Se quest’anno ho imparato qualcosa, è stato vedere la bellezza vicina, che è sempre sotto gli occhi, ma a cui a volte si fa l’abitudine. Un vero peccato, soprattutto quando si ha avuto la fortuna, come me, di vivere in un gioiello come Padova, una città a misura d’uomo, con i canali che si insinuano fra le case come tanti vasi sanguigni che irrorano il suo cuore antico, alimentati dai fiumi Brenta e Bacchiglione. Per capire la città vi consiglio di unire visite culturali e riti classici dei padovani, che raramente rinunciano a uno spritz o alla spesa sulle loro “piazze”.
QUATTRO PASSI NELLA STORIA
Per prima cosa, imperdibile la visita alla Cappella degli Scrovegni (da prenotare!), la più vibrante realizzazione di Giotto, quanto di meglio il Trecento abbia espresso in pittura: emozione pura. Poi, prendetevi un po’ di tempo per passeggiare nei giardini dell’Arena, lambiti dal ramo maestro del Bacchiglione. Sono un’oasi verde piacevole in ogni stagione, a Natale quando brillano di mille luminarie o in primavera, per ammirare le fioriture dai tavolini del bar. Poi, inoltratevi nella sua grande zona pedonale passando sotto alla medievale Porta Altinate. Ho fatto tante volte il “listòn” (in veneto, lo struscio) e non mi stanco mai di vedere la vita intensa che vi si svolge: artisti di strada suonano o inscenano estemporanei spettacoli di marionette per i bambini. In tanti entrano allo storico Caffè Pedrocchi, che per quasi un secolo rimase aperto giorno e notte dando asilo a nobili, intellettuali e popolani, tanto da meritarsi l’appellativo di caffè “senza porte”. Spesso qui si sentono i cori degli studenti che festeggiano un laureato con canti, il “papiro” canzonatorio e… scherzi terribili. Sono tradizioni goliardiche che ricordano come “il Bo” sia una delle Università più antiche del mondo (seconda dopo Bologna), che vale assolutamente una visita per l’imponenza del Cortile Antico e dell’Aula Magna. Due però sono le cose che mi hanno emozionato: la cattedra di Galileo Galilei, che a Padova insegnò dal 1592, e il Teatro Anatomico più antico del mondo, dall’architettura elegantissima.
PER I GOLOSI DI IERI E DI OGGI
Il centro di Padova ha un animo popolare, ma non per questo meno affascinante. A poca distanza dall’Università, confinanti con i vicoli del ghetto ebraico, ci sono “le piazze” delle Erbe, della Frutta e dei Signori. Sono il salotto buono dei padovani: qui tutti si danno appuntamento per fare la spesa, per prendere un caffè o uno spritz o semplicemente per incontrarsi. Tutte le mattine il grande mercato ortofrutticolo e di abbigliamento colora l’antico selciato. L’unicità di questo luogo, però, è sotto al grande Palazzo della Ragione, che divide piazza delle Erbe e della Frutta: al piano terra di quello che per tutti i padovani è “il Salone”, due gallerie ospitano una serie di botteghe alimentari e chioschi di street food con il meglio della gastronomia locale. È un luogo davvero unico con otto secoli di storia, un vero paradiso per i gourmet. Qui si trovano profumati formaggi stagionati, soppresse venete, galline padovane, vini dei Colli Euganei, radicchi e asparagi a seconda della stagione. L’atmosfera è tale che i negozianti, riunitisi in associazione, portano le persone a fare tour con degustazione in giro per il mercato (mercatosottoilsalone.it). All’ora dell’aperitivo, poi, un classico è andare al “Canton de le busie” (l’area dove i commercianti discutevano di affari), presso il chiosco della Folperia. I fratelli Max e Barbara Schiavon proseguono la tradizione dei “folpari” di Padova, cioè i venditori ambulanti di pesce cotto, acquistato dai pescatori veneziani. Si mangia un polpetto (folpetto), qualche uova di seppia, con “n’ombra de vin” del vicino bar Dei Osei, che prende nome dalla scalinata dove un tempo si vendevano uccelli vivi e che sale al primo piano del Palazzo della Ragione. Andate a vederla, è una delle più grandi sale pensili al mondo, con affreschi grandiosi e un autentico pendolo di Foucault allestito dalla facoltà di Fisica dell’Università.
TRA ARTE, FEDE E NATURA
Padova non smette mai di stupire e, come si dice qui, “ha un prato senza erba”. È Prato della Valle, una delle più grandi piazze d’Europa, che, da palude malsana, a fine 1700 venne trasformata in una meraviglia di eleganza, con un’isola ellittica centrale, l’isola Memmia, circondata da un canale e adorna di 78 statue di personaggi illustri legati alla città. Tutto intorno a questo spettacolare spazio destinato a mercati e spettacoli, sono sorti palazzi nobiliari rinascimentali. Ancora oggi a Prato della Valle si tengono concerti estivi, il grande mercato settimanale del sabato e, ogni terza domenica del mese, quello dell’antiquariato (dove si possono fare buoni affari). Un consiglio? Tornateci, di sera: semideserta e illuminata, è davvero magica. A pochi passi dalla piazza spicca “il Santo”, com’è chiamata confidenzialmente dai locali la Basilica di Sant’Antonio, uno dei principali luoghi di pellegrinaggio della fede cattolica, con le sue strane otto cupole di aspetto orientaleggiante e l’energia indescrivibile che assumono i luoghi dove milioni di persone nei secoli hanno pregato o meditato. In una via laterale, seminascosta ai più, un’oasi verde è diventata patrimonio Unesco: è il più antico orto botanico al mondo (del 1545). Nato come orto “dei semplici”, cioè di erbe officinali per la Facoltà di Medicina, ospita piante rare e autentici matusalemme come la “palma di Goethe”, del 1585. Ma qui si studia anche il futuro del mondo vegetale, nel Giardino delle Biodiversità. Le sue moderne serre di vetro ospitano tutti gli ambienti del nostro pianeta, dalla foresta pluviale alle zone aride: un viaggio sulla terra dal punto di vista della vita vegetale, per comprendere quanto le piante e l’uomo abbiano un comune cammino evolutivo. Un work in progress che fa di un luogo antico un laboratorio di ricerca per il nostro avvenire sul pianeta.
Testo di Elena Bianco pubblicato su Confidenze 10/2021
Foto: Shutterstock
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