Storia di Sara raccolta da Chiara Lavalle
Il cielo è puntellato di stelle, la brezza leggera fa dondolare le lampadine variopinte che illuminano la grande terrazza sul mare e un’allegra orchestrina suona motivi e canzoni degli anni Sessanta. Che cosa posso chiedere di più romantico e suggestivo in questa splendida serata? Niente, solo che tutto questo non è per me. Seduta a un tavolino un po’ appartato, comincio a pentirmi di essere venuta. Eppure avevo tanto insistito per uscire anch’io, almeno una sera. “Dovevo dar retta a Sandra e Marisa” ammetto, anche se a malincuore. Ancora una volta, Sandra, mia sorella, e Marisa, mia cognata, hanno avuto ragione quando, guardandomi scandalizzate, hanno risposto alla mia richiesta con un’altra domanda: «Non faresti meglio ad andare a letto presto?».
Il tono della loro voce doveva essere lo stesso che le sorellastre avevano riservato a Cenerentola quando lei aveva chiesto di andare al ballo, ma io, questa sera, non mi sento affatto come la protagonista di quella intramontabile e fortunata favola. No, guardo le coppie danzare, comprese Sandra a Marisa che ballano insieme un rock and roll e mi pare di essere più simile alla Rossella O’Hara di Via col vento. Anche lei, relegata in un angolo per riguardo alla sua vedovanza, smaniava dal desiderio di buttarsi sulla pista da ballo e il suo piede, come il mio, batteva inutilmente il ritmo della musica. “Che sto a fare qui seduta, tutta sola?” mi chiedo.
«Vuoi ballare?» una voce maschile, profonda e leggermente roca, mi coglie di sorpresa alle spalle. Forse Rhett è uscito dai miei sogni e, come in Via col vento si è materializzato accanto a me. Mi volto a guardare. No, niente a che vedere con Clark Gable, ma il ragazzo che sta dietro di me non ha nulla da invidiargli: alto e robusto, capelli chiari tagliati a spazzola e sguardo penetrante. Colgo tutto questo con un sospiro e rispondo. «Non posso».
«Non puoi?» ripete lui. Scosto leggermente la sedia dal tavolino e, scuotendo la testa, mi offro completamente ai suoi occhi. Lo sguardo del ragazzo si posa sorpreso sul pancione che il mio abbigliamento mette ancor più in evidenza. «Scusami, non potevo immaginare che fossi sposata» esclama a disagio.
Decido di metterlo in difficoltà fino in fondo. «Ma io non sono sposata» esclamo.
Lui mi guarda, poi, per niente intimidito, prende la sedia accanto e si accomoda al mio tavolo. «Posso?» domanda con un sorriso che lo rende ancora più affascinante. «Sei qui da sola?» aggiunge.
«Sono con mia sorella e mia cognata» rispondo accennando con la mano verso Sandra e Marisa che stanno ballando.
«Scommetto che ti stai annoiando».
«Se ci scommetti vinci di sicuro» confermo.
«Allora perché non vuoi ballare?» torna a chiedere lui porgendomi la mano.
Lo guardo perplessa. Sta dicendo sul serio? Lui continua a sorridere e i suoi occhi hanno una luce tenera, come una carezza. Mi alzo decisa. «Perché no?» sbotto. L’orchestra sta suonando un cha cha cha e io lo so danzare a meraviglia. Ci lanciamo sulla pista e un attimo dopo siamo una delle tante coppie che ballano allegre in quella dolce serata estiva. La brezza leggera mi scompiglia i capelli, la musica mette le ali ai piedi e io mi sento di nuovo viva e giovane come i miei diciott’anni da poco compiuti. Va tutto bene fino a che non incrociamo Sandra e Marisa. Anche loro mi vedono e la loro sorpresa è tanta che il ritmo della danza subisce un improvviso ingorgo e ci vuole un po’ perché possa riprendere vivace e sostenuto come prima. Con una piroetta un po’ azzardata cambio velocemente direzione. Quanto mi piace ballare! Perché mai dovrei rinunciarvi? Il bimbo, o meglio la bimba che porto in grembo, non ne è affatto disturbata, anzi la sento vibrare allegramente dentro di me al suono della musica. Anche lei ama le stesse cose di sua madre. Se solo Sandra e Marisa fossero più comprensive e mi lasciassero vivere questi pochi momenti spensierati… Niente da fare. I miei angeli custodi mi raggiungono pochi minuti dopo al bar, dove io e il mio accompagnatore sorseggiamo un’aranciata.
«Sara» mi chiamano «È ora di andare a casa».
«Ma se sono appena le undici» obietto.
«Già, ma domani arrivano Giorgio e Michele e noi vogliamo alzarci presto». Giorgio e Michele sono rispettivamente mio fratello e mio cognato. Per impegni di lavoro durante la settimana restano in città e ci raggiungono al mare solo nel weekend. In quei giorni lo scorrere tranquillo della nostra vacanza subisce un’improvvisa accelerazione. Bisogna pulire la casa, organizzare intrattenimenti e soprattutto cucinare ogni ben di Dio. “A me non importa niente di preparare pranzi e sorprese”, vorrei dire, “io non ho un uomo da aspettare a casa, mentre qui, stasera, mi sto finalmente divertendo” invece chino il capo e, mogia mogia, mi rassegno a seguirle. Da qualche tempo, ormai, non ho più diritti.
«Posso accompagnare io Sara a casa, se a lei fa piacere restare». Il mio accompagnatore deve avermi letto nel pensiero perché si fa avanti cordiale ma deciso a difendere la mia indipendenza. Poi tende la mano verso Sandra (come ha capito che è lei a comandare?) e si presenta. Riccardo, si chiama Riccardo, un nome che adoro. Sandra si volta verso Marisa, indecisa, una volta tanto, su cosa rispondere. Ne approfitto immediatamente. «Ottima idea, allora posso restare ancora un’oretta» decido e, preso Riccardo per mano, lo guido veloce verso la pista. Un momento dopo ridiamo come due bambini che l’hanno avuta vinta mentre ci scateniamo in un travolgente twist. È da poco suonata la mezzanotte quando Riccardo mi accompagna a casa, chiacchierando del più e del meno. Strano, di tante cose parliamo quella sera, ma lui non mi chiede niente dell’argomento intorno al quale ruota ormai la mia vita: questa gravidanza inaspettata. Eppure, ogni tanto, il suo sguardo si posa leggero e tenero sul mio ventre e i suoi gesti sono protettivi e gentili. Nessuna parola potrebbe farmi sentire meglio. «Ecco, sono arrivata» annuncio salutandolo. La mia ora di spensieratezza è finita. Riccardo tiene, fra le sue, la mano che gli porgo e ancora una volta mi sorprende: «Che ne diresti di una gita in barca domani?».
Una gita in barca! Il mio cuore perde un colpo e il respiro mi si mozza in gola. Vuole passare ancora un po’ del suo tempo con me, ma perché? Forse gli sono simpatica, forse gli faccio pena. “Molto più probabile la seconda che ho pensato”, rifletto fra me. Ma in fondo non mi importa il motivo, il bello è aver trovato un amico che mi porta fuori, lontano dall’atmosfera pesante che si respira ogni giorno a casa mia da qualche mese a questa parte.
«Domattina alle otto, qui sotto casa tua. Va bene?» aggiunge Riccardo con un sorriso. Sorrido anch’io per rispondergli di sì.
Le finestre di casa sono ancora illuminate, Sandra e Marisa mi aspettano. «Ma lo sai chi è quel ragazzo con cui ballavi?» esordisce Marisa. Ecco, me l’aspettavo. Perché mi sono lasciata ingannare una volta, ora tutti quelli che frequento, devono per forza essere persone poco raccomandabili.
«È l’unico figlio dei…» annuncia Sandra, scuotendo la testa, e fa il nome di una delle famiglie più note del paese. Resto un attimo confusa, non lo avrei mai immaginato, ma poi scrollo le spalle. Che importanza ha? Riccardo vuole solo essermi amico.
La barca su cui Riccardo mi porta è una chiara dimostrazione di agiatezza. Vi salgo a disagio, ma presto la sua allegria mi contagia. Meglio godermi quella gita inaspettata, il piacere del sole e della brezza di mare sulla pelle, l’incanto del panorama, la compagnia di un amico giovane e allegro. Un dubbio però mi rode. Riccardo mi ha proposto la gita in mare perché, come sospetta Sandra, si vergogna a farsi vedere in giro con una ragazza in stato interessante come sono io? Un gesto di carità verso una ragazza che ha diverse difficoltà da affrontare, niente di più, ha insinuato Marisa scuotendo la testa. Come si sbagliavano! Riccardo proprio non si vergogna di me. Dopo quella bellissima giornata sul mare, i nostri incontri sono quasi quotidiani. Ci sono il concerto in piazza, la cena in pizzeria e le serate al cinema d’essai. Riccardo mi vuole con sé anche in piscina ad ammirare i suoi tuffi dal trampolino e che dire poi delle frequenti puntate nella migliore gelateria del paese a gustarci una coppa di sorbetto alla frutta, il mio preferito. Sempre più spesso, la mattina, quando esco a far compere, me lo trovo nei paraggi che insiste per accompagnarmi e portare lui le borse della spesa. Come dire di no a tanta gentilezza?
«Riccardo» gli domando una sera, mentre sorseggiamo una granita seduti al bar sul lungomare «ma tu non preferiresti uscire con una ragazza normale?».
«Una ragazza normale?» si stupisce lui, «no, io ne preferisco una speciale come te, con il sorriso che abbaglia, lo sguardo da bambina, la gioia di vivere che hai nel cuore».
«Oh Riccardo» protesto «tu hai capito benissimo cosa intendo dire».
Lui posa uno sguardo tenero sul mio pancione e sorride. «Quando vorrai, ne parleremo insieme io e te, ma solo se sarai pronta tu».
Nessuno da mesi si è rivolto a me con tanta delicatezza, nessuno si è preoccupato prima di ogni cosa di non ferirmi. Grosse lacrime iniziano a scendere lungo le mie guance. Le ho trattenute a lungo, ma basta questo accenno gentile a farle sfogare. Riccardo si avvicina e prende ad asciugarmele con i suoi baci, una a una. È la prima volta che mi bacia e capisco che l’ho desiderato dal primo momento in cui ci siamo incontrati, anche se l’ho tenuto nascosto pure a me stessa.
«Riccardo» mi schermisco «ci stanno guardando…».
«E che ci importa?» risponde lui e le sue labbra si posano dolcemente a sfiorare le mie. Mi restano ancora due settimane da passare al mare e sono due settimane di paradiso.
«Sara, Sara» continuano a ripetermi in casa, «tu andrai incontro a un’altra terribile delusione».
Lo so o almeno lo immagino, ma non voglio pensarci. La vita mi sta restituendo una piccola parte di quella spensieratezza che bruscamente mi ha rubato e non voglio rinunciarvi. Ma anche i giorni felici hanno un termine e volano via più veloci del vento.
Dobbiamo rientrare in città, Marisa e Sandra al loro lavoro, io ad affrontare tutto ciò che mi aspetta. Con Riccardo non parliamo mai del dopo, viviamo ogni attimo come se solo il presente fosse reale e io non oso farmi domande sul futuro. Soprattutto non oso farne a lui. È una delle nostre ultime giornate di vacanza e, quella mattina, accompagno mia sorella all’ufficio postale. All’unico sportello c’è molta gente in attesa e Sandra e io ci prepariamo a una lunga coda quando lei attira la mia attenzione con una gomitata. «Vedi quella coppia davanti a noi? Sono i genitori di Riccardo» mi sussurra. Alzo gli occhi e li osservo. Il mio sguardo deve essere ben intenso perché anche loro si voltano e ci vedono. Qualcuno deve averli informati su di me e Riccardo, lo capisco subito dalla loro espressione. Lei, la madre, mi squadra altera, la bocca tesa, gli occhi cupi. Lascio l’ufficio e vado a sedermi su una panchina dei giardinetti lì accanto. È finita, lo so. Ho riconosciuto quello sguardo. Per giorni e giorni, nei mesi appena trascorsi, ho combattuto contro espressioni simili, volti dal piglio risentito e sdegnato, per difendere il mio diritto a portare a termine la gravidanza, al di là di ogni logica, solo perché sentivo di non poter fare altrimenti. C’ero riuscita, ma con quanta amarezza e fatica. Ormai avevo dato fondo a tutte le mie energie e non sarei riuscita a sopportare un’altra battaglia. Meglio ritirarmi da subito e affrontare da sola il cammino che avevo scelto. Che cosa contano quattro settimane di felicità? Solo una povera illusa come me poteva aver nutrito qualche speranza. Era stato solo un sogno e, come un sogno, svaniva alle prime luci dell’alba. Il sole è ancora caldo in questo inizio settembre ma dentro e fuori di me sento solo gelo e brividi.
«Posso sedermi?» una voce sconosciuta interrompe i miei pensieri. Alzo lo sguardo. Due occhi azzurri incontrano i miei, due occhi in tutto simili a quelli di Riccardo, solo contornati da una fitta rete di rughe. Suo padre è venuto a cercarmi. Non ha perso tempo, meglio arrivare subito a una spiegazione definitiva.
«Prego» rispondo con un filo di voce, chinando la testa.
«Lei è Sara, vero?» continua l’uomo «Riccardo mi ha tanto parlato di lei ma, debbo dire, che è molto più carina di quanto immaginassi».
“Se non altro, è una persona gentile e mi congederà con garbo e classe”, mi ritrovo a pensare.
«Le spiace se le faccio una domanda personale?».
Accenno di no con la testa. Ormai sono preparata al peggio. «Ha già pensato che nome dare alla bambina?». Rialzo il viso a guardarlo sorpresa. Non è quella la domanda che mi aspettavo. «Le piacerebbe il nome Linda?» l’uomo continua a parlarmi sorridendo e io continuo a non capire. «Era il nome di mia madre» aggiunge, «lei ne sarebbe orgogliosa e io sarei felice della scelta».
Rimango un lungo momento stupita e in silenzio, mentre, pian piano, il significato delle sue parole comincia a farsi strada nella mia mente. Il padre di Riccardo non è venuto a respingermi ma, miracolosamente, ad accogliermi. Lo guardo incredula e lui ricambia il mio sguardo. «Riccardo è innamorato di lei e non l’ho mai visto così felice. Sai Sara» accenna, e c’è nella sua voce una nota di rimpianto, «la felicità è un bene prezioso e raro. Non bisogna lasciarsela scappare, potrebbe non tornare mai più». Mi accarezza leggermente i capelli e mi lascia così, sulla panca, dopo aver rivoltato la mia vita. Il padre di Riccardo mi ha fatto sapere di essere dalla nostra parte. Ora non ho più paura. Il sole torna a risplendere e io mi offro ai suoi raggi, a scaldarmi corpo e anima. Poi poso una mano sul ventre, dove la mia bambina dorme beata, ignara dei tanti sconvolgimenti della vita.
«Linda, piccola Linda» le sussurro «niente devi temere perché hai vicino a te tanti che ti vogliono già bene».
Anche per noi, per la nostra piccola, nuova famiglia, la felicità ha in dono un sorriso.
Testo pubblicato su Confidenze 37/2015
Foto: 123RF
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