua insegnante ha escogitato sistemi di comunicazione che le consentissero di esprimersi e di fare i compiti. Le interrogazioni inizialmente non le faceva compensando con i compiti scritti, poi il cellullare è stata la nostra salvezza. Ha cominciato a usarlo con la psicologa, prima con messaggi scritti e poi utilizzando i vocali. Piano piano ha preso a usarlo anche con la sua insegnante e ora riesce a parlare, seppur sottovoce, anche con alcuni compagni. Con altri parla a bocca chiusa, ma si capiscono lo stesso. Giorno per giorno lei migliora. Piccole conquiste sudatissime che valgono per tutta la nostra famiglia.

Penso che i miei genitori passino più tempo in auto che in altri posti, ma è necessario e va bene così. Bisogna portarla dallo psicologo, poi dal neurologo, poi agli incontri collettivi con gli altri bambini, poi a nuoto, poi a ginnastica. Insomma con lei non bisogna mai mollare.

A volte le capita di rattristarsi. Ely ha degli sbalzi d’umore molto forti. Lei ora conosce il suo disturbo, vorrebbe parlare ma non sempre ce la fa e piange e capita che non voglia mangiare. A volte mi chiede: «Francesca, perché io non posso dire alle mie amiche le cose che vorrei dire?». Allora cerco di distrarla, invento un gioco e provo a farla ridere: se è più tranquilla le parole arrivano.

Ma quando c’è di mezzo un estraneo la situazione si fa spessa. I grandi vedendola silenziosa e con lo sguardo un po’ spento cominciano a fissarla per capire dov’è l’errore in lei, poi iniziano a dirmi: «Perché tua sorella non parla?». Oppure: «Perché tua sorella non ride?». Io penso che le persone dovrebbero cercare di capire chi hanno davanti. A volte un sorriso potrebbe bastare a sciogliere momenti difficili.

Anche con alcuni parenti è complicato. Uno zio diceva: «Questa bambina mi mette soggezione. Con quegli occhi sembra che ti guardi dentro e non dice nulla». A volte mi piacerebbe essere uguale a mia sorella, diciamo silenziosa, poi penso che se non ci fossero le diversità tutto sarebbe più monotono e allora va bene così. Nonostante le apparenze, con il suo silenzio, mia sorella mi ha dato il coraggio di fare cose che altrimenti non avrei mai fatto. Ogni tanto glielo dico: «Sai Ely da sole siamo un mezzo disastro, ma insieme siamo un capolavoro!».

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