Una piccola cosa buona

Cuore
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“Una piccola cosa buona” di Giovanna Sica, pubblicata sul n. 37 di Confidenze, è una delle storie vere più apprezzate della settimana. Ve la riproponiamo sul blog

 

Può bastare un gelato con le noccioline pralinate a raddrizzare una giornata storta? Non so rispondere: è tutta la mia vita che butta male, secondo me. Quindi, tanto vale accettare un gesto gentile

Storia vera di Camilla F. raccolta da Giovanna Sica

 

Caldo, all’improvviso. Quest’estate 2018 che pareva proprio non voler decollare, stamattina è afosa, affollata e insopportabile su questa spiaggia fra le dune.

«Camilla, non voglio sentire storie. Domani andiamo a mare a Sabaudia, c’è una grande riunione della mia famiglia» ordinava la genitrice, ieri sera.

«Mamma, ho 19 anni, non sono mica una bambina, non posso starmene a casa mia in santa pace e tu vai alla festa della tua famiglia?».

«No, voglio presentarti le mie cugine napoletane».

«Non me ne avevi mai parlato prima, però da quando hai saputo che verranno in vacanza sotto il Circeo, non fai altro che ripetermi quanto sono simpatiche queste tue parenti».

«Ci eravamo perse di vista, Napoli e Roma sono lontane, ma da bambine eravamo molto legate».

«Comunque, per favore, domani non rivelare a tutta la parentela che sono stata mollata. L’ultima cosa che vorrei è dover parlare di Marco con delle perfette sconosciute» imploravo. Era solo ieri sera. Forse, mia madre, pur volendo accontentarmi, aveva già spiattellato i fatti miei nel gruppo WhatsApp “Cugine”, nuovo di zecca. Fatto sta che stamattina, ore 10,12 (ho appena controllato le notifiche sullo smartphone), mi sono presa la prima pacca sulla spalla da una tale Carmela che ha esordito: «Quanto sei bella, piccere’. Tale e quale a tua madre, alla tua età. Non lo pensare più a quello scimunito, povero lui che non ha capito chi sei». Cerco mia madre con gli occhi per farle capire quanto la detesto quando non rispetta i miei sentimenti, ma lei non mi guarda, è troppo presa dalla ritrovata cuginanza. Non si stancano più di abbracciarsi. E poi ridono e si raccontano storie di quando erano piccole e abitavano tutt’e tre al Vomero. Mamma chiede di persone della sua infanzia e le cugine scuotono il capo a ogni nome che fa. Devono essere tutti morti. E quando parlano di Raffaele, mio padre, dicono: “chillu fetente”. Lui e la mamma erano andati a vivere a Roma, zona Eur; ed è lì che noi ancora passiamo le nostre giornate, senza più mio padre in casa, altrimenti non credo Carmela e Teresa, le cugine di mia madre, lo avrebbero chiamato così, almeno non davanti a noi. Hanno preso una casetta a Sabaudia per 15 giorni. I mariti sono rimasti a Napoli per lavoro. Con Teresa c’è il figlio Luigi di 14 anni, che per venire in vacanza con la madre si è portato dietro un amico. Carmela è sola. I suoi due figli sono grandi, lavorano, e quando hanno le ferie, se ne vanno per i fatti loro. E menomale che Luigi e l’amico nerd, che non si è mai mosso da sotto l’ombrellone perché sta facendo un gioco sullo smartphone, non sono miei coetanei, altrimenti le signore se ne sarebbero subito uscite: «Avete la stessa età, forza, fate amicizia!». Come se avere la stessa età fosse un buon punto di partenza per piacersi. Queste barbarie, i cosiddetti adulti le tirano fuori sempre e solo con bambini, adolescenti e vecchi. Mica nessuno si permette di andare da una cinquantenne e costringerla a fare amicizia con una coetanea! Quando un mese fa mi son lasciata con Marco e mi sono barricata in camera mia, mia madre ha avuto l’ardire di chiedere ad Arianna, che abita due piani sotto di noi, se qualche volta le andava di uscire con me. Quella è rimasta esterrefatta, la capisco, anch’io sarei rimasta senza parole. Non mi piace Arianna, ma in questo caso non posso che essere solidale con lei. Che poi, se ci fosse stato feeling fra me e Arianna, avremmo aspettato la mediazione di mia madre per diventare amiche?

 

Che caldo insopportabile, ma non c’era sempre vento su questo litorale? Vado a farmi un bagno al largo per smarcarmi dalla genitrice e dalle sue cugine. Appena torno a riva le tre confabulatrici hanno la faccia spudorata di chi sta parlando di te e non fa nulla per nasconderlo. «Che c’è?» interrogo indispettita la mia consanguinea.

«Niente, Carmela dice che la casa che hanno preso è grande e che se ti va puoi restare qui, così ti fai qualche bagno e non pensi sempre a quello là».

«Mamma! Non ti passa per la testa che magari io non mi sentirei a mio agio a casa delle tue cugine che vedo oggi per la prima volta? Carmela, Teresa, vi ringrazio di cuore dell’offerta di ospitalità, ma preferisco trascorrere questa stupida estate nella mia stanza, in città» mi rivolgo poi alle cugine. Per calmarmi vado a camminare a riva. Forse per questo mio padre se ne è andato, forse pure lui non sopportava la mamma. Ma con che coraggio c’è gente che va dicendo in giro che la mia età è la più bella, che poi quando passa uno la rimpiange per tutta la vita? Cosa dovrei rimpiangere, l’invadenza di mia madre? L’assenza di mio padre? La fine del rapporto con Marco? La penuria di amici? Il rapporto marcio che ho con me stessa, la distanza incolmabile fra quella che sono e l’idea che ho di me? C’è poco da rimpiangere, io non ho nulla. Avevo Marco, ma lui se ne è andato e mi sa che non ritorna più, come cantava la Pausini. Mio padre, nelle rare visite, mi ammonisce scherzando, ma mica poi tanto: «Non mi diventare come tua madre». Però lui si ricorda che ha una figlia una volta al mese e per le feste comandate. La verità vera è che fino a che c’è stato Marco me ne sbattevo dei miei genitori, il problema è che ora sono sola. Mi gira la testa e forse non so più dove mi trovo. Inizio a tornare indietro. Non mi ricordo più il nome del lido. Mi prende un po’ d’ansia, non ho nemmeno il cellulare con me. Sono sola in mezzo a un mare di gente. Sì, però devo stare calma, quando vedrò lo stabilimento lo riconoscerò subito. Continuo a camminare. E poi me lo vedo correre incontro. Un puntino che si ingrandisce e prende le sembianze di mia madre. Corre e si sbraccia. Il puntino è proprio mia madre. Dietro di lei Carmela e Teresa che arrancano. Mia madre, gli occhi grandi le si son riempiti di paura. «Scusami, ti ho fatto una proposta davvero stupida» dice e mi abbraccia.

«Si è spaventata a morte» aggiunge Carmela.

«Ma tu vai a fare due passi e stai via due ore?» commenta Teresa.

«Non mi sono accorta che fosse passato tutto questo tempo» abbozzo come scusa.

«Non fa niente. Torniamo al lido e andiamoci a fare un bel bagno» chiosa mia madre. E poi mi mette una mano sulla spalla e io la lascio fare. Allo stabilimento il bagnino ci chiede se va tutto bene. Chissà il polverone che avrà alzato la mamma, che figuraccia! Ma tiro fuori un sorriso che, non so come, mi deve esser venuto fuori caruccio perché il bagnino contraccambia. E poi mi invita a seguirlo, vuole offrirmi un gelato. Lo seguo: mia madre e le cugine stanno ridendo talmente forte che me le sento sulle spalle, le loro risate. Non è niente. Solo un bagnino dai ricci neri e con la canotta rossa stinta dal sole che mi porta a prendere un gelato. Forse come risarcimento. Forse come. Ma che importa, è una piccola cosa bella. È una piccola cosa buona, questo cono con le noccioline pralinate. Stefano, si chiama il bagnino. Mi mette in mano il gelato, sorride e torna alla sua postazione. Che poi, mai che in spiaggia si vedesse un bagnino con la canotta rossa scintillante. Sempre stinte dal sole. Sempre reliquie di storie passate.

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