Volontario per caso

Cuore
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Vi riproponiamo nel blog “Volontario per caso”, la storia vera di Elisabetta Angelotti pubblicata sul n. 34 e più votata dalle lettrici

 

Storia vera di Paolo F. raccolta da Elisabetta Angelotti

 

Mi svegliai nel mio letto con una forte cefalea. Non ero solo. C’era una ragazza che dormiva accanto a me. La sera precedente l’avevo rimorchiata in discoteca, ma non ricordavo neppure il suo nome. Avevo bevuto qualche cocktail di troppo. Era domenica e non dovevo andare in ufficio. Comunque mi alzai dal letto e andai in bagno. Dopo aver ingoiato una compressa di aspirina e aver fatto una lunga doccia, rientrai in camera.

La ragazza, che avrà avuto poco più di vent’anni e che avrebbe potuto essere mia figlia, aveva iniziato a rivestirsi. Nonostante la mia attrazione innata per le donne formose, pensai che questa era davvero troppo piena. Non mi piaceva per niente.

Lei mi salutò e io le risposi con un cenno del capo.

Mi disse che non aveva tempo di fare la doccia perché doveva rincasare. Il suo fidanzato era un militare e nel pomeriggio sarebbe rientrato da una missione.

Poi mi chiese se ci saremmo visti ancora. Le spiegai che era stata un’avventura e non ero interessato a rivederla. Sinceramente ero disgustato dall’alcol che avevo ingerito, dal corpo della ragazza e dalla fame di sesso che mi aveva assalito da quando avevo divorziato da mia moglie.

La ragazza continuò a fissarmi.

«Che vuoi ancora?» le domandai: «Mi pare che sia tutto chiaro».

«Voglio 300 euro per le mie prestazioni sessuali» replicò, determinata: «Hai più di quarant’anni. Potresti essere mio padre. Pensi forse che sono venuta a letto con te per il tuo fascino?».

Sapevo benissimo che voleva essere pagata perché avevo rifiutato di frequentarla. Comunque le diedi il denaro e la invitai a lasciare il mio appartamento.

Uscii sul terrazzo per respirare una boccata d’aria. Era una giornata soleggiata e il paesaggio luminoso della Versilia con il suo mare e le sue spiagge mi fecero dimenticare per un istante lo spiacevole episodio.

Come tutte le domeniche mi recai a pranzo dai miei genitori e, durante il tragitto in automobile, pensai che era giunto il momento di cambiare vita. Annalisa, la mia migliore amica, cercava sempre di convincermi a farlo e poi se mia madre e mio padre avessero soltanto immaginato di avere un figlio così depravato…

Entrambi erano persone serie, che avevano improntato la loro vita al rispetto di molti valori e che si erano adoperati per fare del bene al prossimo.

Sì, erano benestanti, ma non tutte le persone facoltose si interessano dei poveri della parrocchia o impartiscono lezioni gratuite ai ragazzi.

Dovevo cambiare per loro ma soprattutto per me stesso. Era da tempo che me lo ripetevo, ma non accadeva mai.

 

La svolta avvenne in occasione della morte improvvisa di mia madre, un paio di mesi dopo l’episodio che ho appena raccontato.

Venni attanagliato da un dolore atroce e da molti sensi di colpa. Pensai che, anziché trascorrere tante serate in discoteca in compagnia di amici che non stimavo e di ragazze facili, avrei potuto andare più spesso a fare visita ai miei genitori. Mi volevano molto bene e sarebbero stati felici di avermi con loro.

Per prima cosa decisi di andare a vivere con mio padre. Era rimasto solo e la sua amata moglie gli mancava tanto. E poi era anziano e aveva bisogno di un po’ di compagnia. Sì, mia zia gli preparava i pasti e una ragazza teneva in ordine la casa, ma aveva bisogno del mio sostegno.

Poi un giorno incontrai un amico, presidente di una società di volontariato, e mi chiese se ero disponibile ad aiutarlo.

E così andai a dare un’occhiata a quell’organizzazione di stampo cattolico e decisi di dare una mano, una volta alla settimana, servendo in tavola alla mensa.

Ma il volontariato non è solo far funzionare la mensa e distribuire abiti usati. Pasti caldi sì, ma accompagnati da una parola, da un gesto, per far capire ai più sfortunati che c’è qualcuno che li aiuta e li sorregge.

Vivere in strada non è una scelta di vita, ma una condizione alla quale molte persone giungono a seguito di situazioni dolorose e inevitabili.

E se fino agli ultimi cinque anni il triste primato dei più assidui frequentatori delle mense dei poveri era dei rumeni, adesso è conteso dagli italiani sempre più in costante aumento.

Ormai le mense sono popolate di italiani. Sono uomini e donne senza lavoro, che hanno più di quarant’anni e ammettono di trovarsi in uno stato di bisogno. L’indigenza può riguardare intere famiglie: alla mensa ho visto anche padri divorziati con i figli.

Dobbiamo cercare di fare fronte alle richieste di chi un tempo, neppure tanto lontano, apparteneva alla borghesia.

Si tratta di piccoli imprenditori, professori, commercianti: nuovi poveri che percorrono il Desolation row (il vicolo della desolazione), di cui Bob Dylan parla nella sua celebre canzone.

Anche le persone che non prestano volontariato possono aiutare l’associazione donando denaro, cibo e vestiario. Se gli abiti sono ancora in buono stato, li diamo ai nostri poveri, altrimenti vanno al macero e riceviamo in cambio esigue somme di denaro. Molti commercianti di generi alimentari e alcuni supermercati ci regalano il cibo deteriorabile o prossimo alla scadenza.

Molti italiani credono di essere buoni soltanto perché sono favorevoli all’arrivo dei barconi e allo sbarco continuo di migranti ma, a parer mio, la vera bontà d’animo non si manifesta con i discorsi o i link su Facebook, ma facendo qualcosa di concreto.

 

Sono trascorsi più di sei anni da quando ho iniziato a prestare volontariato e posso garantire che da noi non vengono soltanto persone oneste.

Abbiamo anche dei tossicodipendenti e degli alcolizzati ma, dato che «La porta del Signore è sempre aperta a tutti» (così ha affermato papa Francesco nella messa in Santa Marta il 10 dicembre 2013), noi abbiamo l’obbligo di accogliere chiunque.

Visto però che talvolta alcuni nostri ospiti hanno causato delle risse, non permettiamo alle signore di servire a tavola. Le donne cucinano, lavano i piatti, lavorano nell’ufficio. È giusto che siano tutelate.

Ricordo ancora la mia prima serata alla mensa. Naturalmente ero un po’ titubante e nutrivo qualche pregiudizio. Trovai anziani con il reddito che non permetteva loro di arrivare a fine mese, barboni che avevano voglia di raccontare come erano finiti a vivere per strada, immigrati che abitualmente si incontravano là e facevano gruppo.

Fu una serata bellissima. Quando rientrai a casa, piansi perché ero lieto di aver fatto qualcosa per gli altri. Inoltre non mi pareva giusto che io avessi tutto e quelle persone fossero costrette a condurre una vita così difficile.

Ormai anche mio padre se n’è andato. Ho trovato una compagna e, dopo un periodo di convivenza, l’ho sposata e in me non c’è più nulla del Paolo che era stato all’Espuma party dell’Amnesia di Ibiza, aveva soggiornato nella trasgressiva Mykonos, aveva frequentato il Quartiere a Luci Rosse di Amsterdam e aveva provato persino l’esperienza dello scambio di coppia.

Insomma sono molto cambiato e se, come credo, i miei genitori da lassù sono in grado di vedermi, saranno senza dubbio fieri di me.

Confidenze