Una delle storie vere più apprezzate del n. 15 di Confidenze è “Verso un nuovo amore” di Carmelita Fioretto. Ve la riproponiamo sul blog.
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Un colpo di fulmine mi ha reso felice, e soprattutto mi ha convinto che non si sarebbe mai potuto ripetere, neppure dopo il suggello della morte. Ma ci sono bufere che si scatenano senza preavviso. E non lasciano scampo
Storia vera di Laura C. raccolta da Carmelita Fioretto
«Sei proprio sicura, Laura?».
Nel dirlo, la mia amica Justina mi stringe forte le mani e mi guarda dritto negli occhi.
Siamo sedute ai tavolini all’aperto del caffè A Brasilera, in rua Garrett, nel quartiere storico dello Chiado. La luce calda, dorata e densa del pomeriggio avvolge ogni cosa in una sorta di magia. Una luce così la trovi solo qui, a Lisbona.
È strano come a volte nella vita, a distanza di tempo, le situazioni si ripetano.
Dieci anni fa a Milano, poco prima che andassi a vivere con Felipe a Lisbona, mio fratello Enrico mi ha detto le stesse identiche parole.
«Sei proprio sicura, Laura?».
Ero sicura perché non avevo mai amato e desiderato così tanto un uomo. Ero pazza di Felipe e avrei fatto qualunque sacrificio, superato qualsiasi difficoltà per stare con lui.
I miei genitori erano mancati già da qualche anno, ma a Milano avevo comunque mio fratello, i miei due nipotini, gli amici, il lavoro, tutte le mie abitudini, i miei interessi.
Per Felipe ho lasciato tutto.
Ho conosciuto sua sorella Luna a un corso di yoga. Alla fine della lezione, andavamo a bere una birra insieme e siamo diventate amiche.
Luna, che lavorava a Milano, tornava spesso in Portogallo e quell’estate mi ha invitata ad andare con lei. Ho tergiversato un po’ prima di accettare. Avevo la prospettiva di una vacanza, a cui avrebbe partecipato anche un ragazzo che mi interessava parecchio. Poi quell’opportunità però è sfumata, così sono andata in Portogallo con Luna.
Era destino e contro il destino non si può nulla.
Felipe era ad accoglierci all’aeroporto.
L’attrazione e l’intesa tra noi sono state immediate, fortissime. Un vero e proprio colpo di fulmine.
Felipe non era bello, ma l’ho trovato subito straordinariamente attraente. Mi piacevano gli occhi scuri, profondi, ardenti e il sorriso accattivante, luminoso. Ma, soprattutto, mi sembrava speciale come nessun altro prima e mi piaceva la sua energia, il suo entusiasmo per la vita.
Il ricordo di quei giorni emerge dalla memoria in immagini dense di luci, di colori e anche di suoni. Tra tutti lo scampanellio dei tram su e giù per le stradine ripide di Lisbona.
Felipe gestiva con il fratello Joel la pasticceria che era stata del padre. Che delizia i pasteis de nata e quelli de Belem, las bolas de Berlim, l’azevias!
Nel laboratorio sul retro mi inebriavo del profumo della crema, delle mandorle tostate, dell’aroma delle spezie. E intanto il mio cuore vibrava d’amore per Felipe e il mio corpo per il desiderio del suo.
Con Felipe mi sono immersa nel fascino e la bellezza di Lisbona e nella follia di quell’amore, di quella passione che sembrava avere i giorni contati sin dall’inizio. Sapevo che dopo avrei sofferto, ma non mi importava. I sentimenti, le emozioni sono doni della vita che vanno vissuti senza paura.
Finita la vacanza, all’aeroporto non riuscivamo proprio a staccarci l’uno dall’altra. Stretta a lui mi struggevo per quello che credevo l’ultimo abbraccio, l’ultimo bacio.
Invece la nostra storia era destinata a durare.
Sono tornata più volte a Lisbona, Felipe è venuto più volte in Italia. Tra telefonate, sms, email e incontri su Skype, la comunicazione era continua, anche se stare vicini, toccarci, sentire il respiro, le vibrazioni l’uno dell’altra era tutta un’altra cosa, era speciale.
Lontana da lui stavo male, ero triste e vuota e, soprattutto, avevo paura di perderlo. Mi sembrava impossibile che quella storia a distanza potesse durare.
Lo dicevo anche a Felipe e lui replicava: «Nos sonhos e no amor não há lugar para o impossíve!».
Nei sogni e in amore non c’è posto per l’impossibile. E poi una notte, lo squillo del telefonino mi ha svegliato di soprassalto.
«Vuoi sposarmi?» mi ha chiesto la voce di Felipe.
Per un attimo ho pensato di sognare, ma sogno o realtà la mia risposta non poteva essere che quella del cuore: «Sì». Così ci siamo sposati e io mi sono trasferita a Lisbona.
I miei tre anni con Felipe sono stati uno stupendo, dolcissimo sogno. Certo non sono mancati incomprensioni e litigi, ma erano burrasche passeggere.
È stata dura imparare il portoghese, ambientarmi in una città che non vivevo più come turista però ero piena di entusiasmo.
A Lisbona mi sono fatti nuovi amici, ho trovato lavoro in una libreria. Felipe mi ha insegnato ad amare l’anima del suo Paese e la musica struggente del fado, che canta l’amore, il mare, Lisbona, il tempo che fu, pervasa da quell’indefinibile malinconia, nostalgia che i portoghesi chiamano saudade.
Ero felice. L’unica ombra era quel figlio che desideravamo tanto e non arrivava.
E poi una mattina mio cognato Joel mi ha telefonato al lavoro. Dalla voce agitata, ho capito subito che era successo qualcosa di brutto. Felipe si era accasciato all’improvviso in pasticceria. Un infarto non gli aveva dato scampo.
Per mesi sono stata risucchiata nel gorgo della disperazione. Se non sono impazzita, lo devo al sostegno della famiglia di Felipe, dei nostri amici e soprattutto a Justina, che mi è stata vicina più di tutti. Per molto tempo sono stata arrabbiata con Dio, con il mondo intero e anche con Felipe, che mi aveva lasciata senza il tempo di dirgli almeno addio. Non riuscivo a rassegnarmi, ad accettare la sua morte. La notte, nonostante il sonnifero, mi svegliavo in preda all’angoscia e poi attraversavo le giornate come una zombie. La realtà era un incubo da cui avrei voluto svegliarmi. Forse la gente si aspettava che tornassi in Italia, ma io non potevo lasciare la città dove ero stata felice con Felipe, dove lui era sepolto. Ero convinta che non avrei più potuto vivere in nessun altro posto.
Gli anni sono scivolati via, una stagione dopo l’altra. La vita tentava di imprigionarmi di nuovo nella sua rete, ma io lottavo per non farmi catturare, anche se ormai non mi sentivo più in colpa quando rincasavo da un’allegra serata con gli amici.
C’erano giorni bui nei quali Felipe mi mancava così tanto da scoppiare in singhiozzi. I suoi vestiti erano ancora nell’armadio, ogni sua cosa in giro per la casa dove l’aveva lasciata, quasi potesse rientrare da un momento all’altro. Eppure, a volte avevo l’impressione che i ricordi incominciassero a sbiadire. Non ero certa di ricordare il suono della sua voce. Mi crucciavo molto per questo.
Mi sono scandalizzata e arrabbiata la volta in cui Justina mi ha detto: «Felipe è mancato ormai da cinque anni, perché non provi a frequentare qualcuno? Sei troppo giovane per restare sola, puoi rifarti una vita, avere dei figli».
Non era la sola, anche altri amici, anche mio cognato mi davano lo stesso consiglio.
Io invece ero convinta che nessuno avrebbe potuto sostituire Felipe nel mio cuore. Così se qualcuno mi corteggiava, lo scoraggiavo subito chiudendomi a riccio e giuravo a me stessa che non avrei mai tradito la memoria di Felipe e il nostro amore, anche perché non avrei mai potuto amare, desiderare un altro uomo come avevo amato e desiderato lui.
A mia nipote Federica non sono mai riuscita a dire di no, così, nonostante qualche perplessità, ho accettato di ospitare la sua amica Simona che veniva a Lisbona per l’Erasmus. Avevo visto Simona solo in alcune foto che Fede aveva postato su Facebook: una morettina molto graziosa, dal sorriso impertinente ma dallo sguardo malinconico, dolce, anche se un po’ troppo truccata per i miei gusti.
Suo padre mi ha telefonato subito per ringraziarmi.
«Forse sono un padre troppo apprensivo, ma mi sento più tranquillo a non saperla in un pensionato studentesco» mi ha spiegato.
Mi ha anche inviato in dono uno stupendo vaso di vetro di Murano.
Simona si è ambientata e inserita subito nell’ambiente universitario di Lisbona. Con me era gentile, educata e presto, nonostante la differenza di età, tra di noi si è creata una bella amicizia. Non usava casa mia come un albergo, teneva in perfetto ordine la sua cameretta e la sera spesso si divertiva a cucinare con me. L’appartamento con lei sembrava ridiventato luminoso e vivo. La domenica spesso uscivamo insieme, ci facevamo lunghe chiacchierate parlando di tutto e lasciandoci andare entrambe a qualche confidenza. Trovavo che Simona fosse stata educata proprio bene, eppure era cresciuta senza la madre, mancata quando lei era ancora così piccola da non averne quasi ricordo.
«Papà è meraviglioso» mi ha confidato, «Però ci sono cose che non riesco proprio a dirgli, consigli che non gli posso chiedere. Mi ripete che posso parlargli di tutto, ma è… un uomo!».
Un’altra volta mi ha detto: «È dura essere figlia unica. Non sai quante volte ho consigliato a papà di risposarsi! Mi ha sempre risposto che nessun’altra donna potrà mai sostituire la mamma nel suo cuore. È mai possibile che continui ad amarla così dopo tanto tempo?».
Io lo capivo perfettamente.
Erano già cinque mesi che Simona stava da me, quando Piero è venuto a trovarla. È rimasto solo per pochi giorni, alloggiando in un hotel vicino a casa mia. Mi è stato simpatico sin dal primo incontro. Simona lo ha portato alla scoperta di Lisbona. Io li raggiungevo dopo il lavoro per bere la Ginjinha, un liquore a base di amarene, in uno dei bar di Praça Dom Pedro IV. E poi via a mangiare gamberoni e baccalà in uno dei ristorantini sulle rive del Tago.
L’ultima sera di Piero con noi, ho insistito per cenare a casa mia. All’inizio, non so perché, ero un po’ tesa, imbarazzata poi piano piano mi sono rilassata. Abbiamo scherzato e chiacchierato piacevolmente tutti e tre insieme. È stato mentre Piero stappava una bottiglia di vino che, come in un lampo, ho pensato che noi tre in quel momento sembravamo quasi una famiglia, come quella che Felipe aveva sognato di avere proprio in quella stessa casa. È stato come un colpo al cuore e mi sono morsa le labbra per non piangere.
«Qualcosa non va?» mi ha chiesto Piero.
Mi ha colpito che si fosse accorto del mio turbamento.
Nelle settimane seguenti, non dico di avere sofferto la sua mancanza, ma piuttosto qualcosa di simile a un vago disagio, a una disarmonia. Spesso mi tornava in mente qualche frase che aveva detto, oppure rivedevo il suo sorriso.
Poco prima che Simona partisse per le vacanze, mi è arrivato inaspettato il suo invito ad andare con loro all’Isola d’Elba, dove ogni estate prendevano in affitto una villetta.
Avevo già in programma con alcuni amici un giro dell’Algarve, nel sud del Portogallo, ma ho cambiato idea, malata all’improvviso di un’intensa nostalgia dell’Italia e sono andata all’Elba.
Dalla villetta di Piero si godeva una vista stupenda della macchia mediterranea e del mare.
Che giorni splendidi sono stati quelli! Simona stava poco con noi, preferendo la compagnia dei coetanei, ma Piero aveva un suo gruppetto di amici davvero simpatici. Stavo bene con loro, ma soprattutto stavo bene con lui. Quasi sempre, dopo una piacevole serata in compagnia, noi due ci sedevamo sulla terrazza a conversare, godendoci la notte e i suoi profumi inebrianti.
A volte uscivamo sulla sua piccola barca a vela e allora, avvolta dall’azzurro e dal sole, avvertivo una sensazione di libertà ma anche di serenità, che non provavo da tanto.
Una notte ho sognato di fare l’amore con Piero. Era irruente, appassionato, ma anche dolcissimo e io lo desideravo. Cielo come lo volevo! Emozioni, sensazioni quasi dimenticate mi illanguidivano tutta. La sua bocca, le sue mani lungo il mio corpo… mi sono svegliata sudata e sconvolta. Non sono riuscita a riaddormentarmi.
Il sogno era stato così vivido e reale che quando al mattino ho visto Piero, sono arrossita stupidamente. Lui con me era sempre stato gentile, a volte persino affettuoso, ma nulla di più. Ero sollevata che ormai mancassero solo due giorni alla fine della mia vacanza.
E poi, proprio l’ultima sera, lì sulla terrazza, Piero mi ha attirata a sé e mi ha baciata. Mi sono aggrappata a lui. È stato un bacio rovente, appassionato. Quando le nostre bocche si sono staccate, sono rimasta qualche secondo appoggiata contro il suo petto. Sentivo il suo cuore battere forte. Poi, mi sono staccata dolcemente da lui e sono corsa in camera mia. Appoggiata contro la porta chiusa, volevo che mi raggiungesse e al tempo stesso volevo che non lo facesse. Dopo qualche minuto, l’ho sentito parlare con Simona che rincasava. Allora ho chiuso la porta a chiave.
Il giorno dopo non c’è stato modo di dirsi nulla, anche perché ho fatto in modo di non rimanere da sola con lui. Sino a quando sono salita sul traghetto, Simona è stata sempre tra noi. Il saluto con Piero è stato un abbraccio veloce, uno sfiorarsi appena le guance con le labbra. Eppure, anche quel breve contatto mi ha turbato.
Durante il viaggio e poi di nuovo a Lisbona, ho riflettuto a lungo. Dentro di me una bufera di emozioni, di sentimenti. Soprattutto, mi sentivo in colpa verso Felipe, mi sembrava di avere come tradito il nostro grande amore, che avrebbe dovuto essere più forte della morte e del tempo.
Avevo appena deciso di non dare importanza a quel bacio, di dimenticarmene quando è arrivata la lettera.
Dio mio, una lettera! Chi scrive più lettere al giorno d’oggi? Invece, Piero l’ha fatto per dichiararmi il suo amore.
“… dopo la morte di Sara ho creduto per tanto tempo che non mi sarei mai più innamorato di nessun’altra, invece adesso sono innamorato di te”.
Ho letto e riletto mille volte quella lettera. Emozioni e sentimenti avevano rotto gli argini e dilagavano nel mio cuore. Non potevo più negarmelo: anch’io ero innamorata di lui.
Sono andata al cimitero da Felipe e sono rimasta a lungo a parlare con lui.
«Non ti dimenticherò mai» gli ho detto tra le lacrime prima di andarmene: «Non smetterò mai di amarti. Sarai sempre dentro di me, ovunque andrò».
Seduta in Praça Dom Pedro IV, sorseggiando una Ginjinha, ho mandato a Piero un sms con una sola parola: Vieni!
E lui è venuto.
Tutto questo accadeva poco meno di un anno fa.
«Sì, sono sicura» rispondo a Justina, con un sorriso.
Perché dopo Felipe non ho più amato e desiderato così tanto un uomo. Sono pazza di Piero e pronta a fare qualunque sacrificio, a superare qualsiasi difficoltà per stare con lui. Domani lascerò Lisbona. È arrivato il momento di andare, verso una nuova vita, una nuova felicità, un nuovo amore.
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