Vi riproponiamo online la storia più apprezzata del n. 13 di Confidenze
Quando ho ritrovato Aurelio il mio matrimonio era già a un punto morto, ma non sono tipo da sotterfugi. Così io e lui ci eravamo fatti una promessa, che per molti anni nessuno mancò: ogni 12 mesi ci saremmo concessi 24 ore di felicità tutte per noi
STORIA VERA DI ADELAIDE G. RACCOLTA DA BARBARA BENASSI
Paolo mi era piaciuto fin da subito per la sua gentilezza, per quel senso di protezione che involontariamente emanava e per la sua serietà. Quando ci siamo incontrati al matrimonio dell’ultima mia amica rimasta single, di cui ero la testimone, non era uno dei miei momenti migliori. Malgrado fossi felice per lei, tutto non faceva che palesare quanto il tempo mi stesse scivolando come sabbia tra le dita e quanto mi sentissi in ritardo rispetto al mio orologio biologico.
Paolo era un amico dello sposo, sulla quarantina, snello, niente male, intelligente. Tra un bicchiere di champagne e una tartina, chiacchierando, scoprii che era un avvocato, che come me amava i libri, il cinema, la natura e che soprattutto era single.
Durante il ricevimento, tra l’altro, avevo notato come giocava con le due figlie di un mio amico. Sembrava molto a suo agio con i bambini e in quel momento confesso di aver pensato: ”Magari potrebbe essere un buon padre”. Insomma, come potenziale fidanzato, mi sembrava perfetto.
Perciò quando una settimana dopo mi aveva invitata fuori a cena, avevo accettato senza esitare.
Gli raccontai che fin da piccola, con la famiglia, ero vissuta in diverse città per via di mio padre che, come militare di alto grado, era soggetto a frequenti trasferimenti e dato che anche il mio lavoro comportava numerosi spostamenti, era mia intenzione adesso fermarmi e mettere radici una volta per tutte. «Ho intenzione di farmi una famiglia» precisai. «Sento il bisogno di stabilità e di sicurezza».
In passato avrei evitato discorsi del genere al primo appuntamento, ma ero decisa a non perdere più tempo e in effetti credo che la mia franchezza, che all’inizio doveva aver spiazzato Paolo, in seguito gli permise di essere altrettanto franco in merito a se stesso.
«La mia è una famiglia unita, i miei sono molto tradizionalisti. Mio padre vuole avere dei discendenti e visto che mio fratello ha già due figli adorabili, al momento ai suoi occhi io sono uno scapestrato inconcludente» mi raccontò tentando un sorriso. «Ma non ho intenzione di restarlo a lungo, devo solo trovare la persona giusta».
«E finora non l’hai trovata? La persona giusta intendo…» gli chiesi.
Paolo rimase a fissarmi, perso nei suoi pensieri, poi abbassò gli occhi e con un fil di voce rispose: «Veramente lo credevo, ma lei ha scelto di sposarsi con un “altro” contro il quale sarei stato perdente per definizione: la mia ex è entrata in convento. Ha sentito la chiamata e ci siamo lasciati. Ho avuto bisogno di tempo per riprendermi e per capire che dovevo vivere la mia vita e costruire il mio futuro. Così eccomi qua».
Senza rendercene conto, già da quel primo appuntamento ci stavamo valutando per sottoscrivere un contratto di mutuo aiuto. Eravamo due adulti, uno di fronte all’altra, desiderosi di costruire qualcosa. Perché allora non unire le nostre forze per prenderci ciò che ci spettava dalla vita?
La nostra relazione iniziò con calma, Paolo era una persona dolce e raffinata, che non forzava mai la mano. Sembrava che quando si presentava l’occasione, sia io che lui trovassimo tanto più piacevole e rilassante continuare a chiacchierare piuttosto che buttarci uno nelle braccia dell’altra. Fino a una sera in cui mi invitò a casa sua per una cena a base di ostriche, caviale e champagne. Nell’aria un’atmosfera complice e frizzante. Ma dopo l’aperitivo e tutte le prelibatezze, quando nulla sembrava frapporsi tra noi e il momento fatidico, realizzai di non essere particolarmente attratta da lui.
Ero emozionata certo, ma più per la novità della situazione che per la passione e il desiderio di lui. In ogni modo cercai di lasciarmi andare, malgrado anche Paolo non mostrasse un particolare ardore nella nostra intimità.
“È una questione di chimica, sono certa che col tempo mi sbloccherò e riuscirò a sbloccare anche lui” pensavo fiduciosa. In fondo lo trovavo elegante, educato, molto simile a me e se il mio cuore non batteva com’era successo per altri prima di lui, con il tempo avrebbe cominciato a farlo e insieme avremmo fatto scintille. Ne ero certa. Perciò continuammo a frequentarci.
Dopo sei mesi, andammo a convivere e dopo un anno decidemmo di sposarci. Abito bianco, chiesa, damigelle, tanti invitati. Seguire la tradizione anche in questi dettagli mi faceva sentire benissimo, mi dava un senso di profonda sicurezza.
Paolo era come un amico, un fratello che incarnava la stabilità che stavo cercando. E poi in fondo insieme condividevamo tanto: la gioia di lunghe passeggiate in montagna, il buon cibo, i buoni vini.
Così quando mi chiese di interrompere la pillola, due mesi dopo ero incinta del nostro primo figlio, Luca. Eravamo radiosi. Io avevo coronato un sogno e fermato le inesorabili lancette del tempo, mentre lui, oltre alla gioia di diventare papà, finalmente era stato in grado di dare un nipotino ai suoi genitori. A parte la gravidanza, il nostro rapporto era sereno senza alti e bassi, molto tranquillo e per consolarmi dell’assenza di magia mi ripetevo: ”Non si può avere tutto, passione e sicurezza. La brama amorosa brucia come paglia nel fuoco e si consuma”.
Questo era quello che mi raccontavo almeno, fino al giorno in cui la mia cara amica Betta, che viveva in una città più a nord dove avevo abitato anch’io durante gli anni del liceo, mi chiamò per dirmi che sua mamma, alla quale ero molto affezionata, era morta.
Avevo partorito da poco e pensai che potesse essere una buona occasione per farle vedere il nostro bambino e per cercare di consolarla.
Il funerale fu molto commovente e una volta finito per me fu come fare un tuffo nel passato. Dopo aver salutato tanti vecchi amici, sentii una mano sfiorarmi il braccio con cui reggevo Luca e qualcuno che sussurrava: «Ciao, ti ricordi di me?».
Mi voltai. Come avrei mai potuto dimenticare Aurelio? Io e lui al liceo,io e lui in moto,io e lui e i baci,io e lui e le carezze,io e lui e i nostri corpi. Poi la sua partenza per un’altra città per frequentare la facoltà di veterinaria e la mia per raggiungere la nuova destinazione di mio padre nel sud del paese. Le mie lacrime che non si arrestavano nonostante le poche lettere e le rare telefonate e infine l’oblio. Eravamo solo due ragazzi troppo giovani contro la vita che ci travolgeva.
«Vivi di nuovo qui o sei di passaggio?» gli chiesi emozionata.
«Sono il veterinario del paese, sono molto richiesto… Anche perché sono il solo» rispose ridendo.
Ci sedemmo su una panchina e mi raccontò di sé, della sua attività, di alcuni amici comuni, del fatto che ancora non aveva una relazione stabile. Tremava dall’emozione. Era affascinato da mio figlio. Mi chiese di me e della mia famiglia. Fu così piacevole che ci lasciammo con la promessa di rivederci e ci baciammo sfiorandoci le labbra, con una naturalezza disarmante.
Ripartii e ripresi la mia vita con tutta la buona volontà, anche se l’incanto provato non mi lasciò più. Ero divisa in due. La notte non facevo che rivivere l’incontro con Aurelio per provare nel buio le stesse emozioni, mentre di giorno portavo avanti la mia famiglia facendo del mio meglio per essere una buona moglie e madre.
Paolo, dal canto suo, era pieno di qualità, un padre attento, affettuoso, propositivo, niente da rimproverargli, ma il nostro rapporto non
andava oltre, rendendo evidente che tra noi non ci fosse intimità, che la famosa scintilla, ahimè, non fosse mai scoccata. Addirittura, per
via della sua insonnia, eravamo arrivati a dormire separati, in modo che lui non potesse svegliarmi durante le sue agitate nottate in bianco. Capitava raramente di stare insieme e condividere lo stesso letto e fu proprio una di quelle volte che rimasi incinta del mio secondo figlio. La gravidanza mi faceva bene, mi sentivo in forma e piena di vitalità. Tanto che quando venni invitata alla messa in suffragio per la mamma di Betta a un anno dalla morte, non ebbi difficoltà ad accettare con piacere di guidare fino al paese per partecipare alla celebrazione. Questa volta non portai mio figlio con me, mi sembrava sufficiente averne un altro nel pancione pronto a nascere di lì a due mesi. Quando Aurelio mi vide mi venne incontro con gli occhi sgranati e un grande sorriso.
«Sei bellissima».
«Enorme vorrai dire, ma sto bene, adoro la gravidanza. Per me è un periodo fantastico.Vorrei non finisse mai». «Non ti bastano nove mesi? Dovevi nascere elefante, almeno ne avresti avuti 22 per goderti il pancione» mi rispose ridendo.
La sua vicinanza mi faceva toccare il cielo con un dito anche solo passeggiando con lui lungo il viale alberato, in silenzio. Quei momenti erano magici ed ero felice di poterli condividere con un amico del passato. O almeno era così che me la raccontavo.
Aurelio era affettuoso, mi prendeva per mano, mi prestava la giacca per paura che il vento primaverile mi raffreddasse, mi offriva pasticcini dal sapore antico insieme a tisane calde. Avevo la sensazione che tutto ciò fosse pulito, trasparente, plausibile nonostante al momento di salutarci, come la volta precedente, ci baciammo sulle labbra con una tale naturalezza da stupirci entrambi.
«Non so cosa sia esattamente questa cosa» riuscii a dire. «Qualcosa di bello, di certo» mi rispose lui accarezzandomi la guancia.
«Aurelio ho una famiglia, un figlio e un altro in arrivo, detesto fare l’amante, i sotterfugi, le telefonate in bagno, i messaggini letti e cancellati… Non voglio, non mi appartiene e soprattutto non è mia intenzione rovinare la vita dei miei cari».
«E non la rovinerai, ma almeno vediamoci una volta l’anno. Un solo giorno, per la commemorazione della mamma di Betta. Dopo la messa, il tempo che staremo insieme sarà il nostro regalo. Durante tutto l’anno non ci telefoneremo e non ci scriveremo. Niente sotterfugi. Ci troveremo qui e basta, su questa piazza, ogni anno, lo stesso giorno».
Lo guardai allibita prima di annuire felice. Perché se era vero che non volevo gettare ai rovi quanto avevo costruito, era anche vero che sentivo nel profondo di aver bisogno di quell’appuntamento e di non poter rinunciare a quell’unica occasione di intima felicità. Con quella nuova prospettiva la mia vita riprese, il bambino nacque e fu una vera gioia in famiglia. Per me avere due piccoli a cui dedicarmi riempiva tanti vuoti e mi faceva crollare a letto stanca e senza troppi pensieri facendo volare via un altro anno a ritmo di poppate, pappette e carrozzine.
A mano a mano si avvicinava la data del nostro incontro mi sentivo sempre più eccitata, felice, riposata. Malgrado non ci fossimo sentiti, non mi aveva mai sfiorata il benché minimo dubbio. Il giorno della messa per la mamma della nostra amica, Aurelio sarebbe stato lì. E infatti, lo trovai sulla piazza ad attendermi con il sorriso più seducente del mondo.
«Sei venuta!» disse abbracciandomi di slancio. Finita la commemorazione e dopo aver salutato Betta, Aurelio mi prese per mano, salimmo in macchina e senza neanche una parola mi portò da lui, nella sua casa sul lago, troppo grande e vuota per uno scapolo, che riempimmo di noi. E per incanto fu come ai tempi del liceo, di nuovo io e lui e i baci, io e lui e le carezze, io e lui e i nostri corpi. Dopo anni, per la prima volta risentii accendersi dentro un trasporto e una passione dimenticati che all’improvviso mi parvero vitali, indispensabili, sicuramente necessari a farmi arrivare al nostro prossimo incontro. Nel tardo pomeriggio ci salutammo con la medesima promessa: nessun contatto, stesso posto, stesso giorno, stessa ora. Promessa che mantenemmo per molti anni. Nessuno di noi mancò mai a quell’appuntamento.
Intanto i figli crescevano, il lavoro che avevo ripreso mi dava tante soddisfazioni, solo il rapporto con Aurelio sembrava essersi fossilizzato. Era sempre gentile, garbato, un buon padre per Luca e Andrea e un amico per me, ma nulla di più e tra l’altro sentivo che anche lui non era pienamente soddisfatto. L’evidenza fu innegabile la volta in cui i bambini partirono con i nonni per una settimana e, soli a casa insieme, trovammo il modo di non condividere un solo pasto né tanto meno il letto coniugale. Ero combattuta da diversi sentimenti, oscillavo tra frustrazione, rabbia e impressione di non apprezzare ciò che avevo. In fondo, le confidenze delle mie amiche, dopo la passione iniziale, mi rassicuravano. Alla fine, avevo solo saltato le fasi dell’amore e della passione iniziale, ma eravamo arrivate tutte allo stesso punto.
Solo l’approssimarsi del momento di rivedere Aurelio mi risollevava. Come sempre anche quell’anno lo trovai su quella piazza ad aspettarmi col suo sorriso. Ormai avevamo la nostra routine che, dopo gli aggiornamenti di un intero anno, ci vedeva abbracciati nella camera da letto della sua casa sul lago sempre troppo grande e vuota. Quel giorno però al momento di salutarci sentivo un peso sul cuore, una tristezza di fondo nel lasciarlo andare che non avevo mai provato le volte precedenti, ma dovevo tornare e lui mi abbracciò più forte con le solite raccomandazioni, di cui il destino quella volta non tenne conto.
Partii al solito orario, la strada la conoscevo ormai a memoria, ma a una curva a gomito un’auto proveniente dalla corsia opposta sbandò e mi prese in pieno. Mi risvegliai in ospedale, non so come, un po’ ammaccata ma viva. Un vero miracolo. Pregai, ringraziai il cielo a lungo e mai come allora percepii con chiarezza quanto la vita fosse preziosa e per questo andasse onorata vivendola appieno. Non ero condannata a rimanere incatenata in una gabbia d’oro, sia io che Paolo avevamo il diritto di cercare una felicità autentica.
Per darmi coraggio non facevo che ripetermi “Guarisci e separati“. Quello che volevo ora era tornare a vibrare di nuovo e che i miei figli mi vedessero felice come sapevo di poter essere. Era il miglior regalo che potessi fare loro, per la loro futura vita amorosa.
Mi ci volle ancora un intero anno per lasciare Paolo nel modo più indolore possibile per i ragazzi, però ci sono riuscita e oggi noi due continuiamo a essere amici. Lui ha incontrato una donna con la quale sembra molto felice, mentre io e Aurelio siamo in attesa di un figlio, una femmina, che i suoi due fratelli più grandi non vedono l’ora di accogliere nella casa sul lago che troppo ampia e vuota adesso non è più. ●
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