Zero in cucina

Cuore
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Mancava mezz’ora all’arrivo degli ospiti e non c’era niente di pronto. Il pranzo rischiava di trasformarsi in disastro. Immaginavo già la faccia di mia suocera... Invece a distanza di anni quel Natale ce lo ricordiamo come il più bello di tutti!

STORIA VERA DI DILETTA F. RACCOLTA DA MAURIZIO RIBOLDI

Nonostante tutto, credo che il Natale del 2012 sia stato uno dei più belli della mia vita.

Avevamo appena traslocato nella casa nuova più grande che mia suocera ci aveva generosamente aiutato a comprare: i bambini avevano cinque e sette anni e un po’ di spazio in più serviva. Finalmente c’era una sala da pranzo dove far entrare un tavolo lungo di noce, regalo dei miei genitori, rimasto per anni in cantina.

Avevamo inaugurato la nuova casa con una cena tra amici ed era stata un successo, anche perché è molto più comodo mangiare seduti anziché in piedi con in mano piatti e posate come accadeva nella nostra casetta di prima. Insomma, un po’ lo spazio accogliente e un po’ la gratitudine, mi era venuto naturale proporre che il pranzo di Natale fosse fatto a casa nostra. Per un anno, mia suocera avrebbe riposato!
Il Natale della bassa padana, dove viviamo, non ammette varianti o eccezioni di nessun tipo: antipasto misto con giardiniera di verdure, marubini in brodo, gallina lessa ripiena e contorni tra cui, immancabili, gli spinaci al burro, uva ben augurante, panettone servito con le creme a parte, gialla e al cioccolato. Il problema quindi non era pensare al menu, figlio di una tradizione sacra e millenaria, ma, per me che vengo dal sud, confezionare ad arte questi piatti, già mangiati nei dieci Natali precedenti senza essermi preoccupata, però, di imparare come si cucinassero.

Con l’aggravante che mia suocera è una cuoca sopraffina. La fortuna delle cuoche moderne, però, esiste e si chiama Youtube dove,a differenza dei classici libri di cucina, si possono trovare anche le ricette antiche e tradizionali rivisitate e semplificate per cuoche imbranate come me. Devo dire che, dopo aver trovato la ricetta filmata dei marubini, variante locale dei tortellini di carne, la tentazione di comprarli già fatti era stata fortissima: ho però pensato a mia suocera, cui dovevamo tanta riconoscenza e che, soprattutto, se ne sarebbe accorta subito pensando che non avevo voluto cucinare per lei… insomma, mi ci sono messa con determinazione. Fare la pasta all’uovo, pensavo, non è difficile: certo, vengo da una terra di pasta di semola di grano duro, ma le tagliatelle e i tagliolini all’uovo sono arrivati anche là. Fatta.

Un grosso problema era stato il ripieno, per la quantità di cose che servivano e che si dovevano ben amalgamare, per la cottura lentissima e il giusto mix di sapori. Ma il ripieno mi risolveva anche il secondo, in quanto la gallina nostrana va riempita con quello e poi cucita, per evitarne la fuoriuscita, per poi lasciarla bollire dalle tre alle quattro ore a seconda della grandezza dell’animale. La giardiniera l’avevo comprata in gastronomia per mancanza di tempo, gli affettati erano pronti, gli spinaci al burro non mi avevano creato problemi. Farcita e cucita la gallina – anche se nessuno ti spiega che cucire la gallina è difficilissimo perché l’ago buca la pelle, poi diventa unto e ti sfugge dalle mani – riempito un pentolone d’acqua, messi cipolla carote e sedano, avevo piazzato il tutto sul fuoco senza più dovermene preoccupare. Come dice mia suocera “della gallina te ne dimentichi, così intanto stendi la pasta e confezioni i marubini”.

Ma se non sei cresciuta con una nonna che ti faceva chiudere i marubini intorno alle tue piccole dita, chiudere quei maledetti e farli più o meno tutti uguali è complicatissimo. Ho combinato un disastro. La pasta prima era troppo spessa, poi tirata troppo sottile – in entrambi i casi, i tentativi me li sono mangiati crudi per non sprecare – finché, finalmente, ho trovato lo spessore giusto. Fare tutti i quadratini, piegarli a triangolo, farli girare intorno al mignolo e chiuderli con la punta del triangolo che si gira, è una cosa che richiede un’abilità pazzesca e anche velocità. Io, che ci mettevo svariati minuti per farne uno, mi trovavo il resto della pasta già asciutto che non si chiudeva. Per cui ogni bordo andava nuovamente bagnato e i tempi si allungavano a dismisura. A ciò va aggiunto che ne dovevo fare 20 a testa: noi siamo quattro, i miei cognati con figlio e mia suocera altri quattro, la mia produzione doveva arrivare ad almeno 160 marubini, numero già spaventoso prima di cominciare e ora, a quasi mezzogiorno con soli 57 fatti, chiaramente irraggiungibile.

Ho chiamato Giulio perché mi desse una mano, ma era peggio di me: non bisognerebbe mai sposare il figlio di una grande cuoca perché non sa fare assolutamente nulla. A parte mangiare e criticare ciò che non è venuto benissimo. Alle 12.15 è stato chiaro che il primo era saltato. Mentre cercavo di capire come rimediare, pensando che per il primo potevo virare su un risotto, usando tutto quel brodo, mi era venuto spontaneo aprire il coperchio per saggiare il punto di cottura. Perché nessuno ti dice che, se compri la gallina al supermercato e non è quella che ha razzolato nell’aia, non ci vogliono tre ore di cottura e forse nemmeno un’ora? Nel brodo galleggiavano pezzi di gallina, anzi ossa scarnificate. Sul fondo della pentola erano finite la polpa e la pelle mentre il ripieno, quello che era stato un ripieno, si era totalmente sciolto nel brodo che presentava una strana consistenza e un sapore del tutto inadatto al risotto.

Sono un ragazza coraggiosa, ma ricordo di essermi messa a piangere mentre Giulio, sorpreso quanto me dell’esito disastroso, cercava di consolarmi. Mancava mezz’ora all’arrivo di tutti e, a parte gli spinaci e gli affettati misti, non c’era nulla da mangiare. Nulla da mangiare a Natale è una delle cose più terribili e imperdonabili e infatti mi sentivo malissimo, terrorizzata immaginando la faccia di mia suocera davanti a quello scempio. Era lì che avevo visto sparire Giulio in cantina e tornare con sacchetti pieni delle nostre provviste di salsicce, wurstel e hamburger congelati. «Mettiamoli nel microonde, facciamo la grigliata di Natale e tu fai anche il purè con le buste, che piace tanto ai bambini!». Giulio è così, pratico, senza fronzoli: mentre, angosciata, ancora pensavo a cos’avrebbero detto mia suocera, i cognati, il mondo intero di questo Natale, lui aveva acceso la carbonella nel patio esterno, perché almeno il clima era stato clemente con me, e aveva iniziato a scaldare le braci.

Ma ciò che è venuto dopo è stato indimenticabile: i bambini, compreso il milanese, erano pazzi di gioia per non doversi beccare marubini e gallina ma, al loro posto, wurstel, hamburger e salsicce con il purè in busta, le cose che preferivano al mondo. Mia suocera, dalla quale mi aspettavo quantomeno una critica, dopo averci sentito raccontare dei disastri in cucina e del salvataggio in extremis del pranzo di Natale, aveva sorriso commossa: «Noi siamo una famiglia unita, questo è ciò che conta».
Da allora abbiamo sempre fatto Natale da mia suocera, marubini perfetti e gallina squisita, ovviamente. Ricordando, però, ogni volta, il 2012, l’anno in cui avevamo riso di vera allegria e sentito tanta gratitudine nel cuore per tutto l’amore che aleggiava nella nostra casa.

 

Pubblicato su Confidenze 1/2020

Foto: Istock

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