Senza sangue di Alessandro Baricco

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Un romanzo che descrive magistralmente il senso di schiavitù mentale che chiunque sia vittima di un crimine sviluppa nei confronti del suo assassino

La paura può fermare il cuore e può farti restare senza sangue.

Se arrivano quattro uomini e uccidono tuo fratello e tuo padre. Se quattro uomini uccidono tuo padre e tuo fratello può capitare. Che ti si fermi, quel cuore senza più sangue.

Mentre tutto è colpi di arma da fuoco e morte, Nina aspetta. Sotto terra, dove l’ha fatta nascondere suo padre. E canta. E conta le nuvole.

Passa una vita intera, poi. In attesa di una resa dei conti.

“Lo sa che di quella sera io so tutto, eppure non ricordo quasi niente?

Ero là sotto, non vedevo, sentivo qualcosa. I bambini hanno un talento particolare per dimenticare”.

Queste sono le parole che Nina rivolge all’assassino che, il giorno in cui sparò, era un ragazzino come lei. Nina e l’assassino che, ormai vecchi, dopo aver parlato, vanno in albergo. A fare l’amore.

Siamo in un romanzo. Soprattutto siamo in un romanzo di Baricco, sospesi tra favola, sogno e visione. Siamo abituati ad accettare l’assurdo, a perdonarlo in cambio della poesia e dell’atmosfera.

Eppure il senso della schiavitù mentale che chiunque sia vittima di un crimine sviluppa nei confronti del proprio assassino è descritto potentemente. Immagini spartane, boati, pelle cadente e occhi spauriti.

“Per quanto la vita sia incomprensibile, probabilmente noi la attraversiamo con l’unico desiderio di ritornare all’inferno che ci ha generati.

Provò a chiedersi da dove venisse quell’assurda fedeltà all’orrore, ma scoprì di non avere risposte.

Capiva solo che nulla è più forte di quell’istinto a tornare dove ci hanno spezzato, e a replicare quell’istante per anni.

In un lungo inferno identico a quello da cui veniamo.

Ma d’improvviso clemente.

E senza sangue”.

Baricco.

Per carità, tutto vero. Ogni critica.

Ma.

Riprendo fiato.

E dico.

Sia lode.

E gloria.

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Alessandro Baricco, Senza sangue, Rizzoli

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