“Un filo prezioso ti ha salvata” di Marco Bergamaschi”, pubblicata sul n. 51 di Confidenze, è la storia più apprezzata della settimana. “Un racconto commovente e pieno di speranza”, scrive una lettrice, Gloria, sulla nostra pagina Facebook
Storia vera di Antonella Gelfi raccolta da Marco Bergamaschi
Ho sempre amato il nome Aurora perché mi ricorda uno dei momenti del giorno che preferisco: l’apparizione della luce rosea e purpurea che si manifesta silenziosa poco prima del sorgere del sole. E quando ho saputo di aspettare la mia seconda figlia, è stato naturale chiamarla così.
Aurora è nata prematura, è venuta al mondo a trentacinque settimane, quando di solito gli altri bimbi hanno ancora un po’ di tempo per continuare a dormire e sognare placidi nella pancia della mamma.
Ricoverata in terapia intensiva neonatale, ha vissuto i primi mesi in una culla trasparente, manifestando una serie di problemi e difficoltà respiratorie, che hanno reso necessario intubarla per permetterle di respirare.
Quasi subito è arrivata la diagnosi: atresia delle coane, una malformazione che non permetteva la comunicazione tra fosse nasali e faringe e che rendeva impossibile il passaggio dell’aria.
All’età di due settimane è stata operata per liberare i suoi condotti nasali, prima un’operazione e poi una seconda e alla fine ha potuto respirare con il naso.
Ma eravamo solo all’inizio: Aurora sembrava essere isolata in un mondo tutto suo dove noi e nessun altro poteva entrarvi. Assente e poco ricettiva agli stimoli sensoriali, era incapace di ingerire il cibo dalla bocca e per nutrirsi aveva bisogno di un sondino gastrico.
Quando entravo in reparto, dopo aver indossato soprascarpe, grembiule e mascherina, guardavo questa creatura così piccola e fragile e la mia testa era un turbinio di pensieri, di riflessioni e soprattutto di domande, che non trovavano mai risposta. Rabbia, disperazione e senso di impotenza hanno accompagnato i miei giorni e le mie notti per moltissimo tempo.
Al terzo mese i medici hanno cominciato una serie di test per stabilire l’entità dei problemi di Aurora e provare a fare un po’ di chiarezza: le viene così certificata una sordità “grave e profonda” e una malformazione interna a entrambi gli occhi, che poteva compromettere la vista, soprattutto dall’occhio sinistro.
Come se non bastasse, nonostante le due operazioni subite, Aurora continuava ad avere bisogno, a intervalli imprevedibili, del tubo che la aiutava a respirare. Un minuto prima respirava, poi si bloccava e nessuno capiva il perché. Era un continuo mettere e togliere il tubo, un’alternanza tra speranza e sconforto, finché ulteriori analisi hanno messo in luce un problema cardiaco ai danni del dotto.
Il dotto è un’arteria che nel feto normale porta sangue dall’arteria polmonare all’aorta e che alla nascita, quando i polmoni iniziano a respirare, si chiude spontaneamente nel giro di alcune ore. Ma con Aurora non era successo.
È stata così operata per la terza volta e questo intervento ha segnato una svolta importante per tutti, perché l’atteggiamento dei medici è cambiato. Quelli che per loro erano stati dei sospetti, diventano certezze. Aurora era affetta da una malattia genetica rara: la sindrome di Charge. La notizia arriva come una pugnalata dritta al cuore, ma almeno è una diagnosi sicura, qualcosa da cui partire dopo aver brancolato nel buio per tanto tempo. All’età di sette mesi e mezzo, dopo aver subito la quarta operazione per sostituire il sondino gastrico con la peg, un tubicino esterno collegato con lo stomaco, Aurora lascia finalmente l’ospedale; io e mio marito Gabriele eravamo felicissimi, ovviamente preoccupati e spaventati per il futuro, ma tanto contenti: un capitolo buio della nostra vita era finito.
Arrivati a casa, è cominciata la seconda vita di Aurora e la nostra: Aurora non ci conosceva, era abituata a essere manipolata solo per le iniezioni, le terapie e gli interventi e quando cercavamo di accarezzarla o coccolarla si tirava indietro, preoccupata che le potesse succedere qualcosa. Non ci siamo persi d’animo: abbiamo continuato con le coccole e ha cominciato a frequentare cicli di fisioterapia e logopedia a un ritmo molto intenso. Non è stato facile per nessuno, ma alla fine è servito perché ha impedito che mia figlia si isolasse dal resto del mondo.
Durante la notte abbiamo imparato a dormire con un occhio aperto: nella sua camera avevamo alloggiato dei monitor che controllavano il battito del cuore e la saturazione dell’ossigeno nel sangue. Di fianco al suo lettino c’era anche un aspiratore elettrico per liberarla dal catarro in eccesso, che nei soggetti Charge è sempre presente.
I primi tempi ci siamo alzati anche dieci volte per notte, ma non ci importava, Aurora doveva ricevere amore e attenzioni.
Mi ricordo che in quel periodo il nostro obiettivo era cercare le cure migliori per lei. Soprattutto io, che avevo lasciato il lavoro per seguirla al meglio, trascorrevo molto tempo in Internet alla ricerca di informazioni dettagliate sulla malattia.
Poi una mattina mi sono imbattuta in un gruppo su Facebook formato da genitori con figli Charge; è stato un giorno fondamentale perché ho potuto incontrare, anche se solo virtualmente, persone che avevano percorso la mia stessa strada e che avevano parole di conforto per l’angoscia, la paura e i dubbi nei confronti di un futuro che sembra sempre incerto.
Ho letto le esperienze di tanti genitori come me e Gabriele e non mi sono più sentita sola, ma accolta e finalmente compresa in un grande abbraccio che da tempo sognavo di ricevere.
Ho ricevuto tanti consigli e informazioni preziose e sono venuta a conoscenza di un’associazione che da oltre cinquant’anni assiste, educa, riabilita e reinserisce nella società persone sordo-cieche e pluriminorate psicosensoriali: la “Lega del Filo D’Oro”.
Molti genitori di bambini con problemi simili ai nostri ci erano stati e consigliavano di rivolgerci a loro. Non si sbagliavano.
Siamo arrivati a Osimo, il quartier generale dell’associazione all’inizio del 2015; Aurora aveva quattordici mesi, non riusciva a tenere su la testa e presentava molte difficoltà a livello motorio.
Abituati all’ambiente e ai ritmi degli ospedali non sapevamo cosa aspettarci, ma eravamo fiduciosi. E abbiamo scoperto un altro mondo: niente camici bianchi e lunghe corsie asettiche, che potevano far riaffiorare in Aurora brutti ricordi, ma ambienti caldi e colorati e operatori sorridenti e disponibili.
In meno di quattro settimane l’équipe dell’associazione è riuscita a farle guadagnare una posizione semiseduta e ha scoperto che Aurora vedeva da entrambi gli occhi, seppur a fatica per una forte miopia e che la sordità non era grave, ma media, facendoci ben sperare in un possibile recupero. Eravamo al settimo cielo. Quando, tornati a casa, ha messo gli occhiali adatti a lei e sono state ricalibrate le sue protesi acustiche, è uscita dal guscio.
Aurora si è rivelata una bambina socievole, curiosa, che adorava stare al centro dell’attenzione e ricevere le coccole di tutti, in particolare della sorellina Beatrice. Quando al primo trattamento ne è seguito un altro, circa un anno dopo, i progressi si sono fatti ancora più evidenti, colorando il nostro futuro di speranza.
Oggi Aurora frequenta la scuola materna e gioca volentieri con i compagni, si diverte ad andare su e giù col triciclo e adora ridere: è una bimba piena di voglia di vivere e di crescere come tutti gli altri bambini della sua età.
Senza l’aiuto della “Lega del Filo d’Oro” tutto questo non sarebbe stato possibile, loro sono riusciti a tirarla fuori, a far emergere quel potenziale che c’era in lei, ma che era invisibile a causa della malattia.
Certe sere, dopo averla messa a letto, mi siedo su una poltrona in camera sua e la guardo dormire; i pensieri si rincorrono veloci nella testa: mi ricordo il senso di smarrimento dell’inizio, la sensazione di inadeguatezza, la paura di crollare davanti a qualcosa di più grande di me. Ma poi penso a lei, la mia piccola guerriera, che nonostante la vita non sia stata particolarmente generosa nei suoi confronti, ha dimostrato un temperamento coraggioso e forte, manifestando chiaramente il desiderio di farcela, di imparare e superare i propri limiti. E allora i dubbi svaniscono e so che lotterò sempre e non mi accontenterò mai. Talvolta la sensazione è che sia lei che mi prenda per mano e mi conduca su un percorso che a me appare poco chiaro, ma che alla fine porta sempre da qualche parte. Lei è la nostra piccola maestra di vita.
Forse è vero che non potevo darle un nome più azzeccato. L’aurora è quel momento del giorno che precede il sole: tutto è buio, poi all’improvviso arriva lei con la sua luce dorata, prima lilla e poi arancio e fa brillare ogni cosa, aspettando la venuta del giorno.
Aurora è proprio così, è venuta a illuminare le nostre giornate e quando penso che tutto sia buio, mi ricordo della sua forza e ogni cosa passa.
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